nerorosso ha scritto: 8 nov 2020, 15:05
Sicuramente la rivoluzione più importante tra le tante per i popoli.
La rivoluzione francese semplicemente sostituì un sistema di potere socio-economico ormai obsoleto con un altro, quello della borghesia, senza cambiamenti sostanziali per le masse, che sfruttate erano e sfruttate rimasero.
La rivoluzione bolscevica al contrario realizzò un'elevazione delle masse rispetto alla condizione precedente.
I miserabili contadini Russi, che erano fermi alla servitù della gleba, rispetto a tutti i loro colleghi dell'Europa continentale, ci hanno guadagnato o ci hanno perso? E noi, dalla scomparsa dell'U.R.S.S.
ci abbiamo guadagnato o perso?
Quando la
Piaggio ha chiuso i suoi stabilimenti di Pontedera ed ha trasferito la produzione nel sul della Cina, la CISL della Toscana è andata fa fare i conti in tasca degli operai che sfornano le nuove Vespa: lavorano 6 giorni su 7, hanno un orario di lavoro di 11 ore giornaliere, ricevono il primo stipendio dopo 6 mesi che hanno iniziato a lavorare, e la divisa se la devono comprare di tasca propria. Considerando le ore che fanno in più, e quanto prendo al mese, è venuto fuori che guadagnano la bellezza di
30 centesimi l'ora. Possono arrivare a 40 centesimi l'ora, se sono molto solerti, o molto ruffiani...
La domanda è: quando vedremo ritornare in Toscana quel lavoro che è scomparso dalle nostre zone industriali? Mai. A me è capitato di dover lavorare per l'equivalente di
3,20 euro l'ora netti, a quanto so, la paga dei neri di Rosarno. Ma, a ben vedere, c'è margine per ulteriori contrazioni, per
10 volte di meno.
La seconda domanda che vi faccio è: perché queste industrie,
dal 1945 al 1989, non hanno mai pensato di spostare i loro stabilimenti, che so, in India, in Malesia, in Indonesia? Non erano dittature comuniste quei posti, e anche 40 anni fa vi erano diverse centinaia di milioni di persone alla fame disposte a lavorare per qui salari. Perché la transumanza è iniziata da una certa data in poi?
In chiusura, vorrei leggeste questo articolo di Giovanni Sartori, un uomo che non può certo essere additato di simpatie comuniste, ma che è sempre stato capace di comprendere quello che accadeva intorno a lui:
Globalisti sì ma non troppo
"
... Non ieri ma diciannove anni fa (nel 1993) scrivevo che la globalizzazione economica - non quella finanziaria, che è cosa diversa - mi pareva un errore per questa semplice ragione (in condensatissima sintesi): che a parità di tecnologia i Paesi a basso costo di lavoro avrebbero messo in disoccupazione i Paesi benestanti, perché la manifattura si sarebbe dovuta trasferire nei Paesi poveri e così, ripeto, i lavoratori dei Paesi benestanti sarebbero restati senza lavoro.
Ho fatto questo rilievo in parecchie altre occasioni, ma sempre parlando a dei sordi. Eppure l'argomento era semplice e ovvio. Oggi la abnorme disoccupazione dell'Occidente e il trasferimento della manodopera nei Paesi nei quali costa anche dieci volte meno è sotto gli occhi di tutti. Ma gli economisti non l'avevano previsto e ora fanno finta di nulla. La loro ricetta per l'Occidente è di diventare sempre più inventivo e all'avanguardia. Ma è un alibi che non tiene. Anche loro, come tutti, sanno che da gran tempo il Giappone e successivamente anche Cina e India sono tecnologicamente bravi quanto noi. Resta il fatto che ormai la frittata è fatta.
In questa frittata gli italiani sono tra i peggio messi. Noi siamo chiaramente in recessione. Per uscirne e risalire la china la parola d'ordine è: investire-crescere, investire-crescere. Tante grazie; ma i soldi dove sono? Lo Stato è stracarico di debiti e non ha in cassa nemmeno i soldi per pagare i suoi fornitori in tempi ragionevoli. Se si prescinde dalla caccia agli evasori fiscali (sacrosanta ma che acchiappa soprattutto pesci piccoli, perché i grandi evasori sono tranquillamente parcheggiati nei paradisi fiscali) il presidente Monti deve anche lui ricorrere a nuove tasse, più salate che mai. Ma oramai stiamo spremendo sangue da una rapa. Ammettiamo che la rapa sopravviva. Anche così il circolo è perverso: riattiviamo produzioni che per sopravvivere si dovranno, quantomeno in parte, delocalizzare. Così torniamo al punto di prima con sempre più giovani senza lavoro.
Tornare alla lira, tornare alla dracma? Sarebbe, temo, una ulteriore follia. Mentre nessuno ha pensato a una unione doganale dell'eurozona. Nessun dazio, nessuna dogana, all'interno di eurolandia. Ma, occorrendo, dazi e protezioni per salvare, in Europa, quel che non ci possiamo permettere di perdere...." (CONTINUA NEL LINK)
