Da essere e tempo 1927
«Nell’uso dei mezzi di trasporto o di comunicazione pubblici, dei servizi di informazione (i giornali), ognuno è come l’altro […]. In questo stato di irrilevanza e indistinzione il Si esercita la sua autentica dittatura. Ce la passiamo e ci divertiamo come ci si diverte; leggiamo, vediamo e giudichiamo di letteratura e di arte come si vede e si giudica. Ci teniamo lontani dalla “gran massa” come ci si tiene lontani, troviamo “scandaloso” ciò che si trova scandaloso. Il Si, che non è un Esserci determinato ma tutti […], decreta il modo di essere della quotidianità».
Il Si non è un super-soggetto, astratto ed inafferrabile, che in qualche modo controllerebbe l’esistenza quotidiana dell’Esserci. No, il Si è il modo quotidiano in cui l’Esserci si rapporta alla propria vita lasciando-si esistere: «Ognuno è gli altri, nessuno è se stesso. Il Si, come risposta al problema del Chi [è] dell’Esserci quotidiano, è il nessuno a cui ogni Esserci si è già abbandonato». Nel mondo della quotidianità il Si «ha sempre ragione» livellando silenziosamente ogni autentica possibilità dell’Esserci e conformandone la volontà al si dice pubblico, per il quale non è importante tanto andare a fondo delle cose, delle informazioni che corrono sulla lingua di tutti, quanto piuttosto «discorrere pur di discorrere». La superficialità regna sovrana; l’autentico sforzo intellettuale o il genuino fallimento sono riassorbiti della melma del Si, che «c’è dappertutto, ma è tale da essersela già sempre squagliata quando per l’Esserci viene il momento della decisione».