Nel 2014, alla luce del sole, gli Stati Uniti investirono 5 miliardi di dollari per cambiare il corso della storia. Un colpo di stato anticostituzionale (altrove chiamato “primavera”) fece letteralmente scappare, pena l’assassinio, il legittimo Presidente Janukovič, reo di aver sottoscritto un accordo di amicizia e collaborazione economica con la Russia. In piazza Maidan si ritrovarono tutte le forze che aspiravano a spezzare il legame storico fra Ucraina e Russia. In un mare di bandiere di estrema destra che sventolavano accanto a quelle europee, anche degli italiani, rappresentanti ufficiali delle istituzioni europee, più o meno consapevolmente, fomentavano una folla ubriaca di un concetto sino ad allora completamente estraneo alla società ucraina, ma già molto “di moda”: l’europeismo. E mentre le cancellerie occidentali si complimentavano a vicenda per i loro successi, iniziava la tragedia del popolo ucraino.
Il divieto di parlare la lingua russa, la chiusura di giornali, televisioni, siti internet in lingua russa, l’uccisione di decine di giornalisti, la messa fuorilegge di partiti politici e organizzazioni sindacali fecero da contorno alla cosiddetta Operazione antiterrorismo, ossia l’intervento militare ucraino contro i propri cittadini, che nelle regioni del Donbass (allora il territorio più ricco del paese) erano scesi in piazza per denunciare il colpo di stato e la loro volontà di non vivere sotto il nuovo potere nazionalista di Kiev. Di non voler essere oggetto della feroce pulizia etnica chiaramente proclamata dalle frange più estremiste del nuovo regime “democratico ed europeista”. Va ricordata, fra tutte, la strage del Palazzo dei Sindacati di Odessa del 2 maggio 2014 dove vennero massacrati e bruciati vivi un centinaio di antifascisti. La tragedia non ebbe nemmeno un cenno da parte di Cgil Cisl e Uil
Un ultimo, fondamentale tassello è quello relativo alla questione religiosa. Non ancora soddisfatto, l’Occidente è intervenuto anche in campo religioso, sostenendo la nascita di una chiesa autocefala ucraina, non canonica, che rompesse con la storia e le tradizioni che costituivano un elemento importante nei secolari rapporti con Mosca. È infatti dimostrato da molti documenti officiali il ruolo della Chiesa Ortodossa del Patriarcato di Costantinopoli, governata da uomini della CIA.
Nel maggio del 2014 la vittoria del “sì” al referendum democratico nelle regioni di Doneck (79%) e Lugansk segnò la nascita delle autoproclamate Repubbliche. Il referendum nella regione di Char’kov, invece, non ottenne i voti sufficienti per proclamarsi indipendente. Nello stesso periodo anche la Crimea, territorio storicamente russo e regalato da Chruščëv alla Repubblica Socialista Sovietica Ucraina nel 1954, ottenne l’indipendenza e il ricongiungimento alla Russia, deludendo le speranze di Kiev, che dal 1991 aveva cercato di ostacolare le aspirazioni autonomiste della regione. La richiesta di adesione alla Federazione Russa da parte del popolo crimeano fu dettata dalla volontà della quasi totalità della popolazione di rimanere parte del “mondo russo”. La Crimea evitò in tal modo le tragedie del Donbass e il buon fine delle aspirazioni americane di trasformare la penisola in una portaerei e una caserma NATO in mezzo al Mar Nero dove posizionare i missili nucleari contro Mosca.
Una volta iniziata la guerra civile in Donbass, la Germania e la Francia assunsero il ruolo di mediatori tra le parti, grazie al quale fu raggiunto, il 5 settembre 2014, il primo Accordo di Minsk, in cui la Federazione Russa si poneva come garante. Il 19 settembre 2014 fu firmato un Memorandum sull’attuazione delle disposizioni del precedente Protocollo di Minsk, atti sottoscritti dal governo ucraino di Kiev e i rappresentanti delle autoproclamate Repubbliche popolari di Doneck e Lugansk. Nel febbraio del 2015, a causa dell’incapacità degli accordi di garantire un cessate il fuoco duraturo, venne sottoscritto il secondo accordo di Minsk, trasfuso poi nella Risoluzione del Consiglio di Sicurezza ONU n. 2202, adottata all’unanimità. I punti cardine di questo accordo prevedevano il cessate il fuoco da ambo le parti, il ritiro degli armamenti pesanti dalla linea di contatto, uno status speciale per il Donbass attraverso una riforma costituzionale, il ripristino delle relazioni economiche fra Donbass e Kiev (ossia la ripresa dei pagamenti di pensioni, retribuzioni, ed energia elettrica da parte di Kiev ai cittadini del Donbass), il disarmo delle formazioni paramilitari e il ritiro delle forze armate straniere.
In questi otto anni l’accordo non fu mai ottemperato da Kiev, che al contrario continuò la guerra contro i cittadini delle regioni autoproclamatesi indipendenti. La guerra provocò 1,750mila profughi di cui oltre 1 milione verso la Federazione Russa (dunque la casa del “nemico”), oggi saliti ad oltre 2 milioni e seicentomila; oltre 24mila vittime e 35mila i feriti; 200 bambini uccisi, centinaia feriti, invalidi e mutilati. Più di 4 milioni e mezzo di abitanti hanno subito delle forti ripercussioni a causa del conflitto, con 3 milioni e 400mila che hanno vissuto per otto anni del solo aiuto umanitario russo. Il 60% di costoro sono donne e bambini, il 40% anziani; 200mila persone hanno vissuto nella “zona grigia di contatto”, una delle zone più minate del mondo.
Anche le infrastrutture civili sono state sistematicamente distrutte: 25mila abitazioni civili sono state bombardate o gravemente danneggiate; oltre 100 strutture medico ospedaliere demolite; 600 scuole, asili, istituti d’istruzione e orfanotrofi non sono più agibili. A questo si è aggiunto il colpevole silenzio della stampa occidentale. La stessa stampa che dal 24 febbraio diffonde le notizie false e propagandistiche costruite a tavolino negli uffici d’oltreoceano.
Questo è quindi il tragico scenario ucraino alla fine del 2022, alla vigilia dell’Operazione militare speciale russa.