Giusto, ma io aggiungo che, fissata una pena non inficiata da vendetta, la si sconti tutta senza riduzioni per buona condotta o perchè uno psicologo asserisce che il detenuto è pentito di ciò che ha fatto. Niente permessi e altro.Valerio ha scritto: 5 feb 2020, 9:18 Penso che per parlare di Giustizia non si possa prescindere dal definire bene questi due concetti. E vanno definiti con dei termini "inequivocabilmente" misurabili.
Ed un delitto non può che essere misurabile in termine di "danno". Anche perché se un qualunque comportamento viene sanzionato, è perché si rivela lesivo in misura concreta. La semplice violazione di una legge, che non comporti un danno a qualcuno, non ha assolutamente motivo di essere sanzionata, altrimenti la stessa legge sarebbe arbitraria.
È quindi necessario che il "danno" venga esattamente determinato, affinché ad esso venga applicata una pena assolutamente conseguente.
Ed il valore della pena applicata per il delitto deve essere tale da coinvolgere la "riparazione del danno".
Capisco che questo principio si applichi strettamente in ambito civile, mentre in ambito penale tale principio risulta insufficiente. Ma questo non significa che "indurre una sofferenza" come rifusione di un delitto penale, non sia un concetto barbaro, a livello dell'antico occhio per occhio, dente per dente.
Ecco perché la misura della carcerazione del reo deve venire rivista in un'ottica di civiltà.
La discussione sulla carcerazione, quindi, deve venire supportata da motivazioni che esulino dalla semplice sofferenza per vendetta, cosa che reputo assolutamente incivile.
un paio di obiezioni.Valerio ha scritto: 5 feb 2020, 9:18 Penso che per parlare di Giustizia non si possa prescindere dal definire bene questi due concetti. E vanno definiti con dei termini "inequivocabilmente" misurabili.
Ed un delitto non può che essere misurabile in termine di "danno". Anche perché se un qualunque comportamento viene sanzionato, è perché si rivela lesivo in misura concreta. La semplice violazione di una legge, che non comporti un danno a qualcuno, non ha assolutamente motivo di essere sanzionata, altrimenti la stessa legge sarebbe arbitraria.
È quindi necessario che il "danno" venga esattamente determinato, affinché ad esso venga applicata una pena assolutamente conseguente.
Ed il valore della pena applicata per il delitto deve essere tale da coinvolgere la "riparazione del danno".
Capisco che questo principio si applichi strettamente in ambito civile, mentre in ambito penale tale principio risulta insufficiente. Ma questo non significa che "indurre una sofferenza" come rifusione di un delitto penale, non sia un concetto barbaro, a livello dell'antico occhio per occhio, dente per dente.
Ecco perché la misura della carcerazione del reo deve venire rivista in un'ottica di civiltà.
La discussione sulla carcerazione, quindi, deve venire supportata da motivazioni che esulino dalla semplice sofferenza per vendetta, cosa che reputo assolutamente incivile.
porterrockwell ha scritto: 5 feb 2020, 12:58Giusto, ma io aggiungo che, fissata una pena non inficiata da vendetta, la si sconti tutta senza riduzioni per buona condotta o perchè uno psicologo asserisce che il detenuto è pentito di ciò che ha fatto. Niente permessi e altro.Valerio ha scritto: 5 feb 2020, 9:18 Penso che per parlare di Giustizia non si possa prescindere dal definire bene questi due concetti. E vanno definiti con dei termini "inequivocabilmente" misurabili.
Ed un delitto non può che essere misurabile in termine di "danno". Anche perché se un qualunque comportamento viene sanzionato, è perché si rivela lesivo in misura concreta. La semplice violazione di una legge, che non comporti un danno a qualcuno, non ha assolutamente motivo di essere sanzionata, altrimenti la stessa legge sarebbe arbitraria.
È quindi necessario che il "danno" venga esattamente determinato, affinché ad esso venga applicata una pena assolutamente conseguente.
Ed il valore della pena applicata per il delitto deve essere tale da coinvolgere la "riparazione del danno".
Capisco che questo principio si applichi strettamente in ambito civile, mentre in ambito penale tale principio risulta insufficiente. Ma questo non significa che "indurre una sofferenza" come rifusione di un delitto penale, non sia un concetto barbaro, a livello dell'antico occhio per occhio, dente per dente.
Ecco perché la misura della carcerazione del reo deve venire rivista in un'ottica di civiltà.
La discussione sulla carcerazione, quindi, deve venire supportata da motivazioni che esulino dalla semplice sofferenza per vendetta, cosa che reputo assolutamente incivile.
RedWine ha scritto: 5 feb 2020, 13:59un paio di obiezioni.
visionando a posteriori un filmato di una ripresa fatta alle tre di notte, si nota un automobilista che ignora (non rispetta) il semaforo rosso. non solo nessuno ha subito danno, ma senza la ripresa nessuno se ne sarebbe mai accorto. quindi, il comportamento criminoso va o meno sanzionato?
concordo che la "sofferenza per vendetta" dal punto di vista di uno stato, non ha senso ne sia concetto accettabile, ma indurre sofferenza sia pure psicologica come la perdita della libertà (e/o altro) ha anche una valenza di repressione verso comportamenti futuri, e di esempio verso persone che potrebbero indulgere in comportamenti similari.
in concreto, se ubriaco rientrando alle tre di notte dalla discoteca "brucio" ad alta velocità una serie di semafori, non ha importanza che non abbia fatto danno ad alcuno, lo stato mettendomi in galera, non si vendica ma mi educa e mi indica a esempio negativo, sperando che altri imparino dalle conseguenze del mio comportamento.
Questo avrebbe senso a due condizioni:Valerio ha scritto: 5 feb 2020, 14:32 Esiste il reato di tentato omicidio.
Perché se passi col rosso rischi seriamente di creare un danno anche mortale, e questo rischio ha una probabilità troppo alta per essere accettabile.
Io mi riferivo a comportamenti molto meno pericolosi, come uno schiaffo, o un ritardo a denunciare fatti non di rilievo, come il furto, od omissivi come la ritardata denuncia dei redditi, o derivanti dalla non conoscenza della Legge, o di piccole infrazioni come il divieto di sosta, o un leggero aumento della velocità in zona sottoposta a limiti ridicoli, come il 40 km/h. Io son stato multato per aver superato di 3 km/h il limite durante un sorpasso!
In questo tipo di reati diviene assurda la "penalizzazione", ma basta una leggera sanzione pecuniaria solo se il fatto è rilevante.
Anche dal punto di vista penale esistono dei "delitti" che posso causare dei danni non apprezzabili materialmente. Vedi l'ingiuria che comporta danni alla persona non quantificabili in modo analitico come, ad esempio, può avvenire per la percossa.Valerio ha scritto: 5 feb 2020, 9:18 Penso che per parlare di Giustizia non si possa prescindere dal definire bene questi due concetti. E vanno definiti con dei termini "inequivocabilmente" misurabili.
Ed un delitto non può che essere misurabile in termine di "danno". Anche perché se un qualunque comportamento viene sanzionato, è perché si rivela lesivo in misura concreta. La semplice violazione di una legge, che non comporti un danno a qualcuno, non ha assolutamente motivo di essere sanzionata, altrimenti la stessa legge sarebbe arbitraria.
È quindi necessario che il "danno" venga esattamente determinato, affinché ad esso venga applicata una pena assolutamente conseguente.
Ed il valore della pena applicata per il delitto deve essere tale da coinvolgere la "riparazione del danno".
Capisco che questo principio si applichi strettamente in ambito civile, mentre in ambito penale tale principio risulta insufficiente. Ma questo non significa che "indurre una sofferenza" come rifusione di un delitto penale, non sia un concetto barbaro, a livello dell'antico occhio per occhio, dente per dente.
Ecco perché la misura della carcerazione del reo deve venire rivista in un'ottica di civiltà.
La discussione sulla carcerazione, quindi, deve venire supportata da motivazioni che esulino dalla semplice sofferenza per vendetta, cosa che reputo assolutamente incivile.
Certo, ma anche la Costituzione fissa dei limiti all'entità della pena.Giurista ha scritto: 6 feb 2020, 9:22Anche dal punto di vista penale esistono dei "delitti" che posso causare dei danni non apprezzabili materialmente. Vedi l'ingiuria che comporta danni alla persona non quantificabili in modo analitico come, ad esempio, può avvenire per la percossa.Valerio ha scritto: 5 feb 2020, 9:18 Penso che per parlare di Giustizia non si possa prescindere dal definire bene questi due concetti. E vanno definiti con dei termini "inequivocabilmente" misurabili.
Ed un delitto non può che essere misurabile in termine di "danno". Anche perché se un qualunque comportamento viene sanzionato, è perché si rivela lesivo in misura concreta. La semplice violazione di una legge, che non comporti un danno a qualcuno, non ha assolutamente motivo di essere sanzionata, altrimenti la stessa legge sarebbe arbitraria.
È quindi necessario che il "danno" venga esattamente determinato, affinché ad esso venga applicata una pena assolutamente conseguente.
Ed il valore della pena applicata per il delitto deve essere tale da coinvolgere la "riparazione del danno".
Capisco che questo principio si applichi strettamente in ambito civile, mentre in ambito penale tale principio risulta insufficiente. Ma questo non significa che "indurre una sofferenza" come rifusione di un delitto penale, non sia un concetto barbaro, a livello dell'antico occhio per occhio, dente per dente.
Ecco perché la misura della carcerazione del reo deve venire rivista in un'ottica di civiltà.
La discussione sulla carcerazione, quindi, deve venire supportata da motivazioni che esulino dalla semplice sofferenza per vendetta, cosa che reputo assolutamente incivile.
Ma non è questo il punto.
Che si tratti di Codice Civile o Penale ciò che conta è il venire meno, attraverso un delitto, a una regola di comportamento. Di fatti ogni gruppo sociale può definirsi tale e coesistere solo grazie all'esistenza di regole comportamentali. L'infrangere una di quelle regole non comporta un danno solo per chi subisce il torto, ma tutti i consociati vedranno leso uno di quei principi che tiene unità la società in cui vivono. Per questo che si tratti di colpa lieve o di delitto, ogni atto lesivo per l'integrità soggettiva e oggettiva va punito.
Avevo capito cosa volessi intendere. Se vogliamo affrontare l'argomento semplicemente dal punto di vista ideale, sono perfettamente d'accordo con te. La funzione rieducativa dovrebbe essere alla base di una pena; altresì avere regole troppo ferree, come l'essere multati per aver superato di 2 km/h il limite di velocità, crea malcontento.Valerio ha scritto: 6 feb 2020, 10:51Certo, ma anche la Costituzione fissa dei limiti all'entità della pena.Giurista ha scritto: 6 feb 2020, 9:22Anche dal punto di vista penale esistono dei "delitti" che posso causare dei danni non apprezzabili materialmente. Vedi l'ingiuria che comporta danni alla persona non quantificabili in modo analitico come, ad esempio, può avvenire per la percossa.Valerio ha scritto: 5 feb 2020, 9:18 Penso che per parlare di Giustizia non si possa prescindere dal definire bene questi due concetti. E vanno definiti con dei termini "inequivocabilmente" misurabili.
Ed un delitto non può che essere misurabile in termine di "danno". Anche perché se un qualunque comportamento viene sanzionato, è perché si rivela lesivo in misura concreta. La semplice violazione di una legge, che non comporti un danno a qualcuno, non ha assolutamente motivo di essere sanzionata, altrimenti la stessa legge sarebbe arbitraria.
È quindi necessario che il "danno" venga esattamente determinato, affinché ad esso venga applicata una pena assolutamente conseguente.
Ed il valore della pena applicata per il delitto deve essere tale da coinvolgere la "riparazione del danno".
Capisco che questo principio si applichi strettamente in ambito civile, mentre in ambito penale tale principio risulta insufficiente. Ma questo non significa che "indurre una sofferenza" come rifusione di un delitto penale, non sia un concetto barbaro, a livello dell'antico occhio per occhio, dente per dente.
Ecco perché la misura della carcerazione del reo deve venire rivista in un'ottica di civiltà.
La discussione sulla carcerazione, quindi, deve venire supportata da motivazioni che esulino dalla semplice sofferenza per vendetta, cosa che reputo assolutamente incivile.
Ma non è questo il punto.
Che si tratti di Codice Civile o Penale ciò che conta è il venire meno, attraverso un delitto, a una regola di comportamento. Di fatti ogni gruppo sociale può definirsi tale e coesistere solo grazie all'esistenza di regole comportamentali. L'infrangere una di quelle regole non comporta un danno solo per chi subisce il torto, ma tutti i consociati vedranno leso uno di quei principi che tiene unità la società in cui vivono. Per questo che si tratti di colpa lieve o di delitto, ogni atto lesivo per l'integrità soggettiva e oggettiva va punito.
Ma non parliamo di quello che oggi è il Codice, quanto di quello che dovrebbe essere per avere diritto di riferirci a noi in termini di civiltà.
Il punto centrale del mio ragionamento è che non si può rispondere ad una lesione con una lesione (occhio per occhio,......), ma si dovrebbe adempiere al dettato costituzionale di recupero della dignità del leso e di quella del reo, nei limiti della risposta di quest'ultimo.
E per soddisfare questi due principi, io ho ipotizzato che prima di una punizione, il giudice debba cercare una riparazione.
La riparazione dovrebbe riequilibrare i diritti violati della vittima e reinserire il reo in una condizione sociale positiva, anche se a quest'ultimo richiede uno sforzo ed una inequivocabile volontà di redenzione.
Da questo ragionamento, per ora, escludiamo delinquenti abituali e reiterazione del reato.
Valerio ha scritto: 6 feb 2020, 6:51 Che la sanzione amministrativa debba essere parametrata al reddito sarei d'accordo, ma temo che verrebbe rigettata come anticostituzionale.
Io la trovo una misura interessante, ma non applicabile al sistema italiano, che andrebbe a premiare i finti nullatenenti, incentivando ancor più l'evasione fiscale
Io ci vedo altre soluzioni, che prescindano dal carcere.
E su questo concordo, però un minimo di carcere deve esistere, magari in luoghi creati apposta, più leggeri. Non si può restare "impuniti" per colpe gravi, sotto i 4 anni di pena definitiva come ora ad esempio
La falsa testimonianza è punita anche in Italia. L'imputato può avvalersi della facoltà di non rispondere, ma se risponde, e mente, questo costituisce aggravante.
Hai ragione, mi sono confuso. Però volevo sottolineare come la pena data a questo reato sia così alta da disincentivare il cittadino a mentire in tribunale, specie per i reati minori. Tu mentiresti per un reato di 2 anni se poi se vieni scoperto te ne danno altri 5 per averlo fatto? L'altro giorno in Tv c'era un fatto simile della polizia estera, avevano fermato un'auto con 2 tizi con lo spinello. Gli hanno chiesto se ne avevano altri, se mentivano ed erano beccati c'era anche un aumento della pena. Capisci cosa intendo? Se vuoi stai zitto, ma se menti allora.... Quanti processi riusciremmo a velocizzare, quanti inquinamenti delle prove, bugie per i social ecc? Certo, anche questo ha alcuni aspetti negativi...
Ho aperto questo argomento proprio per sentire come la pensate. Per questo il post iniziale delineava il mio principio di una pena che configura "induzione di sofferenza per vendetta" piuttosto che di una sanzione che possa avere il duplice aspetto di deterrente e funzione di recupero sociale.
E ti anticipo il mio pensiero: secondo me l'unica sanzione che possa ricoprire questi due aspetti è la rifusione del danno, che sia diretta (verso le vittime) o indiretta (verso la società).
Ritengo che una multa non sia ne un deterrente ne abbia una funzione di recupero. Anzi, per chi non ha problemi si soldi sarebbe una divisione sociale enorme, dove i ricchi potrebbero fare cosa vogliono e ai poveri il compito di subire, magari ottenendo un piccolo risarcimento ma solo nel caso facciano causa e la vincano. ...farla e poi perdere sarebbe un massacro... In pratica per i ricchi sarebbe un far west con la pistola solo in loro possesso
Cuneoman, vedi che quando non fai il partigiano non ti tratto male?![]()
In un intervista a Gratteri spiegava come i boss della camorra fossero i più tranquilli e docili nelle carceri, perchè alla camorra piace restare sottoterra, nell'invisibilità dei media e dell'opinione pubblica. CIT: "E quando deve dare "uno schiaffo" a un poliziotto, non sarà lui a farlo ma un altro carcerato..."Valerio ha scritto: 6 feb 2020, 6:58 Serge, chi in carcere ha una buona condotta è una mosca bianca. L'organizzazione penitenziaria non è pensata per promuovere buoni comportamenti, ma solo per reprimere i cattivi.
E purtroppo il carcere è un mixer in cui vengono seppelliti tutti insieme, a prescindere perfino dalla pericolosità sociale (per via del sovraffollamento).