Il numero 1 riguarda le elezioni del Csm e lo strapotere delle correnti, clamorosamente documentato dal «caso Palamara». Secondo i promotori, per sradicare questo sistema bisogna cambiare le regole di accesso dei magistrati a Palazzo de' Marescialli. Oggi chi vuole candidarsi deve raccogliere dalle 25 alle 50 firme e per questo ottenere l'appoggio di una corrente. Il quesito referendario vuole abrogare il vincolo delle firme.
Il numero 2 è sulla responsabilità diretta dei magistrati, perché al grande potere della magistratura corrisponda l'obbligo di rendere conto di decisioni sbagliate. Il quesito vuole permettere al cittadino leso dalla condotta del magistrato di chiamarlo in giudizio direttamente.
Quesito numero 3: equa valutazione dei magistrati. Nel Consiglio direttivo della Cassazione e nei Consigli giudiziari, dove si valuta la professionalità delle toghe, non siedono oggi avvocati e professori universitari, i «laici» al Csm, mentre il referendum li farebbe partecipare.
Numero 4: la battaglia storica del centrodestra per la separazione delle carriere tra giudici e pm. Sarebbe la fine di un'unica categoria, con l'obbligo di scelta della funzione giudicante o requirente all'inizio della carriera, senza che si possa più passare dall'una all'altra. L'intenzione è rompere lo spirito corporativo tra le due figure.
Il quesito 5 riguarda i limiti alla custodia cautelare, per evitare che il carcere preventivo si trasformi in anticipazione della pena, violando il principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza.
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