E se Putin non si accontenta del Donbass e della Crimea?

Forum di discussione sulla politica italiana, i partiti e le istituzioni.
Connesso
Avatar utente
serge
Connesso: Sì
Messaggi: 6459
Iscritto il: 9 giu 2019, 8:58
Ha Assegnato: 6506 Mi Piace
Ha Ricevuto: 2287 Mi Piace

Re: E se Putin non si accontenta del Donbass e della Crimea?

Messaggio da leggere da serge »

Sayon ha scritto: 18 dic 2023, 23:41
Leno Lazzari ha scritto: 16 dic 2023, 14:07

.."Appaiono assolutamente evidenti le mire espansionistiche dello zar."...

.........a pattodi non avere le fette di mortadella sugli occhi :mrgreen:
Ma di cosa stiamo parlando! Contimnuiamo a vedere i nemici degli USA e di Isreale come i nostri nemici, mentre i Paesei piu periclosi, piu guerrafondai, piu' aggressivi sono sempre stati gli USA ed Israele, i nostri "amici".Abbiamo parlato per 20 anni dei 2900 morti di 9/11 e non siamo capaci, neanche a livello governativo, di spendere una parola per il MASSACRO che Isarele sta compiendo in Gaza. Chi muore no sono "terroristi" ma donne, bambini, giornalisti, persone comuni. Ma noi ZITTI anche se la TV ci mostra un giornalista che viene buttato per terra e masacrato (e' in coma) a calci sula testa; piangiamo per le povere mamme israeliane ma non sappiamo dire nulla sule due donne che pregano in chiesa e sono state prese a fucilitae da questi criminali sell' esercito d' Israele. Quanto agli USA conosciamo tuti i precedenti; sono in guerra da sempre, e da sempre noi, i cani lecapiedi, diamo loro la ragione anche quando attaccano nazioni come Libia ed Iraq che non hanno fato nulla. Ci siamo venduti, questo e' evidente, ma almeno la smettessimo di parlare della Russia come fosse nostra nemica, quando non ci ha mai aggredita e non ha mai avuto intenzione di farlo.Se ci sara' una guerra e' perche noi IDIOTI staimo con la NATO che non ci ha mai "protetti" da nulla, ma sempre espostsi a nuove gueere. Purtroppo la falsita' predomina perche ci sentiamo "occidentali" il che vuol dire giustificare ogni nefandezza, aggressione, violenza economica verso gli altri Paesei ma anche verso noi stessi, visto che saremmo mai capaci di protestare. Se si ama la giustizia e la pace, occorre saper denunciare le ingiustizie, i ricatti e la bellicosita' delle nostre nazioni "ideali", che ideali non sono ma certamente assassine e e brutali anche se difese da una propaganda continua che confonce le idee. Se si vuole essere liberi, occorre essere onesti e ilcondannare la Russia senza vedere le nostr magagne e' equivalente a vedere la pagliuzza negli occhi degli altri, e non la trave della nostra bellicosita' nei confronti degli altri Paesi
:applausi: :applausi: :applausi:
"Alla più perfetta delle dittature preferirò sempre la più imperfetta delle democrazie" (Sandro Pertini)
Connesso
Avatar utente
RedWine
Connesso: Sì
Messaggi: 4999
Iscritto il: 9 giu 2019, 14:54
Ha Assegnato: 1142 Mi Piace
Ha Ricevuto: 2763 Mi Piace

Re: E se Putin non si accontenta del Donbass e della Crimea?

Messaggio da leggere da RedWine »

Shamash ha scritto: 19 dic 2023, 14:21
Ucraina. Controstoria del conflitto. Oltre i miti occidentali
https://www.amazon.it/Ucraina-Benedetta ... 8855198904

Introduzione

Quando la Russia ha invaso l’Ucraina il 24 febbraio 2022, il mondo intero è stato colto di sorpresa. Nessuno si aspettava che la guerra potesse tornare in Europa, con l’aggressione di un fragile Stato come l’Ucraina da parte della superpotenza militare guidata dal presidente Vladimir Putin. Immediatamente, le case degli europei sono state raggiunte dalle drammatiche immagini della popolazione civile costretta a fuggire dalle proprie abitazioni, di edifici distrutti, bambini nei rifugi antiaerei, auto in fiamme.

Sui media tradizionali e sui social network il racconto della guerra è stato sempre mantenuto sul piano emotivo, irrazionale. La maggior parte delle persone sapeva poco o niente di Ucraina o di Russia, né tantomeno di Europa dell’Est, geopolitica o, in generale, affari internazionali. I media, quindi, avrebbero avuto il dovere di fornire un’informazione il più possibile completa, per permettere ai cittadini europei di farsi un’opinione consapevole su eventi che, almeno indirettamente, incidono anche sulle loro vite. Invece ai cittadini è stata offerta un’informazione del tutto unilaterale su ciò che stava avvenendo ai confini orientali del vecchio continente.

Il racconto del conflitto si è basato fin da subito su imperativi categorici incontestabili, come l’ormai famoso motto “c’è un aggressore e un aggredito”, che in quanto a banalità può rivaleggiare con “il nuoto è uno sport completo” e “non ci sono più le mezze stagioni”. Mentre i telegiornali riproducevano freneticamente le immagini ad alto impatto emotivo delle conseguenze sui civili ucraini dell’aggressione militare russa, sui social, contemporaneamente, abbiamo assistito a una condivisione quasi spasmodica di contenuti sulla guerra. Utenti qualsiasi e grandi influencer si sono uniti sotto hashtag come “Stand with Ukraine”, producendo post in cui ognuno esprimeva la propria opinione sul conflitto o, peggio, si improvvisava esperto di geopolitica, e spesso fornendo a centinaia di migliaia di utenti una cronistoria raffazzonata e imprecisa, quando non del tutto falsa, delle relazioni tra Ucraina, Russia e Occidente negli ultimi trent’anni.

In molti casi, sui social e nei talk show sono state diffuse notizie approssimative, quando non addirittura false. Su un telegiornale nazionale sono apparse immagini di un videogioco, spacciate per bombardamento russo1. In uno dei più seguiti talk show serali si commentava una mappa dei sotterranei delle acciaierie di Azovstal, che in realtà era tratta da un gioco da tavolo2. In uno dei principali giornali italiani è stata pubblicata in prima pagina la foto di un civile in lacrime tra le macerie, presentandolo come effetto di un bombardamento russo quando in realtà erano immagini di un raid ucraino sulla città di Donetsk3. Soprattutto nei primi mesi di guerra, venivano diffuse notizie tratte direttamente dalla stampa ucraina senza neanche controllarne la veridicità, tant’è che in seguito molte si rivelavano false.

E se i media tradizionali devono sottostare alla legge della rapidità dell’informazione, i nuovi media – come i social – devono attenersi anche alla crudele legge dell’algoritmo. La guerra russo-ucraina è diventata da subito un trend topic, e per chi sui social ci lavora, cavalcare il tema del momento significa attrarre più traffico sul proprio profilo, più engagement e più follower. Si è così rafforzato il ruolo dei cosiddetti news influencers, persone che grazie al proprio imponente bacino di seguaci – spesso centinaia di migliaia di utenti – vengono percepite come fonti autorevoli: si esprimono sul tema del momento, volteggiando con leggerezza tra le materie più disparate ed ergendosi a sedicenti esperti di Covid-19, politologi internazionali, esperti di migrazioni, tutto in contemporanea e alla velocità di un clic. Le centinaia di migliaia di follower fanno da cassa di risonanza: condividendone i contenuti, ne aumentano la popolarità e, di conseguenza, l’autorevolezza (percepita).

Per quanto riguarda il conflitto russo-ucraino, i social non hanno certo contribuito a un’informazione dal basso più sfaccettata e plurale, anzi: si sono adattati alla narrazione già portata avanti sui media tradizionali. Il tema della guerra è stato fin da subito declinato in modo univoco dal mondo dell’informazione e recepito allo stesso modo dagli influencer sul web: poiché vivono di consenso, se avessero prospettato una visione diversa e alternativa, avrebbero rischiato di creare scompiglio nella loro community, un boomerang in termini di engagement e prestigio.

Anche sui social, come in televisione e sui giornali, è stata condotta una narrazione iperemotiva della guerra. Immagini forti e temi disturbanti come lo stupro, la violenza e la morte generavano più interazioni di noiose analisi geopolitiche o storiche. Il racconto del conflitto si è trasformato quindi in una vera e propria pornografia del dolore, che ha neutralizzato ancora di più la discussione pubblica.

Tutto questo ha creato una pesante distorsione nella coscienza collettiva e ha diffuso tra le persone reazioni sentimentali come paura, incertezza e rabbia. Paradossalmente, il coacervo di informazioni, opinioni e immagini angoscianti provenienti dal fronte ucraino, proiettate a ogni ora sugli schermi dei televisori e dei cellulari dei cittadini, ha ottenuto un solo risultato: la disinformazione.

1. Il linguaggio della guerra

Il conflitto è entrato a gamba tesa anche nelle discussioni private, oltre che nel dibattito pubblico. Rabbia, paura e confusione erano il denominatore comune. La versione dei fatti era una e solo una, non se ne contemplava di diverse, né tantomeno si aveva l’intenzione di farlo. I russi sono intrinsecamente malvagi, mentre gli ucraini sono buoni, innocenti e meritevoli – solo loro – della nostra pietà. E noi, che siamo ancora più buoni, dobbiamo aiutarli a contrastare gli invasori. Le immagini delle violenze del conflitto diffuse in ogni dove non facevano altro che rafforzare questa narrazione, perché di fronte alla brutalità, come può esserci giustificazione?

Ecco: giustificare. La giustificazione della guerra e la comprensione della guerra sono state equiparate. Spiegare, chiedere, dubitare, approfondire è diventato improvvisamente giustificare. E dunque inammissibile. Il nostro vocabolario è via via cambiato, abolendo il dibattito democratico, il pensiero critico e l’analisi degli eventi nella loro complessità. Si è fatto strada un nuovo tipo di dibattito e, di conseguenza, un nuovo tipo di linguaggio: quello della guerra.

Nei talk show si è pian piano consolidato l’utilizzo di epiteti violenti e squalificanti nei confronti di studiosi, intellettuali e giornalisti colpevoli di esprimere (anche solo timidamente) dubbi o perplessità circa il modo in cui veniva trattato il conflitto sui media. Ingiurie sconosciute prima del 24 febbraio 2022. Il linguaggio violento e l’approccio repressivo nei confronti del pensiero critico sono diventati la norma, tanto da influenzare i telespettatori, che li hanno replicati a loro volta in decine, centinaia di migliaia di interazioni sui social e nella vita reale.

Così come in guerra, anche nelle conversazioni si sono fatti strada due schieramenti contrapposti: c’è chi sostiene la battaglia della più evoluta civiltà occidentale contro le brutali orde asiatiche russe e poi ci sono tutti gli altri, non so..... ecc...

l'ho appena cominciato a leggere, sembra ottimamente documentato,
ve lo consiglio, ne avete un disperato bisogno.
"Non avrete nulla e sarete felici". e se non fossi felice? "non ti preoccupare, ti cureremo"
Davos agenda 2030.
Avatar utente
Sayon
Connesso: No
Messaggi: 11253
Iscritto il: 9 giu 2019, 7:58
Ha Assegnato: 3507 Mi Piace
Ha Ricevuto: 4576 Mi Piace

Re: E se Putin non si accontenta del Donbass e della Crimea?

Messaggio da leggere da Sayon »

RedWine ha scritto: 19 dic 2023, 18:55
Shamash ha scritto: 19 dic 2023, 14:21
Ucraina. Controstoria del conflitto. Oltre i miti occidentali
https://www.amazon.it/Ucraina-Benedetta ... 8855198904

Introduzione

Quando la Russia ha invaso l’Ucraina il 24 febbraio 2022, il mondo intero è stato colto di sorpresa. Nessuno si aspettava che la guerra potesse tornare in Europa, con l’aggressione di un fragile Stato come l’Ucraina da parte della superpotenza militare guidata dal presidente Vladimir Putin. Immediatamente, le case degli europei sono state raggiunte dalle drammatiche immagini della popolazione civile costretta a fuggire dalle proprie abitazioni, di edifici distrutti, bambini nei rifugi antiaerei, auto in fiamme.

Sui media tradizionali e sui social network il racconto della guerra è stato sempre mantenuto sul piano emotivo, irrazionale. La maggior parte delle persone sapeva poco o niente di Ucraina o di Russia, né tantomeno di Europa dell’Est, geopolitica o, in generale, affari internazionali. I media, quindi, avrebbero avuto il dovere di fornire un’informazione il più possibile completa, per permettere ai cittadini europei di farsi un’opinione consapevole su eventi che, almeno indirettamente, incidono anche sulle loro vite. Invece ai cittadini è stata offerta un’informazione del tutto unilaterale su ciò che stava avvenendo ai confini orientali del vecchio continente.

Il racconto del conflitto si è basato fin da subito su imperativi categorici incontestabili, come l’ormai famoso motto “c’è un aggressore e un aggredito”, che in quanto a banalità può rivaleggiare con “il nuoto è uno sport completo” e “non ci sono più le mezze stagioni”. Mentre i telegiornali riproducevano freneticamente le immagini ad alto impatto emotivo delle conseguenze sui civili ucraini dell’aggressione militare russa, sui social, contemporaneamente, abbiamo assistito a una condivisione quasi spasmodica di contenuti sulla guerra. Utenti qualsiasi e grandi influencer si sono uniti sotto hashtag come “Stand with Ukraine”, producendo post in cui ognuno esprimeva la propria opinione sul conflitto o, peggio, si improvvisava esperto di geopolitica, e spesso fornendo a centinaia di migliaia di utenti una cronistoria raffazzonata e imprecisa, quando non del tutto falsa, delle relazioni tra Ucraina, Russia e Occidente negli ultimi trent’anni.

In molti casi, sui social e nei talk show sono state diffuse notizie approssimative, quando non addirittura false. Su un telegiornale nazionale sono apparse immagini di un videogioco, spacciate per bombardamento russo1. In uno dei più seguiti talk show serali si commentava una mappa dei sotterranei delle acciaierie di Azovstal, che in realtà era tratta da un gioco da tavolo2. In uno dei principali giornali italiani è stata pubblicata in prima pagina la foto di un civile in lacrime tra le macerie, presentandolo come effetto di un bombardamento russo quando in realtà erano immagini di un raid ucraino sulla città di Donetsk3. Soprattutto nei primi mesi di guerra, venivano diffuse notizie tratte direttamente dalla stampa ucraina senza neanche controllarne la veridicità, tant’è che in seguito molte si rivelavano false.

E se i media tradizionali devono sottostare alla legge della rapidità dell’informazione, i nuovi media – come i social – devono attenersi anche alla crudele legge dell’algoritmo. La guerra russo-ucraina è diventata da subito un trend topic, e per chi sui social ci lavora, cavalcare il tema del momento significa attrarre più traffico sul proprio profilo, più engagement e più follower. Si è così rafforzato il ruolo dei cosiddetti news influencers, persone che grazie al proprio imponente bacino di seguaci – spesso centinaia di migliaia di utenti – vengono percepite come fonti autorevoli: si esprimono sul tema del momento, volteggiando con leggerezza tra le materie più disparate ed ergendosi a sedicenti esperti di Covid-19, politologi internazionali, esperti di migrazioni, tutto in contemporanea e alla velocità di un clic. Le centinaia di migliaia di follower fanno da cassa di risonanza: condividendone i contenuti, ne aumentano la popolarità e, di conseguenza, l’autorevolezza (percepita).

Per quanto riguarda il conflitto russo-ucraino, i social non hanno certo contribuito a un’informazione dal basso più sfaccettata e plurale, anzi: si sono adattati alla narrazione già portata avanti sui media tradizionali. Il tema della guerra è stato fin da subito declinato in modo univoco dal mondo dell’informazione e recepito allo stesso modo dagli influencer sul web: poiché vivono di consenso, se avessero prospettato una visione diversa e alternativa, avrebbero rischiato di creare scompiglio nella loro community, un boomerang in termini di engagement e prestigio.

Anche sui social, come in televisione e sui giornali, è stata condotta una narrazione iperemotiva della guerra. Immagini forti e temi disturbanti come lo stupro, la violenza e la morte generavano più interazioni di noiose analisi geopolitiche o storiche. Il racconto del conflitto si è trasformato quindi in una vera e propria pornografia del dolore, che ha neutralizzato ancora di più la discussione pubblica.

Tutto questo ha creato una pesante distorsione nella coscienza collettiva e ha diffuso tra le persone reazioni sentimentali come paura, incertezza e rabbia. Paradossalmente, il coacervo di informazioni, opinioni e immagini angoscianti provenienti dal fronte ucraino, proiettate a ogni ora sugli schermi dei televisori e dei cellulari dei cittadini, ha ottenuto un solo risultato: la disinformazione.

1. Il linguaggio della guerra

Il conflitto è entrato a gamba tesa anche nelle discussioni private, oltre che nel dibattito pubblico. Rabbia, paura e confusione erano il denominatore comune. La versione dei fatti era una e solo una, non se ne contemplava di diverse, né tantomeno si aveva l’intenzione di farlo. I russi sono intrinsecamente malvagi, mentre gli ucraini sono buoni, innocenti e meritevoli – solo loro – della nostra pietà. E noi, che siamo ancora più buoni, dobbiamo aiutarli a contrastare gli invasori. Le immagini delle violenze del conflitto diffuse in ogni dove non facevano altro che rafforzare questa narrazione, perché di fronte alla brutalità, come può esserci giustificazione?

Ecco: giustificare. La giustificazione della guerra e la comprensione della guerra sono state equiparate. Spiegare, chiedere, dubitare, approfondire è diventato improvvisamente giustificare. E dunque inammissibile. Il nostro vocabolario è via via cambiato, abolendo il dibattito democratico, il pensiero critico e l’analisi degli eventi nella loro complessità. Si è fatto strada un nuovo tipo di dibattito e, di conseguenza, un nuovo tipo di linguaggio: quello della guerra.

Nei talk show si è pian piano consolidato l’utilizzo di epiteti violenti e squalificanti nei confronti di studiosi, intellettuali e giornalisti colpevoli di esprimere (anche solo timidamente) dubbi o perplessità circa il modo in cui veniva trattato il conflitto sui media. Ingiurie sconosciute prima del 24 febbraio 2022. Il linguaggio violento e l’approccio repressivo nei confronti del pensiero critico sono diventati la norma, tanto da influenzare i telespettatori, che li hanno replicati a loro volta in decine, centinaia di migliaia di interazioni sui social e nella vita reale.

Così come in guerra, anche nelle conversazioni si sono fatti strada due schieramenti contrapposti: c’è chi sostiene la battaglia della più evoluta civiltà occidentale contro le brutali orde asiatiche russe e poi ci sono tutti gli altri, non so..... ecc...

l'ho appena cominciato a leggere, sembra ottimamente documentato,
ve lo consiglio, ne avete un disperato bisogno.
Ma dove sta "la più evoluta civiltà occidentale contro le brutali orde asiatiche russe". C'e ancora gente che non ha capito che la "civilta' ocidentale" ha evoluto solo nel senso che ha creato non solo armi sempre piu micidiali e brutali, ma anche una mentalita' estremamente razzista e violenta, esemplificate proprie dalle due nazioni modello, ovvero USA in guerra prticamente da sempre, con finti urgenti motici,anche se mai attaccata da nessuna "orda incivile" ed Isreale che sta dando un otimo esempio di "civilta' occidentale" conducendo un massacro a Gaza, e creando il presupposto per attaccare anche altre nazioni, forte delle sue bombe atomiche, create inizialmente ed usate esclusivamente dalla EVOLUTA CIVILTA" OCCIDENTALE
Avatar utente
nerorosso
Connesso: No
Messaggi: 5841
Iscritto il: 8 giu 2019, 17:34
Ha Assegnato: 3531 Mi Piace
Ha Ricevuto: 2813 Mi Piace

Re: E se Putin non si accontenta del Donbass e della Crimea?

Messaggio da leggere da nerorosso »

RedWine ha scritto: 19 dic 2023, 18:55
Shamash ha scritto: 19 dic 2023, 14:21
Ucraina. Controstoria del conflitto. Oltre i miti occidentali
https://www.amazon.it/Ucraina-Benedetta ... 8855198904

Introduzione

Quando la Russia ha invaso l’Ucraina il 24 febbraio 2022, il mondo intero è stato colto di sorpresa. Nessuno si aspettava che la guerra potesse tornare in Europa, con l’aggressione di un fragile Stato come l’Ucraina da parte della superpotenza militare guidata dal presidente Vladimir Putin. Immediatamente, le case degli europei sono state raggiunte dalle drammatiche immagini della popolazione civile costretta a fuggire dalle proprie abitazioni, di edifici distrutti, bambini nei rifugi antiaerei, auto in fiamme.

Sui media tradizionali e sui social network il racconto della guerra è stato sempre mantenuto sul piano emotivo, irrazionale. La maggior parte delle persone sapeva poco o niente di Ucraina o di Russia, né tantomeno di Europa dell’Est, geopolitica o, in generale, affari internazionali. I media, quindi, avrebbero avuto il dovere di fornire un’informazione il più possibile completa, per permettere ai cittadini europei di farsi un’opinione consapevole su eventi che, almeno indirettamente, incidono anche sulle loro vite. Invece ai cittadini è stata offerta un’informazione del tutto unilaterale su ciò che stava avvenendo ai confini orientali del vecchio continente.

Il racconto del conflitto si è basato fin da subito su imperativi categorici incontestabili, come l’ormai famoso motto “c’è un aggressore e un aggredito”, che in quanto a banalità può rivaleggiare con “il nuoto è uno sport completo” e “non ci sono più le mezze stagioni”. Mentre i telegiornali riproducevano freneticamente le immagini ad alto impatto emotivo delle conseguenze sui civili ucraini dell’aggressione militare russa, sui social, contemporaneamente, abbiamo assistito a una condivisione quasi spasmodica di contenuti sulla guerra. Utenti qualsiasi e grandi influencer si sono uniti sotto hashtag come “Stand with Ukraine”, producendo post in cui ognuno esprimeva la propria opinione sul conflitto o, peggio, si improvvisava esperto di geopolitica, e spesso fornendo a centinaia di migliaia di utenti una cronistoria raffazzonata e imprecisa, quando non del tutto falsa, delle relazioni tra Ucraina, Russia e Occidente negli ultimi trent’anni.

In molti casi, sui social e nei talk show sono state diffuse notizie approssimative, quando non addirittura false. Su un telegiornale nazionale sono apparse immagini di un videogioco, spacciate per bombardamento russo1. In uno dei più seguiti talk show serali si commentava una mappa dei sotterranei delle acciaierie di Azovstal, che in realtà era tratta da un gioco da tavolo2. In uno dei principali giornali italiani è stata pubblicata in prima pagina la foto di un civile in lacrime tra le macerie, presentandolo come effetto di un bombardamento russo quando in realtà erano immagini di un raid ucraino sulla città di Donetsk3. Soprattutto nei primi mesi di guerra, venivano diffuse notizie tratte direttamente dalla stampa ucraina senza neanche controllarne la veridicità, tant’è che in seguito molte si rivelavano false.

E se i media tradizionali devono sottostare alla legge della rapidità dell’informazione, i nuovi media – come i social – devono attenersi anche alla crudele legge dell’algoritmo. La guerra russo-ucraina è diventata da subito un trend topic, e per chi sui social ci lavora, cavalcare il tema del momento significa attrarre più traffico sul proprio profilo, più engagement e più follower. Si è così rafforzato il ruolo dei cosiddetti news influencers, persone che grazie al proprio imponente bacino di seguaci – spesso centinaia di migliaia di utenti – vengono percepite come fonti autorevoli: si esprimono sul tema del momento, volteggiando con leggerezza tra le materie più disparate ed ergendosi a sedicenti esperti di Covid-19, politologi internazionali, esperti di migrazioni, tutto in contemporanea e alla velocità di un clic. Le centinaia di migliaia di follower fanno da cassa di risonanza: condividendone i contenuti, ne aumentano la popolarità e, di conseguenza, l’autorevolezza (percepita).

Per quanto riguarda il conflitto russo-ucraino, i social non hanno certo contribuito a un’informazione dal basso più sfaccettata e plurale, anzi: si sono adattati alla narrazione già portata avanti sui media tradizionali. Il tema della guerra è stato fin da subito declinato in modo univoco dal mondo dell’informazione e recepito allo stesso modo dagli influencer sul web: poiché vivono di consenso, se avessero prospettato una visione diversa e alternativa, avrebbero rischiato di creare scompiglio nella loro community, un boomerang in termini di engagement e prestigio.

Anche sui social, come in televisione e sui giornali, è stata condotta una narrazione iperemotiva della guerra. Immagini forti e temi disturbanti come lo stupro, la violenza e la morte generavano più interazioni di noiose analisi geopolitiche o storiche. Il racconto del conflitto si è trasformato quindi in una vera e propria pornografia del dolore, che ha neutralizzato ancora di più la discussione pubblica.

Tutto questo ha creato una pesante distorsione nella coscienza collettiva e ha diffuso tra le persone reazioni sentimentali come paura, incertezza e rabbia. Paradossalmente, il coacervo di informazioni, opinioni e immagini angoscianti provenienti dal fronte ucraino, proiettate a ogni ora sugli schermi dei televisori e dei cellulari dei cittadini, ha ottenuto un solo risultato: la disinformazione.

1. Il linguaggio della guerra

Il conflitto è entrato a gamba tesa anche nelle discussioni private, oltre che nel dibattito pubblico. Rabbia, paura e confusione erano il denominatore comune. La versione dei fatti era una e solo una, non se ne contemplava di diverse, né tantomeno si aveva l’intenzione di farlo. I russi sono intrinsecamente malvagi, mentre gli ucraini sono buoni, innocenti e meritevoli – solo loro – della nostra pietà. E noi, che siamo ancora più buoni, dobbiamo aiutarli a contrastare gli invasori. Le immagini delle violenze del conflitto diffuse in ogni dove non facevano altro che rafforzare questa narrazione, perché di fronte alla brutalità, come può esserci giustificazione?

Ecco: giustificare. La giustificazione della guerra e la comprensione della guerra sono state equiparate. Spiegare, chiedere, dubitare, approfondire è diventato improvvisamente giustificare. E dunque inammissibile. Il nostro vocabolario è via via cambiato, abolendo il dibattito democratico, il pensiero critico e l’analisi degli eventi nella loro complessità. Si è fatto strada un nuovo tipo di dibattito e, di conseguenza, un nuovo tipo di linguaggio: quello della guerra.

Nei talk show si è pian piano consolidato l’utilizzo di epiteti violenti e squalificanti nei confronti di studiosi, intellettuali e giornalisti colpevoli di esprimere (anche solo timidamente) dubbi o perplessità circa il modo in cui veniva trattato il conflitto sui media. Ingiurie sconosciute prima del 24 febbraio 2022. Il linguaggio violento e l’approccio repressivo nei confronti del pensiero critico sono diventati la norma, tanto da influenzare i telespettatori, che li hanno replicati a loro volta in decine, centinaia di migliaia di interazioni sui social e nella vita reale.

Così come in guerra, anche nelle conversazioni si sono fatti strada due schieramenti contrapposti: c’è chi sostiene la battaglia della più evoluta civiltà occidentale contro le brutali orde asiatiche russe e poi ci sono tutti gli altri, non so..... ecc...

l'ho appena cominciato a leggere, sembra ottimamente documentato,
ve lo consiglio, ne avete un disperato bisogno.
L'ho visto presentato sul canale YT di Stefano Orsi, con la partecipazione della stessa autrice.

Ordinato or ora…
SLAVA ROSSIJA!!! 🇷🇺
Rispondi