Se fai un mestiere del genere, devi per forza conoscere cosa c'è scritto in quel libro...
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"... La prima parte del saggio è dedicata principalmente a un'analisi della storia delle tecniche di gestione del marchio e alle sue ripercussioni sulle dinamiche del lavoro. Nello specifico, Naomi Klein afferma che negli ultimi vent'anni avrebbe avuto luogo un radicale cambiamento nel capitalismo: se prima era centrale la fase della produzione di merci, ora quest'ultima diventa marginale e trascurabile, mentre si impiegano sempre più forze e denaro sul marchio e sulla proposta di una serie di valori immateriali ed ideali da collegare ad esso (branding), con lo scopo di crearsi una propria fetta di monopolio. Le ingenti risorse monetarie che queste strategie richiedono derivano dal risparmio sulla produzione, che viene dislocata nei paesi del Terzo mondo dove l'azienda può sfruttare impunemente la manodopera operaia. In questo contesto viene presentata un'analisi approfondita della realtà delle Export Processing Zones dell'Asia e dell'America latina (incluso un resoconto di una visita della giornalista nell'EPZ di Cavite), in cui gran parte delle imprese a cui i grandi marchi internazionali (Nike, Reebok, Adidas, Disney ecc.) subappaltano gran parte della loro attività produttiva..." (CONTINUA NEL LINK)
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Mirabile è quella ricostruzione di un consiglio di amministrazione della Levi's, in cui il loro amministratore delegato, all'ingrosso, disse:

- Dovete mettervi in testa che l'azienda Levi's non produce del jeans: qualsiasi cretino, comprando un po' di buon cotone, può fabbricare del buon denim, anche molto meglio del nostro. Noi costruiamo dei Totem, i quali Totem, per attrazione, porterà il consumatore a comprarci i pantaloni. Dobbiamo mettergli nella testa che solo se indosserà il nostro marchio potrà emozionarsi e sentirsi appagato. Il pantalone è l'ultimo dei nostri problemi, ed è un'attività marginale della nostra azienda, totalmente subappaltata a dei fornitori lontani, spesso dall'altra parte del Pianeta.
Poi faceva i conti in tasca a (mi pare) Magic Jonson, il cestista plurimiliardario americano, per vedere, fatto 150 dollari il costo di una scarpa da ginnastica della Nike, quanti di quei dollari finissero nelle tasche del testimonial numero uno del mondo, e quanto nelle tasche degli operai centroamericani che le avevano costruire per intero.
Insomma, una accusa alle storture del nostro sistema economico, poco equo e solidale, anzi, molto iniquo e coloniale. E una derisione della nostra dabbenaggine, di persone (spesso anche in età matura) capaci di pagare un prodotto anche 20/30 volte il suo valore intrinseco. Tutto grazie al paziente lavoro di voi raffinati venditori di desideri e speranze in confezione spray (cit.)
