SPIGOLANDO......

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grazia
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Re: SPIGOLANDO......

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Tutti i libri del mondo

(Hermann Hesse)

Tutti i libri del mondo
non ti danno la felicità,
però in segreto
ti rinviano a te stesso.

Lì c'è tutto ciò di cui hai bisogno,
sole stelle luna.
Perché la luce che cercavi
vive dentro di te.

La saggezza che hai cercato
a lungo in biblioteca
ora brilla in ogni foglio,
perché adesso è tua.
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grazia
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Re: SPIGOLANDO......

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LA LOGICA E LA DIALETTICA

Arthur Shopenhauer

"E' un peccato che fin dall'antichità dialettica e logica siano state adoperate come sinonimi, e che quindi io non sia così libero di separare il loro significato, come altrimenti vorrei, e definire la logica come "la scienza delle leggi del pensiero, cioè del modo di procedere della ragione", e la dialettica come "l'arte del disputare". Quindi la logica ha evidentemente un oggetto puramente a priori, determinabile senza l'intervento dell'esperienza, ossia le leggi del pensiero, il procedere che la ragione (logos) segue se è lasciata a se stessa e non è disturbata....La dialettica invece tratterebbe della comunione di due esseri razionali, che di conseguenza pensano insieme, cosa da cui, non appena essi non concordino come due orologi sincronizzati, sorge una disputa, cioè una battaglia spirituale. Come pura ragione i due individui dovrebbero concordare. Le loro divergenze scaturiscono dalla diversità che è costitutiva dell'individualità, e sono dunque un elemento empirico......La natura umana comporta infatti che quando nel pensare in comune....A si accorge che i pensieri di B sul medesimo oggetto divergono dai suoi, egli non va per prima cosa a riesaminare il proprio pensiero per trovare l'errore, ma presuppone che questo si trovi nel pensiero dell'altro: cioè l'uomo è per natura prepotente, vuole avere ragione: e ciò che consegue da questa proprietà è l'insegnamento della disciplina che io vorrei chiamare dialettica e che tuttavia, per evitare malintesi, chiamerò dialettica eristica. Essa sarebbe dunque la dottrina del modo di procedere della naturale prepotenza umana".
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Re: SPIGOLANDO......

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Una partita di vino...

(Da "Gocce di resina" di Mauro Corona)


Un parente di mia nonna paterna, persona molto intelligente e forse per questo diventato barbone ed inveterato bevitore, un giorno decise di non lavorare più. La fatica non figurava nei suoi piani futuri.
A 50 anni vendette le mucche, dilapidò i soldi in libagioni e iniziò a vivere di espedienti. Però, espedienti quasi sempre onesti.
Per bere un goccio, escogitava mille trucchi. E riusciva sempre a gabbare il malcapitato di turno. Ma in paese ormai lo conoscevano ed era alquanto improbabile che qualcuno ci cascasse. Allora Luiso emigrò nella bassa friulana, dalle parti del Collio dove si producono, credo, i migliori vini d'Italia. Lo seguì anche Bàrtol, un altro ertano amante del vino e convinto schivatore di fatiche. Un giorno i due decisero di visitare una cantina in quel di Cormòns. Dopo essersi fatti la barba, dal carretto di legno che si trascinavano appresso, i due tirarono fuori il vestito buono e lo indossarono. In dieci minuti, erano passati da barboni a baroni.
Poi, impeccabili, si presentarono al padrone della cantina.
"Siamo qui per acquistare del vino" dissero molto seriamente.
"Prego, accomodatevi, che vino vi serve?"
"Rosso - rispose Luiso - e, se è buono, anche un pò di bianco".
"Cosa avete - domandò il cantiniere - un ristorante, una trattoria, una frasca?"
"No - rispose Bàrtol come offeso - non abbiamo niente di tutto questo. Perchè? Occorre forse avere un ristorante per acquistare del vino?"
"Assolutamente no - si scusò il padrone - venite, venite che vi faccio assaggiare".
I due bevitori iniziarono il giro della cantina, che era enorme e con botti dappertutto. Davanti ad ognuna, il padrone spinava un mezzo boccale di nettare e lo porgeva ai due che assaggiavano. E lo svuotavano.
Poi passavano ad un'altra botte, sempre assaggiando.
Ogni tanto storcevano il naso. Il padrone, temendo che non acquistassero la partita di vino che sperava, li portava davanti a un'altra botte dove teneva quello ancora più buono. Alla fine, dopo aver assaggiato boccali da una decina di botti, i due cominciavano a dar segni di cedimento. Allora si fecero un segno d'intesa.
Chiamarono il padrone in disparte e, con serietà manageriale, Luiso gli disse:"Può bastare così, abbiamo fatto la nostra scelta".
Il padrone tirù fuori un quadernetto e una matita che teneva nel grembiule e disse:"Bene, allora ditemi le quantità ed i tipi che volete".
"Ci dia un fiasco del primo che abbiamo assaggiato" bofonchiò Luiso con lentezza...
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Re: SPIGOLANDO......

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Amor proprio

dal Dizionario Filosofico di Voltaire

Uno straccione dei dintorni di Madrid chiedeva con gran dignità l’elemosina; un passante lo apostrofò: «Non vi vergognate di fare questo mestiere ignobile, mentre potreste lavorare?» «Signore,» rispose il mendicante, «io vi ho chiesto del denaro, non dei consigli»; poi gli voltò le spalle conservando tutta la sua dignità castigliana. Era uno straccione orgoglioso, questo signore, e la sua vanità veniva ferita per un nonnulla. Chiedeva l’elemosina per amor di se stesso e, sempre per amor di se stesso, non tollerava rimproveri.

Un missionario, viaggiando in India, incontrò un fachiro carico di catene, nudo come una scimmia, sdraiato bocconi, che si faceva frustare per i peccati dei suoi compatrioti, i quali gli gettavano qualche soldo. «Che rinuncia a se stesso!» diceva uno degli spettatori. «Rinuncia a me stesso?» ribatté il fachiro. «Sappi che io mi faccio frustare il deretano in questo mondo solo per fare altrettanto con voi nell’altro, quando voi sarete cavalli e io cavaliere.»

Quanti hanno detto che l’amore di sé è la base di tutti i nostri sentimenti e di tutte le nostre azioni hanno dunque avuto pienamente ragione, in India, in Spagna, e in tutta la terra abitabile: e come nessuno scrive per dimostrare agli uomini che hanno una faccia, non c’è bisogno di provar loro che hanno dell’amor proprio. Questo amor proprio è lo strumento della nostra conversazione; assomiglia allo strumento che ci serve a perpetuare la specie: ci è necessario, ci è caro, ci procura piacere, ma bisogna tenerlo nascosto.
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Ovidio
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Re: SPIGOLANDO......

Messaggio da leggere da Ovidio »

grazia ha scritto: 13 feb 2021, 16:19 LA LOGICA E LA DIALETTICA

Arthur Shopenhauer

"E' un peccato che fin dall'antichità dialettica e logica siano state adoperate come sinonimi, e che quindi io non sia così libero di separare il loro significato, come altrimenti vorrei, e definire la logica come "la scienza delle leggi del pensiero, cioè del modo di procedere della ragione", e la dialettica come "l'arte del disputare". Quindi la logica ha evidentemente un oggetto puramente a priori, determinabile senza l'intervento dell'esperienza, ossia le leggi del pensiero, il procedere che la ragione (logos) segue se è lasciata a se stessa e non è disturbata....La dialettica invece tratterebbe della comunione di due esseri razionali, che di conseguenza pensano insieme, cosa da cui, non appena essi non concordino come due orologi sincronizzati, sorge una disputa, cioè una battaglia spirituale. Come pura ragione i due individui dovrebbero concordare. Le loro divergenze scaturiscono dalla diversità che è costitutiva dell'individualità, e sono dunque un elemento empirico......La natura umana comporta infatti che quando nel pensare in comune....A si accorge che i pensieri di B sul medesimo oggetto divergono dai suoi, egli non va per prima cosa a riesaminare il proprio pensiero per trovare l'errore, ma presuppone che questo si trovi nel pensiero dell'altro: cioè l'uomo è per natura prepotente, vuole avere ragione: e ciò che consegue da questa proprietà è l'insegnamento della disciplina che io vorrei chiamare dialettica e che tuttavia, per evitare malintesi, chiamerò dialettica eristica. Essa sarebbe dunque la dottrina del modo di procedere della naturale prepotenza umana".
Ciao Grazia, posso chiedere a NeroRosso di pubblicare questo pot sotto metafisica?
Grazie ... Grazia, Ovidio
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grazia
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Re: SPIGOLANDO......

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ovidio fai ciò che vuoi. Buona giornata!
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Re: SPIGOLANDO......

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Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti

di Italo Calvino

…) “gli onesti.
Erano costoro onesti non per qualche speciale ragione ( non potevano richiamarsi a grandi
principi, né patriottici né sociali né religiosi, che non avevano più corso), erano onesti per
abitudine mentale, condizionamento caratteriale, tic nervoso. Insomma non potevano farci
niente se erano così, se le cose che stavano loro a cuore non erano direttamente valutabili in
denaro, se la loro testa funzionava sempre in base a quei vieti meccanismi che collegano il
guadagno col lavoro, la stima al merito, la soddisfazione propria alla soddisfazione d’altre
persone. In quel paese di gente che si sentiva sempre con la coscienza a posto loro erano i soli
a farsi sempre degli scrupoli, a chiedersi ogni momento cosa avrebbero dovuto fare. Sapevano
che fare la morale agli altri, indignarsi, predicare la virtù sono cose che trovano troppo
facilmente l’approvazione di tutti, in buona o in malafede. Il potere non lo trovavano
abbastanza interessante per sognarlo per sé (almeno quel potere che interessava agli altri);
non si facevano illusioni che in altri paesi non ci fossero le stesse magagne, anche se tenute
più nascoste; in una società migliore non speravano perché sapevano che il peggio è sempre
più probabile.
Dovevano rassegnarsi all’estinzione? No, la loro consolazione era pensare che così come in
margine a tutte le società durante millenni s’era perpetuata una controsocietà di malandrini, di
tagliaborse, di ladruncoli, di gabbamondo, una controsocietà che non aveva mai avuto nessuna
pretesa di diventare la società , ma solo di sopravvivere nelle pieghe della società dominante e
affermare il proprio modo d’esistere a dispetto dei principi consacrati, e per questo aveva dato
di sé ( almeno se vista non troppo da vicino) un’immagine libera e vitale, così la controsocietà
degli onesti forse sarebbe riuscita a persistere ancora per secoli, in margine al costume
corrente, senza altra pretesa che di vivere la propria diversità , di sentirsi dissimile da tutto il
resto, e a questo modo magari avrebbe finito per significare qualcosa d’essenziale per tutti,
per essere immagine di qualcosa che le parole non sanno più dire, di qualcosa che non è stato
ancora detto e ancora non sappiamo cos’è.”

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Re: SPIGOLANDO......

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L'ONESTÀ
Trilussa

In una fattoria c'era un Majale
così sentimentale
che nun pensava che a le cose belle:
o odorava le rose,
o guardava le stelle,
o sospirava, a modo suo, s'intenne,
se vedeva passà le colombelle;
fu propio pe' 'sto fatto che je venne
l'idea de fasse amica una de quelle.

E defatti, una sera,
la chiamò, la fermò. Dice: — Scusate,
volemo inaugurà la primavera?
Ve porterò lontano,
laggiù, laggiù, sull'orlo der pantano
framezzo a le ranocchie innammorate.
V'aspetto? ce verrete? — Ce verrò. —

Come agnede a finì l'appuntamento
nun se n'accorse che la luna piena
che illuminò la scena
con un razzo d' argento...

Ma la matina appresso, ammalappena
ce se vidde un pochetto,
la Colombella volle torna a casa
più che de prescia, pe' nun da' sospetto
a la gente maligna e ficcanasa.
Però la vidde er Gallo. — Ah, brava! — fece —
Ciai le penne infangate... E ch'è successo?
Ritorni a casa adesso? Me fa spece!
Eppoi t'ho vista uscì da un certo sito...
Qui, commarella mia, gatta ce cova!
Se nun sia mai te trova tu' marito...

— Io ciò er diritto d'esse rispettata!
— rispose lei — L'onore è sacrosanto!
Che te ne preme, a te, dove so' stata?
So' sempre una Colomba e me ne vanto!
— Ah, certo: — fece er Gallo — ma nun tanto
quanto la fama che te sei scroccata!
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Re: SPIGOLANDO......

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PLUTARCO – L’ARTE DI ASCOLTARE


[…] "Il silenzio, dunque, E’ ornamento sicuro per un giovane in ogni circostanza, ma lo è in modo particolare quando, ascoltando un altro, evita di agitarsi o di abbaiare ad ogni sua affermazione, e anche se il discorso non gli è troppo gradito, pazienta ed attende che chi sta disertando sia arrivato alla conclusione; e non appena ha finito si guarda dall’investirlo subito di obiezioni, ma, come dice Eschine, lascia passare un po’ di tempo per consentire all’altro di apportare eventuali integrazioni o di rettificare e sopprimere qualche passaggio. Chi si mette subito a controbattere finisce per non ascoltare e non essere ascoltato, e interrompendo il discorso di un altro rimedia una brutta figura. Se invece ha preso l’abitudine di ascoltare in modo controllato e rispettoso, riesce a recepire e a far suo un discorso utile e sa discernere meglio e smascherare l’inutilità o falsità di un altro, e per di più dà di sé l’immagine di una persona che ama la verità e non le dispute, ed è aliena dall’essere avventata o polemica.”
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Re: SPIGOLANDO......

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l'angolino del sorriso

Politicamente Corretto....

Il presidente Renzi, in visita ufficiale in Inghilterra, viene invitato per un tè dalla Regina Elisabetta. Durante l’incontro le chiede qual è la sua strategia di leadership, e lei risponde che consiste nel circondarsi di persone intelligenti.
A questo punto Renzi le chiede come fa a giudicare se sono intelligenti. “Lo capisco facendogli la domanda giusta.” – risponde la Regina – “Mi permetta di dimostrarglielo”.
La regina allora telefona a David Cameron e dice: “Signor Primo Ministro, la prego di rispondere alla seguente domanda: sua madre ha un bambino, e suo padre ha un bambino, e questo bambino non è né suo fratello né sua sorella. Chi è?”.
David Cameron risponde: “Ovviamente sono io!”
“Corretto! Grazie, e a risentirci, sir.”, dice la Regina.
Sua Maestà attacca la cornetta e dice: “Ha capito Mr. Renzi?”.
“Sicuro. Grazie mille. Farò senz’altro anch’io così!”.
Al rientro a Roma decide di mettere alla prova Orfini: lo fa quindi venire a Palazzo Chigi, e gli dice: “Ascolta, Matteo, mi chiedevo se potessi rispondere a una domanda.”
“Certamente, signor Presidente, cosa vuole sapere?”.
“Ehm, tua madre ha un bambino, e tuo padre ha un bambino, e questo bambino non è né tuo fratello né tua sorella. Chi è?”.
Orfini ci pensa un po’, poi imbarazzato dice: “Posso pensarci meglio e rispondere poi correttamente?”. Renzi acconsente, e Orfini se ne va.
Appena uscito da Palazzo Chigi, Orfini organizza subito una riunione con altri colleghi di partito, i quali si lambiccano il cervello per diverse ore, ma nessuno riesce a trovare la risposta giusta.
Ad un certo punto ad Orfini viene in mente di interpellare il filosofo Cacciari e gli spiega la situazione: “Adesso ascolta la domanda: tua madre ha un bambino, e tuo padre ha un bambino, e questo bambino non è né tuo fratello né tua sorella. Chi è?”.
Cacciari risponde subito: “Ovviamente sono io!”Razza di deficienti!!”.
Estremamente sollevato, Orfini corre a Palazzo Chigi e dice al Presidente: “Presidente, so la risposta alla sua domanda! So chi è il bambino! E’ Cacciari!”.
E Renzi risponde, disgustato: “C.retino, è David Cameron!”.

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Re: SPIGOLANDO......

Messaggio da leggere da Ovidio »

grazia ha scritto: 17 feb 2021, 17:17 l'angolino del sorriso

Politicamente Corretto....

Il presidente Renzi, in visita ufficiale in Inghilterra, viene invitato per un tè dalla Regina Elisabetta. Durante l’incontro le chiede qual è la sua strategia di leadership, e lei risponde che consiste nel circondarsi di persone intelligenti.
A questo punto Renzi le chiede come fa a giudicare se sono intelligenti. “Lo capisco facendogli la domanda giusta.” – risponde la Regina – “Mi permetta di dimostrarglielo”.
La regina allora telefona a David Cameron e dice: “Signor Primo Ministro, la prego di rispondere alla seguente domanda: sua madre ha un bambino, e suo padre ha un bambino, e questo bambino non è né suo fratello né sua sorella. Chi è?”.
David Cameron risponde: “Ovviamente sono io!”
“Corretto! Grazie, e a risentirci, sir.”, dice la Regina.
Sua Maestà attacca la cornetta e dice: “Ha capito Mr. Renzi?”.
“Sicuro. Grazie mille. Farò senz’altro anch’io così!”.
Al rientro a Roma decide di mettere alla prova Orfini: lo fa quindi venire a Palazzo Chigi, e gli dice: “Ascolta, Matteo, mi chiedevo se potessi rispondere a una domanda.”
“Certamente, signor Presidente, cosa vuole sapere?”.
“Ehm, tua madre ha un bambino, e tuo padre ha un bambino, e questo bambino non è né tuo fratello né tua sorella. Chi è?”.
Orfini ci pensa un po’, poi imbarazzato dice: “Posso pensarci meglio e rispondere poi correttamente?”. Renzi acconsente, e Orfini se ne va.
Appena uscito da Palazzo Chigi, Orfini organizza subito una riunione con altri colleghi di partito, i quali si lambiccano il cervello per diverse ore, ma nessuno riesce a trovare la risposta giusta.
Ad un certo punto ad Orfini viene in mente di interpellare il filosofo Cacciari e gli spiega la situazione: “Adesso ascolta la domanda: tua madre ha un bambino, e tuo padre ha un bambino, e questo bambino non è né tuo fratello né tua sorella. Chi è?”.
Cacciari risponde subito: “Ovviamente sono io!”Razza di deficienti!!”.
Estremamente sollevato, Orfini corre a Palazzo Chigi e dice al Presidente: “Presidente, so la risposta alla sua domanda! So chi è il bambino! E’ Cacciari!”.
E Renzi risponde, disgustato: “C.retino, è David Cameron!”.

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Re: SPIGOLANDO......

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MISURARE LE PAROLE

Che il linguaggio contribuisca a forgiare ciò che pensiamo, sentiamo e addirittura percepiamo è qualcosa che la ricerca scientifica sa da tempo: schiere di psicologi, filosofi, sociologi e semiologi hanno ripetuto per tutto il Novecento che gli esseri umani sono fatti di parole e segni, oltre che di carne e ossa. È con le parole che costruiamo la nostra capacità di pensare, è di parole che sono fatti gran parte dei nostri pensieri, ed è dalle parole che dipende pure il mondo esterno, o almeno quella fetta che rientra nei limiti della nostra comprensione. Questa consapevolezza è ormai talmente diffusa da essere entrata nel senso comune: capita a tutti di sentir ripetere nei contesti più disparati, dai talk show ai supermercati, frasi come «Le parole sono pietre», che era il titolo di un libro di Carlo Levi, o «Le parole sono importanti», che fu urlata da Nanni Moretti nel film Palombella Rossa, per dar voce alla rabbia che il personaggio Michele Apicella provava contro i luoghi comuni sciorinati dalla giornalista che lo stava intervistando.
Le parole siamo noi insomma, e lo sappiamo. Inoltre sono pietre, nel senso che possono fare male, e molto. Se non si scelgono con ponderazione e non si usano con tatto. Anche di questa ponderazione ci riempiamo la bocca da anni, con il linguaggio politically correct: non diciamo più «handicappati» ma «disabili», non più «spazzini» ma «operatori ecologici», non più «negri» ma «neri» o «persone di colore». Per non parlare delle acrobazie linguistico-simboliche con cui cerchiamo di consolare le donne della loro discriminazione sociale ed economica, particolarmente più grave in Italia che in altri paesi sviluppati: «care colleghe e cari colleghi», «care/i colleghe/i», «car* collegh*» e via dicendo. Ma se da un lato ci esercitiamo in circonlocuzioni «politicamente corrette», dall’altro siamo pronti, oggi più di ieri, a usare la lingua in modo sbracato: turpiloquio, espressioni colorite, colloquiali e gergali hanno ormai invaso anche gli ambienti più colti ed elitari – dall’università all’azienda, dalla politica alle istituzioni – nell’idea che «parlare come si mangia» implichi maggiore autenticità ed efficacia del parlar forbito. Un’idea confermata tutti i giorni dai media, specie dalla televisione, dove l’aggressività linguistica è diventata per molti (giornalisti, star, ospiti) un vezzo, un fatto di stile. E in quanto tale fa tendenza e si riproduce ovunque, dai salotti chic ai flaming su internet.
Non è facile trovare un equilibrio fra questi due poli: da una parte, infatti, le formule politicamente corrette non bastano a costruire il rispetto che pretenderebbero di esprimere, ma restano spesso una semplice facciata, dietro alla quale si possono camuffare le peggiori tendenze razziste, omofobe e sessiste; d’altra parte è vero anche che la sciatteria linguistica può implicare sciatteria esistenziale e relazionale: «Chi parla male pensa male e vive male», diceva ancora Nanni Moretti/Michele Apicella. Ma se gli eccessi eufemistici possono cadere nell’ipocrisia, pure la posizione di Moretti corre i suoi rischi, che sono quelli dello snobismo: il mondo è pieno di persone che non hanno potuto dotarsi degli strumenti culturali necessari a raffinare il modo in cui parlano, ma sono ugualmente capaci di pensare e vivere benissimo, vale a dire con autenticità e rispetto per gli altri. Molto più di quanto non facciano certi sapientoni, la cui arroganza – verbale e non – vediamo all’opera tutti i giorni.
E allora, come se ne esce? Come si trova la misura giusta? Purtroppo non c’è una soluzione generale, perché l’attenzione, il senso di opportunità, il rispetto sono sempre relativi al contesto e al momento in cui si esercitano, ma soprattutto alla persona (o persone) a cui sono indirizzati. E oltre che con le parole possono essere trasmessi con l’espressione del volto, il tono della voce e gli atteggiamenti del corpo, con i quali si può confermare ciò che abbiamo detto, ma anche sconfessarlo. Perciò bisogna cercare la misura caso per caso, sempre ricordando che siamo ciò che diciamo e diciamo quel che siamo, ma lo diciamo con un mare di segni, sintomi e indizi ben più vasto delle parole, e lo diciamo anche con l’insieme dei nostri comportamenti e il tessuto delle nostre relazioni. Lo diciamo con tutta la nostra vita.

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Re: SPIGOLANDO......

Messaggio da leggere da nerorosso »

grazia ha scritto: 18 feb 2021, 14:55 MISURARE LE PAROLE

Che il linguaggio contribuisca a forgiare ciò che pensiamo, sentiamo e addirittura percepiamo è qualcosa che la ricerca scientifica sa da tempo: schiere di psicologi, filosofi, sociologi e semiologi hanno ripetuto per tutto il Novecento che gli esseri umani sono fatti di parole e segni, oltre che di carne e ossa. È con le parole che costruiamo la nostra capacità di pensare, è di parole che sono fatti gran parte dei nostri pensieri, ed è dalle parole che dipende pure il mondo esterno, o almeno quella fetta che rientra nei limiti della nostra comprensione. Questa consapevolezza è ormai talmente diffusa da essere entrata nel senso comune: capita a tutti di sentir ripetere nei contesti più disparati, dai talk show ai supermercati, frasi come «Le parole sono pietre», che era il titolo di un libro di Carlo Levi, o «Le parole sono importanti», che fu urlata da Nanni Moretti nel film Palombella Rossa, per dar voce alla rabbia che il personaggio Michele Apicella provava contro i luoghi comuni sciorinati dalla giornalista che lo stava intervistando.
Le parole siamo noi insomma, e lo sappiamo. Inoltre sono pietre, nel senso che possono fare male, e molto. Se non si scelgono con ponderazione e non si usano con tatto. Anche di questa ponderazione ci riempiamo la bocca da anni, con il linguaggio politically correct: non diciamo più «handicappati» ma «disabili», non più «spazzini» ma «operatori ecologici», non più «negri» ma «neri» o «persone di colore». Per non parlare delle acrobazie linguistico-simboliche con cui cerchiamo di consolare le donne della loro discriminazione sociale ed economica, particolarmente più grave in Italia che in altri paesi sviluppati: «care colleghe e cari colleghi», «care/i colleghe/i», «car* collegh*» e via dicendo. Ma se da un lato ci esercitiamo in circonlocuzioni «politicamente corrette», dall’altro siamo pronti, oggi più di ieri, a usare la lingua in modo sbracato: turpiloquio, espressioni colorite, colloquiali e gergali hanno ormai invaso anche gli ambienti più colti ed elitari – dall’università all’azienda, dalla politica alle istituzioni – nell’idea che «parlare come si mangia» implichi maggiore autenticità ed efficacia del parlar forbito. Un’idea confermata tutti i giorni dai media, specie dalla televisione, dove l’aggressività linguistica è diventata per molti (giornalisti, star, ospiti) un vezzo, un fatto di stile. E in quanto tale fa tendenza e si riproduce ovunque, dai salotti chic ai flaming su internet.
Non è facile trovare un equilibrio fra questi due poli: da una parte, infatti, le formule politicamente corrette non bastano a costruire il rispetto che pretenderebbero di esprimere, ma restano spesso una semplice facciata, dietro alla quale si possono camuffare le peggiori tendenze razziste, omofobe e sessiste; d’altra parte è vero anche che la sciatteria linguistica può implicare sciatteria esistenziale e relazionale: «Chi parla male pensa male e vive male», diceva ancora Nanni Moretti/Michele Apicella. Ma se gli eccessi eufemistici possono cadere nell’ipocrisia, pure la posizione di Moretti corre i suoi rischi, che sono quelli dello snobismo: il mondo è pieno di persone che non hanno potuto dotarsi degli strumenti culturali necessari a raffinare il modo in cui parlano, ma sono ugualmente capaci di pensare e vivere benissimo, vale a dire con autenticità e rispetto per gli altri. Molto più di quanto non facciano certi sapientoni, la cui arroganza – verbale e non – vediamo all’opera tutti i giorni.
E allora, come se ne esce? Come si trova la misura giusta? Purtroppo non c’è una soluzione generale, perché l’attenzione, il senso di opportunità, il rispetto sono sempre relativi al contesto e al momento in cui si esercitano, ma soprattutto alla persona (o persone) a cui sono indirizzati. E oltre che con le parole possono essere trasmessi con l’espressione del volto, il tono della voce e gli atteggiamenti del corpo, con i quali si può confermare ciò che abbiamo detto, ma anche sconfessarlo. Perciò bisogna cercare la misura caso per caso, sempre ricordando che siamo ciò che diciamo e diciamo quel che siamo, ma lo diciamo con un mare di segni, sintomi e indizi ben più vasto delle parole, e lo diciamo anche con l’insieme dei nostri comportamenti e il tessuto delle nostre relazioni. Lo diciamo con tutta la nostra vita.

G.Cosenza
Parlando di "collega", mi pare che secondo le regole dell'Italiano sia di genere neutro. Tutto sta al contesto in cui lo si usa e come lo si usa.
Se mi riferisco ad una mia precedente posizione lavorativa, in cui eravamo 5 o 6 individui di sesso maschile e una trentina di individui di sesso femminile (la polemica "gender" era di la da venire) forse parlarne come di "colleghe" non sarebbe sarebbe stato sbagliato. Nel contesto lavorativo attuale, dove abbiamo ben due donne su circa un centinaio, credo sia giusto, parlandone in generale, usare "i miei colleghi".

PS
Il genere di "collega" è dato dall'articolo che viene anteposto al termine.
SLAVA ROSSIJA!!! 🇷🇺
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Re: SPIGOLANDO......

Messaggio da leggere da grazia »

LE PAROLE INUTILI
Trilussa (Carlo Alberto Salustri)

Er Pappagallo, tutto soddisfatto
magna un biscotto silenziosamente.
— Perché nun parli mai? —je chiede un Gatto —
Com'è che nun t'insegneno a di' gnente?
S'io fossi quer che sei
quarche parola me l'imparerei. —
Er Pappagallo cór ciuffetto dritto
spalanca l'ale e se le sgrulla ar sole;
poi dice ar Gatto: — Più che le parole,
ho imparato a sta' zitto.
È inutile che insisti. Addio, Miciotto! —
E se rimette a rosicà er biscotto.
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grazia
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Re: SPIGOLANDO......

Messaggio da leggere da grazia »

l'angolino delle "riflessioni famose"


"""Quando un popolo, divorato dalla sete di libertà, si trova ad avere come capi dei coppieri
che gliene versano a volontà, sino ad ubriacarlo, accade che, se i governatori resistono alle
richieste dei sempre più esigenti sudditi son dichiarati tiranni. E avviene pure che chi si
dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito un uomo senza carattere e servo ;
che il padre impaurito finisce col trattare il figlio come suo pari e non è rispettato, che il
maestro non osa rimproverare gli scolari, e costoro si fanno beffe di lui, che i giovani
pretendono gli stessi diritti dei vecchi, e questi, per non parere troppo severi, danno
ragione ai giovani. In questo clima di libertà nel nome della medesima, non vi è più
riguardo né rispetto per nessuno, e in mezzo a tanta licenza, nasce e si sviluppa una
mala pianta: la tirannia.

PLATONE



„"""Uomini arretrati e uomini precorritori. – Il carattere sgradevole, che è pieno di diffidenza,
che prova invidia per ogni successo del suo competitore e del suo prossimo ed è violento e
collerico contro le opinioni divergenti, mostra di appartenere a un livello precedente di cultura,
e di essere dunque un residuo: infatti il suo rapporto con gli uomini era giusto e adeguato in
un'epoca in cui vigeva il diritto del più forte: è un uomo rimasto indietro. Un altro carattere,
che partecipa alla gioia altrui, si fa amici dappertutto, sente amore per tutto quanto cresce e
diviene, gode insieme con gli altri dei loro onori e successi e non si arroga la prerogativa di
essere il solo a conoscere la verità ed anzi è pieno di un'umile diffidenza – questo è un uomo
che precorre, che aspira a una cultura umana superiore. Il carattere sgradevole proviene dai
tempi in cui le rudimentali fondamenta dei rapporti umani erano ancora da costruire, l'altro
vive sul piano più alto di tali rapporti, il più lontano possibile dalla belva selvaggia che infuria
e urla nei sotterranei, rinchiusa sotto le fondamenta della cultura.“"" —

FRIEDRICH NIETZSCHE
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