Per quanto riguarda la navigazione, l’art. 90 UNCLOS stabilisce che ogni Stato ha il diritto di far navigare in alto mare navi che battano la sua bandiera. Questa viene attribuita dallo Stato secondo condizioni da esso stesso determinate, purché sussista un legame sostanziale tra di esso e la nave (art. 91 UNCLOS ). L’esigenza di questo legame è motivata dall’esistenza del fenomeno delle cd. bandiere ombra, i.e. bandiere attribuite da uno Stato senza alcun legame effettivo con esso, e di conseguenza svincolate dall’osservanza delle norme interne o internazionali vigenti sul territorio domestico delle persone, fisiche o giuridiche, che ne esercitino il controllo effettivo (Schiano di Pepe, L., La questione della nazionalità delle navi dinanzi al Tribunale internazionale per il diritto del mare, in Riv. dir. int., 2002, 329 ss.).
Le navi private, invece, sono soggette a una serie di eccezioni. La prima è la pirateria marittima (artt. 101 ss. UNCLOS), crimine juris gentium che, come noto, vive oggi una fervida e preoccupante recrudescenza. In alto mare, in base a una regola consuetudinaria molto antica, qualsiasi Stato può, per mezzo delle sue navi pubbliche, catturare una nave (o un aeromobile) pirata, arrestare i responsabili e requisirne i beni. Gli organi giurisdizionali dello Stato che ha operato la cattura si pronunceranno sulla pena da infliggere e sulle misure da adottare nei confronti delle navi e dei beni.
E bene, cosa se ne deduce?L’obbligo di cooperazione, inoltre, è anche contemplato nel Protocollo n. 4 sul traffico illecito di migranti per terra, mare e cielo, annesso alla Convenzione di Palermo del 2000 delle Nazioni Unite contro la criminalità transnazionale organizzata. In base all’art. 8, in particolare, l’abbordaggio e l’ispezione di una nave, così come l’adozione di misure coercitive appropriate, sono sempre permesse, con riferimento ad azioni adottate al fine di combattere il traffico di migranti, se c’è un sospetto che la nave sia priva di nazionalità , mentre, nel caso di nave in alto mare battente bandiera di Stato diverso da quello che interviene, le misure in questione dovranno essere autorizzate (sulla giurisprudenza italiana applicativa di queste regole v. Cataldi, G., Giurisdizione e intervento in alto mare su navi impegnate nel traffico di migranti, in Giur. it., 2015, 1498).
Secondo me, che se lo Stato Italiano individua nell'azione di "ricerca e salvataggio di potenziali naufraghi" il reato di "traffico di migranti", non esiste alcuna convenzione internazionale che vieti al Governo Italiano di adottare misure contro navi che non sono state autorizzate dallo stesso, relative al reato di pirateria e/o traffico di migranti.
In seconda istanza, i presunti naufraghi, issati a bordo di navi non italiane, hanno di fatto (e de jure) il primo approdo nello stato di cui batte bandiera la nave. Per loro vale, di conseguenza, il trattato di Dublino (18 mesi per trasferire il migrante nel paese di primo approdo (quello della nave).