Storia e memoria
Inviato: 20 ott 2024, 18:40
Appartengo alla generazione dei baby boomer, nato appena dopo la fine della guerra. La famiglia materna era contadina, o per meglio dire paesana, della bassa Sabina, un territorio fortemente impregato di fascismo. Fascisti naturali, come avrei facilmente constatato crescendo e conoscedoli meglio. Brava gente, poco istruita, in una terra, in paesi e paeselli che a pochi chilometri da Roma sembravano essere fuori dal mondo. Bellissima quella campagna.
Il mio bisnonno aveva fatto la guerra mondiale del 15-18, mi raccontava della vita in trincea e delle emozioni provate da contadino venuto occasionalmente nella Capitale per qualche cerimonia. La guerra appena finita viveva nel ricordo dell'occupazione tedesca, una presenza marginale, qualche ufficiale verso il quale sembrava ci fosse stata una gara per ottenerne la benevolenza, in fondo erano anche loro brava gente da tenersela buona.
Io romano nato nel quartiere ostiense, in una strada limitrofa alla stazione guarda caso costruita per accogliere Hitler. Giocavo a pallone nel piazzale antistante la stazione, chiusa e muta nell'immediato dopoguerra. La famiglia paterna era trasteverina, del tutto e per tutto dissimile dall'altra. Popolani e poco istruiti quanto gli altri, ma comunisti della primissima ora mio nonno, partigiano in Slovenia un fratello di mio padre, funzionario di Botteghe Oscure un altro fratello, infine mio padre, cattolicissimo amante delle architetture barocche, appassionato di storia della Chiesa, convertito per ultimi alla falce e martello.
Una collocazione, la mia, che non solo mi faceva essere partecipe di ricordi diversi e contrastanti, da parte di persone che avevano uno sguardo e una natura profondamente diversa, sebbene ugualmente popolare, ma che mi faceva vivere in una realtà fisica che portava vivissime le tracce, gli umori, i colori, le forme del ventennio fascista, sovrapposte naturalmente ai segni e alle grandìose bellezze delle epoche precedenti, e anche ai segni e allo squallore di una Roma ancora ben lontana dalla modernità che sarebbe esplosa negli anni 60.
I ricordi, soprattutto, non erano rimembranze che echeggiavano dalle nebbie del tempo, ma ricordi con la misura dell'attualità. Lo stesso Fausto Coppi che aveva vinto il tour nell'anteguerra, era lo stesso che lo vinceva mentre io andavo in prima elementare. E ne leggevo le imprese sull'Unità che mio padre portava a casa. Rgazzino curioso, leggevo tutto quel giornale, anche se ne coglievo benissimo la parzialità (faziosità) tipica di un organo di partito.
Insomma, la mia storia è la stessa di un'intera generazione, ma diciamo anche due o tre, per le quali non esisteva una gran differenza tra storia e memoria. cioè tra un ricordo del fatti documentato e inciso nel corpo di un paese da una parte, e una ridda di ricordi e umori personali. Questi ultimi erano sì diversi e perfino caleidoscopici, ma confluivano facilmente nella sintesi che ne faceva la storia. Si capiva, si intuiva che la memoria dipendeva dal momento e dalla varietà delle situazioni individuali - era ovvio, non servivano complicati ragionamenti.
Veniamo a noi, oggi. La memoria permane, anche sotto forma per lo più di intepretazione personale, non per esperienza diretta. La storia non si può difendere, basta non conoscerla, o alla peggio decidere di liquidarla con una pernacchia.
Dice Antonio Scurati, in un'intervista a Carlo Bonini - Lo sguardo e i commenti di tanti ragazzi alla fine di quella proiezione. Come se di fronte ai loro occhi si fosse improvvisamente materializzata la rivelazione di qualcosa di sconosciuto, di quasi incredibile e di intollerabile. E questo mi fa pensare che quando dieci anni fa intuii che l’orizzonte di coscienza storica sul ’900 italiano rischiava di chiudersi, anche sulla scorta di almeno un decennio di revisionismo, non mi sbagliavo. M. è arrivato nel momento in cui la memoria storica e civile sul fascismo era a un passo dalla cancellazione, se ne preparava la riabilitazione e, in forme nuove e parziali, anche il suo ritorno. Probabilmente è questo che non viene perdonato né al sottoscritto né a M. dai cosiddetti postfascisti. (https://www.repubblica.it/robinson/2024 ... G-P6-S2-T1)
Il mio bisnonno aveva fatto la guerra mondiale del 15-18, mi raccontava della vita in trincea e delle emozioni provate da contadino venuto occasionalmente nella Capitale per qualche cerimonia. La guerra appena finita viveva nel ricordo dell'occupazione tedesca, una presenza marginale, qualche ufficiale verso il quale sembrava ci fosse stata una gara per ottenerne la benevolenza, in fondo erano anche loro brava gente da tenersela buona.
Io romano nato nel quartiere ostiense, in una strada limitrofa alla stazione guarda caso costruita per accogliere Hitler. Giocavo a pallone nel piazzale antistante la stazione, chiusa e muta nell'immediato dopoguerra. La famiglia paterna era trasteverina, del tutto e per tutto dissimile dall'altra. Popolani e poco istruiti quanto gli altri, ma comunisti della primissima ora mio nonno, partigiano in Slovenia un fratello di mio padre, funzionario di Botteghe Oscure un altro fratello, infine mio padre, cattolicissimo amante delle architetture barocche, appassionato di storia della Chiesa, convertito per ultimi alla falce e martello.
Una collocazione, la mia, che non solo mi faceva essere partecipe di ricordi diversi e contrastanti, da parte di persone che avevano uno sguardo e una natura profondamente diversa, sebbene ugualmente popolare, ma che mi faceva vivere in una realtà fisica che portava vivissime le tracce, gli umori, i colori, le forme del ventennio fascista, sovrapposte naturalmente ai segni e alle grandìose bellezze delle epoche precedenti, e anche ai segni e allo squallore di una Roma ancora ben lontana dalla modernità che sarebbe esplosa negli anni 60.
I ricordi, soprattutto, non erano rimembranze che echeggiavano dalle nebbie del tempo, ma ricordi con la misura dell'attualità. Lo stesso Fausto Coppi che aveva vinto il tour nell'anteguerra, era lo stesso che lo vinceva mentre io andavo in prima elementare. E ne leggevo le imprese sull'Unità che mio padre portava a casa. Rgazzino curioso, leggevo tutto quel giornale, anche se ne coglievo benissimo la parzialità (faziosità) tipica di un organo di partito.
Insomma, la mia storia è la stessa di un'intera generazione, ma diciamo anche due o tre, per le quali non esisteva una gran differenza tra storia e memoria. cioè tra un ricordo del fatti documentato e inciso nel corpo di un paese da una parte, e una ridda di ricordi e umori personali. Questi ultimi erano sì diversi e perfino caleidoscopici, ma confluivano facilmente nella sintesi che ne faceva la storia. Si capiva, si intuiva che la memoria dipendeva dal momento e dalla varietà delle situazioni individuali - era ovvio, non servivano complicati ragionamenti.
Veniamo a noi, oggi. La memoria permane, anche sotto forma per lo più di intepretazione personale, non per esperienza diretta. La storia non si può difendere, basta non conoscerla, o alla peggio decidere di liquidarla con una pernacchia.
Dice Antonio Scurati, in un'intervista a Carlo Bonini - Lo sguardo e i commenti di tanti ragazzi alla fine di quella proiezione. Come se di fronte ai loro occhi si fosse improvvisamente materializzata la rivelazione di qualcosa di sconosciuto, di quasi incredibile e di intollerabile. E questo mi fa pensare che quando dieci anni fa intuii che l’orizzonte di coscienza storica sul ’900 italiano rischiava di chiudersi, anche sulla scorta di almeno un decennio di revisionismo, non mi sbagliavo. M. è arrivato nel momento in cui la memoria storica e civile sul fascismo era a un passo dalla cancellazione, se ne preparava la riabilitazione e, in forme nuove e parziali, anche il suo ritorno. Probabilmente è questo che non viene perdonato né al sottoscritto né a M. dai cosiddetti postfascisti. (https://www.repubblica.it/robinson/2024 ... G-P6-S2-T1)