Artide, ancora info.
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...Le nazioni con diritti territoriali sull’Artico sono otto: Canada, Danimarca (in rappresentanza della Groenlandia), Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Svezia e Stati Uniti. Insieme formano un organo ad hoc, il Consiglio Artico, in cui la Cina nel 2013 ha ottenuto lo status di osservatore, dichiarandosi successivamente una “nazione vicina all’artico”. Dei membri del consiglio tutti, meno naturalmente la Russia, fanno parte della sfera di influenza statunitense, e la maggior parte (tranne Svezia e Finlandia) sono anche membri dell’Alleanza Atlantica e spesso hanno condotto esercitazioni militari congiunte.
In un certo senso si ripresenta dunque nell’artico lo stesso senso di accerchiamento che caratterizza la Federazione Russa in Europa, con tre fondamentali differenze.
Innanzitutto in questo contesto la Russia è lo stato nettamente più grande sia per estensione che per popolazione oltre il circolo polare. Conseguentemente le sue ambizioni territoriali sono marcate e per la maggior parte supportate dal diritto internazionale; nel 2015 ha ampliato le proprie rivendicazioni che ora si estendono a 463.000 miglia quadrate di fondale, in concorrenza con simili rivendicazioni di Canada e Danimarca, con le quali tuttavia sono in corso negoziati bilaterali nell’ambito della convenzione Onu sul diritto del mare (UNCLOS, che però non è riconosciuta dagli Stati Uniti).
In secondo luogo la Federazione Russa vanta il maggior numero di personale militare nell’area e una lunga tradizione operativa nelle condizioni climatiche estreme dell’artico, cosa che contribuisce a rendere credibile il rinnovato impegno delle sue forze nella regione.
Infine, nell’area artica la Russia confina direttamente con la potenza rivale statunitense e quindi gli sforzi di ricostituire la propria posizione militare, pur in un’ottica difensiva, con lo scopo cioè di difendere i propri interessi territoriali e proteggere le proprie capacità di second strike (assoluta priorità strategica), inevitabilmente si tramutano in una possibile minaccia offensiva al territorio statunitense ed europeo e in una relativa capacità di proiezione di potenza.
L’interesse strategico Russo per l’area è ulteriormente aumentato dopo l’annessione della Crimea nel 2014: le correlate sanzioni economiche imposte dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti e in generale la tensione nei rapporti con l’occidente, come pure la pressione percepita da parte di una Nato ormai confinante, ha indotto il Cremlino ad investire per potenziare la propria presenza artica sia in ottica anti Nato che in ottica economica, cercando cioè di avvicinare il proprio asse commerciale all’Asia.
Nel 2014 dunque la Russia ha riorganizzato le proprie forze nell’area, creando un Comando Artico con lo scopo di proteggere le strutture militari esistenti e quelle programmate in futuro. È stata creata anche una brigata artica e a gennaio la Flotta del Nord è stata designata come quinto distretto militare russo. Nella storia russa è la prima volta che ad una flotta viene dato eguale status di un distretto militare di terra, il che sottolinea la priorità che gli apparati russi hanno attribuito al loro fianco settentrionale.
Alla Flotta del Nord, con base nella nevralgica penisola di Kola, appartengono sette sottomarini con missili balistici nucleari su undici totali. A partire dal 2017, ha iniziato a concretizzarsi un vasto ammodernamento delle forze, con l’aggiunta di unità di superficie di recente costruzione, quattro nuove brigate artiche (tra personale aereo, di terra, missilistico e di artiglieria) e una brigata motorizzata.
Il governo russo ha investito più di un miliardo di dollari nella ristrutturazione di tredici aeroporti e nel potenziamento delle stazioni radar con il sistema Sopka-2, che si trova impiegato ad esempio sull’isola di Wrangler, a sole trecento miglia dall’Alaska.
Questi sistemi vanno a creare una sorta di campana protettiva che permette alla Russia una copertura completa della sua costa settentrionale ed acque adiacenti. Anche i sistemi missilistici hanno visto una crescita, con un maggior numero di S-400 schierati in tutto il teatro (e di cui è stato annunciato un ulteriore incremento) e lo schieramento di Bastion-P e Panstair-S1 sull’ Isola Kotel’nyj e l’arcipelago di Novaja Zemlja.
Tutto ciò contribuisce a creare un complesso e stratificato sistema difensivo che mette in evidenza le capacità russe di area denial (cioè l’abilità di impedire o ridurre la capacità di manovra avversaria in un teatro) lungo tutta la sua linea costiera. A ciò si aggiungono gli investimenti per potenziare le infrastrutture esistenti e costruirne di nuove e, non da ultimo, per la costruzione di navi rompighiaccio a propulsione nucleare, di cui è prevista una flotta di circa cinquanta unità.
Già ora nell’artico si concentra il 20% del PIL russo, il 22% delle sue esportazioni e circa il 10% di tutti gli investimenti effettuati sul suolo russo. Circa il 75% del petrolio russo e il 95% del gas naturale si trovano nel Nord. Un’importanza che è destinata solo ad aumentare nei prossimi venti-trenta anni: per la Russia l’artico è una zona di interesse vitale, dove la difesa e il controllo del proprio territorio (comprese le acque) e delle sue risorse è condizione essenziale per la sopravvivenza economica dello stato e il mantenimento del ruolo di grande potenza cui aspira.
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L’interesse cinese
La Cina ha infatti aumentato il suo interesse per l’area, e il principale obiettivo di breve periodo è quello di normalizzare la propria presenza nella regione. Nel suo libro bianco del 2018 si è dichiarata stato vicino all’artico (“Near-Artic Nation”), e si è potuto osservare una crescita notevole delle attività legate alla presenza cinese, sia in ambito scientifico, con svariate spedizioni e con la costruzione di una base scientifica permanente sull’isola di Svalbard in Norvegia (Artic Yellow River Station), sia attraverso investimenti economici di varia natura. L’interesse dichiarato da Pechino è per l’accesso a risorse naturali e per le opportunità offerte dalle rotte marittime.
La strategia di soft-power delle “Vie della Seta” è stata implementata nell’artico con una “Via della Seta Polare” (Polar Silk Road Initiative), che si declina in investimenti infrastrutturali e di sviluppo delle comunità locali, attraverso la convergenza di capitali, tecnologie e conoscenze cinesi.
Il governo di Pechino ha inoltre espresso interesse per la costruzione e posa sul fondale artico di cavi dati per il trasferimento ad alta velocità, in modo da migliorare la comunicazione digitale tra Asia ed Europa.
A ciò si aggiunge lo sforzo in ambito navale: la Cina sta costruendo navi rompighiaccio a propulsione nucleare, nonché petroliere e navi cargo pensate per la navigazione polare. È evidente come gli sforzi della Cina mirino a creare una sua influenza nella regione artica, possibilmente attraverso una presenza fisica, su cui costruire negli anni a venire.Per ora il partner principale è la Russia, la quale ha riorientato le proprie esportazioni energetiche e minerarie verso l’Asia a partire dal 2014, e si rivolge a Pechino come fonte a lungo termine sia di capitali sia di tecnologie per lo sviluppo infrastrutturale del settentrione russo, in cambio soprattutto di risorse energetiche, fondamentali per il consumo e la diversificazione negli approvvigionamenti cinesi.
Un esempio è lo Yamal LNG project, un investimento da 27 miliardi di dollari per estrarre, processare e trasportare gas naturale nella penisola di Yamal, frutto di una joint venture tra la CNPC cinese e la russa Novatek...
Usa e NATO
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