potenti sempre impuniti
Inviato: 11 apr 2023, 13:47
Alla fine finisce sempre a tarallucci e vino, gli avvocati della classe dirigente di rinvio in rinvio e di cavillo in cavillo trovano sempre il modo di far assolvere i loro assistiti.
lo schifo di un Paese dove se rubi pochi euro per mangiare sei un ladro, se ne rubi migliaia per vizi sei uno bbbbuono (con i servi del tuo partito che ti difendono)
https://milano.corriere.it/notizie/cron ... 6xlk.shtml
La Cassazione retrocede il reato a «indebita percezione» e così scatta l'estinzione delle 29 condanne. Per i giudici non sono sindacabili le cene in compagnia, ma restano illeciti i rimborsi per sigarette e gratta e vinci
Due valutazioni giuridiche differenti della Cassazione, anzi della stessa sezione della Cassazione, nello stesso processo sullo stesso fatto imputato alle stesse decine di consiglieri regionali lombardi condannati in Tribunale e in Appello per peculato (il reato di chi si appropria di denaro pubblico) nei rimborsi di spese per finalità estranee all’esercizio del mandato istituzionale: che cosa è questa motivazione depositata adesso? Un esempio di come il «sentenzificio» di 50.000 verdetti l’anno in Cassazione possa dare luogo a un supermercato dove ciascuno può prendere dallo scaffale il precedente che più gli garba? Oppure un esempio di «evoluzione» giurisprudenziale che — come scrivono i giudici — «per affinamenti successivi è pervenuta a una tipizzazione della fattispecie di peculato»?
Nel caso dell’imputato, che aveva scelto il rito alternativo abbreviato e dunque era stato processato prima in uno stralcio, i giudici della Suprema Corte avevano già confermato la condanna per peculato ritenendo (come già in altri tre precedenti della Cassazione su consiglieri di altre Regioni) che il rimborso su autodichiarazione integrasse già in capo al consigliere regionale il requisito del possesso giuridico del denaro pubblico.
Ora invece, nel caso dei suoi coimputati (tra i quali ad esempio il capogruppo leghista in Senato, Massimiliano Romeo, o il figlio del «Senatúr», Renzo Bossi, o il deputato italiano Fabrizio Cecchetti e europeo Aneglo Ciocca), i giudici di un altro collegio della medesima VI sezione della Cassazione argomentano di voler «dare continuità» a due differenti precedenti della Corte per operare una distinzione: e cioè distinguono il reato del capogruppo consiliare, che ha la disponibilità giuridica dei fondi elargiti al gruppo e che dunque commette peculato se li impiega per finalità personali anziché istituzionali, dal reato invece del consigliere regionale, al quale ritengono non si possa imputare il possesso giuridico del denaro se presenta una richiesta di rimborso di scontrini (persino se autocertificata in modo anche carente), ma solo se per regolamento o per prassi può spendere direttamente il denaro, ad esempio con una carta di credito rilasciatagli dalla Regione. In questo caso, laddove pieghi le spese a finalità private, il suo reato diventa non più «peculato», ma «indebita percezione di erogazioni pubbliche», che però ha un termine di prescrizione (7 anni e 6 mesi) più breve del peculato e già esaurito, tale dunque da estinguere in questo processo 29 condanne (comprese quelle ai parlamentari che su richiesta del pm Paolo Filippini si erano aggirate tra l’anno e mezzo e i due anni).
In più — argomenta ora quest’ultima sentenza di Cassazione redatta dai relatori Tripiccione e Di Geronimo — siccome «nel processo penale l’imputato può rimanere anche totalmente inerte, confidando eventualmente nell’incompleta o insufficiente prova data dall’accusa», allora l’incompletezza o l’inadeguatezza dei giustificativi autocertificati dal consigliere regionale non bastano da sole ad attestare l’estraneità delle spese alle finalità istituzionali legittimanti il rimborso, ma é onere della pubblica accusa provare che la singola spesa (una ad una tra le migliaia di cui è fatto il capo d’imputazione) sia stata sviata dalla sua funzione pubblica e volta invece a soddisfare un interesse privato del consigliere. Il che, tradotto, si sfrangia in una ulteriore sotto-casistica da studiare e verificare.
Ad esempio non sono leciti i rimborsi non solo di sigarette o lotterie «gratta e vinci», ma pure di spese per il proprio staff anche quando questo personale abbia davvero svolto attività di supporto politico al consigliere regionale, e idem per le missioni anche quando siano davvero state trasferte di lavoro, perché queste attività finirebbero per essere pagate due volte visto che esistono già apposite voci nel bilancio. No ai rimborsi di spese in convenzione con ristoranti anche se fanno prezzo scontati, e no agli scontrini del pranzo del singolo consigliere perché — di nuovo — pure qui esiste già una apposita diaria. E invece in teoria (fino a prova contraria data dall’accusa) sì a pranzi e cene con più persone in ristoranti, pizzerie o osterie: qui la Cassazione, ai pm che traevano dalla dottrina della Corte dei Conti l’estraneità di queste spese al mandato politico, ribatte che nel giudizio penale, diversamente da quello contabile, non si può sindacare l’inappropriatezza del luogo o l’eccessiva entità (entro il tetto di legge) delle spese esposte dal consigliere regionale per l’assolvimento del proprio mandato istituzionale
lo schifo di un Paese dove se rubi pochi euro per mangiare sei un ladro, se ne rubi migliaia per vizi sei uno bbbbuono (con i servi del tuo partito che ti difendono)
https://milano.corriere.it/notizie/cron ... 6xlk.shtml
La Cassazione retrocede il reato a «indebita percezione» e così scatta l'estinzione delle 29 condanne. Per i giudici non sono sindacabili le cene in compagnia, ma restano illeciti i rimborsi per sigarette e gratta e vinci
Due valutazioni giuridiche differenti della Cassazione, anzi della stessa sezione della Cassazione, nello stesso processo sullo stesso fatto imputato alle stesse decine di consiglieri regionali lombardi condannati in Tribunale e in Appello per peculato (il reato di chi si appropria di denaro pubblico) nei rimborsi di spese per finalità estranee all’esercizio del mandato istituzionale: che cosa è questa motivazione depositata adesso? Un esempio di come il «sentenzificio» di 50.000 verdetti l’anno in Cassazione possa dare luogo a un supermercato dove ciascuno può prendere dallo scaffale il precedente che più gli garba? Oppure un esempio di «evoluzione» giurisprudenziale che — come scrivono i giudici — «per affinamenti successivi è pervenuta a una tipizzazione della fattispecie di peculato»?
Nel caso dell’imputato, che aveva scelto il rito alternativo abbreviato e dunque era stato processato prima in uno stralcio, i giudici della Suprema Corte avevano già confermato la condanna per peculato ritenendo (come già in altri tre precedenti della Cassazione su consiglieri di altre Regioni) che il rimborso su autodichiarazione integrasse già in capo al consigliere regionale il requisito del possesso giuridico del denaro pubblico.
Ora invece, nel caso dei suoi coimputati (tra i quali ad esempio il capogruppo leghista in Senato, Massimiliano Romeo, o il figlio del «Senatúr», Renzo Bossi, o il deputato italiano Fabrizio Cecchetti e europeo Aneglo Ciocca), i giudici di un altro collegio della medesima VI sezione della Cassazione argomentano di voler «dare continuità» a due differenti precedenti della Corte per operare una distinzione: e cioè distinguono il reato del capogruppo consiliare, che ha la disponibilità giuridica dei fondi elargiti al gruppo e che dunque commette peculato se li impiega per finalità personali anziché istituzionali, dal reato invece del consigliere regionale, al quale ritengono non si possa imputare il possesso giuridico del denaro se presenta una richiesta di rimborso di scontrini (persino se autocertificata in modo anche carente), ma solo se per regolamento o per prassi può spendere direttamente il denaro, ad esempio con una carta di credito rilasciatagli dalla Regione. In questo caso, laddove pieghi le spese a finalità private, il suo reato diventa non più «peculato», ma «indebita percezione di erogazioni pubbliche», che però ha un termine di prescrizione (7 anni e 6 mesi) più breve del peculato e già esaurito, tale dunque da estinguere in questo processo 29 condanne (comprese quelle ai parlamentari che su richiesta del pm Paolo Filippini si erano aggirate tra l’anno e mezzo e i due anni).
In più — argomenta ora quest’ultima sentenza di Cassazione redatta dai relatori Tripiccione e Di Geronimo — siccome «nel processo penale l’imputato può rimanere anche totalmente inerte, confidando eventualmente nell’incompleta o insufficiente prova data dall’accusa», allora l’incompletezza o l’inadeguatezza dei giustificativi autocertificati dal consigliere regionale non bastano da sole ad attestare l’estraneità delle spese alle finalità istituzionali legittimanti il rimborso, ma é onere della pubblica accusa provare che la singola spesa (una ad una tra le migliaia di cui è fatto il capo d’imputazione) sia stata sviata dalla sua funzione pubblica e volta invece a soddisfare un interesse privato del consigliere. Il che, tradotto, si sfrangia in una ulteriore sotto-casistica da studiare e verificare.
Ad esempio non sono leciti i rimborsi non solo di sigarette o lotterie «gratta e vinci», ma pure di spese per il proprio staff anche quando questo personale abbia davvero svolto attività di supporto politico al consigliere regionale, e idem per le missioni anche quando siano davvero state trasferte di lavoro, perché queste attività finirebbero per essere pagate due volte visto che esistono già apposite voci nel bilancio. No ai rimborsi di spese in convenzione con ristoranti anche se fanno prezzo scontati, e no agli scontrini del pranzo del singolo consigliere perché — di nuovo — pure qui esiste già una apposita diaria. E invece in teoria (fino a prova contraria data dall’accusa) sì a pranzi e cene con più persone in ristoranti, pizzerie o osterie: qui la Cassazione, ai pm che traevano dalla dottrina della Corte dei Conti l’estraneità di queste spese al mandato politico, ribatte che nel giudizio penale, diversamente da quello contabile, non si può sindacare l’inappropriatezza del luogo o l’eccessiva entità (entro il tetto di legge) delle spese esposte dal consigliere regionale per l’assolvimento del proprio mandato istituzionale