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Quella che era stata presentata come una tassa stile Robin Hood, rischia di diventare un leggero solletico per le banche. Il Governo Meloni sembra infatti aver raggiunto un accordo sulla cosiddetta tassa agli extraprofitti degli istituti di credito.
Le ragioni della tassa
Una norma che era stata annunciata in pompa magna nel mese di agosto e che aveva suscitato i malumori del settore bancario, della Banca Centrale europea e del solito circuito mediatico legato a doppio filo con quello finanziario.
Come scrivevamo ad agosto le ragioni alla base di questa tassa erano sacrosante: l’aumento dei tassi di interesse imposto dalla BCE ha contribuito infatti nell’ultimo anno a far impennare gli utili delle banche. Nel solo 2022 i sette principali gruppi bancari italiani hanno registrato utili pari a 13,3 miliardi di euro, in aumento del 60% rispetto all’anno precedente. Alcuni gruppi hanno addirittura registrato margini di miglioramento pari al 100% sull’anno precedente.
A fronte di questi immensi profitti, le banche non hanno però adeguato le remunerazioni dovute ai clienti. In sostanza gli interessi riconosciuti a coloro che hanno un conto in banca sono rimasti sostanzialmente gli stessi. Secondo i numeri forniti dall’ABI, osservando tutti i depositi, compresi quelli vincolati, l’interesse riconosciuto dalle banche ai clienti è passato dallo 0,32% dell’agosto 2022 allo 0,80% dell’anno successivo. Nulla se paragonato ai profitti degli istituti di credito.
La tassa sugli extraprofitti avrebbe dovuto quindi riequilibrare una situazione anomala, drogata dall’aumento dei tassi, senza giustificazione economica, da parte della BCE.
Le pressioni di Forza Italia
Tuttavia la modalità scelta dal Governo per annunciare questa iniziativa ha prestato il fianco ad attacchi incrociati. L’esecutivo non aveva infatti specificato alcuni dettagli fondamentali, tra cui l’ammontare del prelievo del Governo, ma soprattutto non si era dimostrato unito nell’obiettivo. “Meloni non può imporre, deve confrontarsi con noi. Mai più tasse sugli extraprofitti”, aveva subito dichiarato il leader di Forza Italia Antonio Tajani, sgonfiando di fatto la portata del provvedimento.
L’ostruzionismo di Forza Italia si è così protratto fino ad oggi, nel momento in cui l’esecutivo ha trovato un accordo sull’emendamento che verrà inserito nel decreto legge Asset, quello che appunto istituisce la tassa sugli extraprofitti. Intanto è stata definita la quantità del prelievo che arriverà, al massimo, allo 0,26% dell’importo complessivo dell’esposizione al rischio su base individuale. Secondo le stime del Governo, questa tassa dovrebbe portare circa 3 miliardi di euro nelle casse dello Stato. Una cifra piuttosto modesta e che potrebbe essere ulteriormente ridimensionata a causa di un’altra clausola presente nell’emendamento.
Le banche possono decidere di non pagare la nuova tassa
Alle banche sarà infatti concessa la possibilità di non versare la tassa, se gli extraprofitti saranno utilizzati per rafforzare il patrimonio della banca stessa e non per essere suddivisi tra gli azionisti. Quindi le aspettative di gettito del Governo sono vincolate alla scelta dell’istituto di credito e si prospetta così lo scenario già visto con la tassa agli extraprofitti delle imprese energetiche.
Quella norma, voluta dal Governo Draghi, avrebbe dovuto portare, secondo le stime, 11 miliardi di entrate aggiuntive. Alla fine nelle casse dello Stato ne sono entrati appena due. In questo modo banche e BCE sono stati tranquillizzati da un Governo che non sembra avere la forza di contrastare determinati poteri, dall’altra parte gli interessi riconosciuti ai conti correnti dei cittadini restano estremamente bassi.
In questa vicenda resta un problema di fondo sostanziale: in assenza di piena sovranità economica ad ogni manovra di bilancio il Governo di turno si trova a fare il gioco delle tre carte, provando a togliere a qualcuno per dare a qualcun altro.