SPIGOLANDO......

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grazia
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Da UTOPIA di Tommaso Moro

SUL LAVORO

[i""]Eliminate queste pericolose aberrazioni, create leggi per cui quelli che hanno distrutto i villaggi siano costretti a ricostruirli, oppure la proprietà dei terreni passi nelle mani di chi s'impegna a farlo. Non permettete ai più ricchi di comprare tutte le terre e controllare monopolisticamente il mercato. Fate che non vi siano così tante persone mantenute nell'ozio, ridate fiato all'agricoltura e all'artigianato della lana affinché chi è ridotto in povertà dalla mancanza di lavoro, o chi si da all'ozio e al vagabondaggio, possa guadagnarsi da vivere onestamente: in caso contrario, prima o poi, diventeranno tutti ladri. Se non risolverete questi enormi problemi sarà inutile appellarsi a una giustizia severa, perché questa è più spettacolare che giusta o efficace. Far su che i vostri giovani crescano nell'ozio e nella corruzione, permettendo che fin dalla più tenera età siano avvelenati a poco a poco dal vizio, per poi volerli punire quando sono adulti, non è forse, ti domando, come crescerli ladri per poi impiccarli?""
[/i]

Commento a cura di Alessandra Benenati

La mancanza di lavoro è un problema che ha da sempre caratterizzato la maggior parte dei Paesi e, come afferma Moro nella sua Utopia, questo dilemma è il primo e importante sintomo di un malfunzionamento nell’organizzazione dello Stato; bisogna che il governo si occupi seriamente di inserire ogni individuo nel mondo del lavoro, a partire dai giovani, educandoli a faticare per guadagnarsi da vivere e impedendo loro che intraprendano strade sbagliate. Chiaramente, è necessaria anche la volontà del singolo cittadino per far sì che questo piano vada a buon fine, per cui collaborazione tra Stato e popolo diventa un binomio inscindibile. La conquista del lavoro deve quindi diventare una garanzia, per assicurare all’uomo la conquista della propria dignità, poiché un uomo senza lavoro è in balia dei vizi e degli ozi; quella dignità che conduce tutti a rispettare le regole propinate dai governi, in quanto il popolo gode della situazione di benessere collettivo in cui si trova, senza ricorrere ad atti di delinquenza o vandalismo per crearsi uno spazio ideale. Del resto, anche la Costituzione Italiana, nel suo primo articolo, sancisce che “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”, lavoro che diventa sia un dovere, per risollevare le sorti di uno Stato, che un diritto, che garantisce al cittadino di ottenere un’esistenza serena fondata sul benessere e sulla legalità.

""“Che io possa avere la forza di cambiare le cose che posso cambiare, che io possa avere la pazienza di accettare le cose che non posso cambiare, che io possa avere soprattutto l'intelligenza di saperle distinguere.”" _Thomas More
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San Tommaso Moro.
👍👍👍👍👍👍👍
Con Tommaso apostolo ed EVANGELISTA, detto il Gemello, sono i due santi che venero di più.

Da aggiungere che San Tommaso Moro è il patrono dei politici.
La vita è come un ponte, puoi attraversarla ma non costruirci una casa sopra.
(Proverbio dei Sioux)
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Er Rospo e la Gallina

Trilussa

Un Rospo, ner sentì che 'na Gallina

cantava come un'anima addannata,

je domannò: - Ched'è che strilli tanto?

Ho fatto un ovo fresco de giornata:

rispose la Gallina - apposta canto.

Fai male, - disse er Rospo - male assai!

Tu lavori pe' l'ommini, ma loro

come t'aricompenseno el lavoro?

Te tireranno er collo

com'hanno fatto ar pollo, lo vedrai.

Nun te fidà de 'sta canaja infame

che t'ha cotto er marito ne la pila

e un fijo ner tegame!

Nun te fidà de 'sta gentaccia ingrata

che te se pija l'ova che je dài

pe' facce la frittata!...

Pianta 'sti sfruttatori e impara a vive!

Se loro vônno l'ova de giornata

nu' je dà retta: fajele stantive!
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Re: SPIGOLANDO......

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La Gallina lavoratora


Trilussa


Una Gallina disse ar PappaGalli:
― Tu forse parlerai senza rifrette,
ma oggiggiorno la bestia che sa mette
quattro parole assieme sta a cavallo;
t'abbasta d'aprì bocca e daje fiato
pe' mette sottosopra er vicinato.

Io, invece, che je caccio un ovo ar giorno
e Dio sa co' che sforzo personale,
io che tengo de dietro un capitale
nun ciò nessuno che me venga intorno,
nessuno che m'apprezza e che me loda
la mercanzia che m'esce da la coda!

Fra poco, già lo sento, farò un ovo:
ma visto che' sto popolo de matti
preferisce le chiacchiere a li fatti,
je lo vojo scoccià mentre lo covo...
Anzi, pe' fa' le cose co' giudizzio,
lo tengo in corpo e chiudo l'esercizzio!
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Disagio generazionale della gioventù di oggi

Il disagio socio, morale e culturale di cui soffre la gioventù d'oggi è più allarmante e complesso di quanto all'apparenza si possa immaginare. Bisogna, di necessità, andare ad analizzare le cause e le ragioni profonde di un vivissimo malessere che lacera e disturba intimamente e, in modo subdolo e inquietante il tessuto comportamentale della nuova generazione, alquanto vulnerabile, anche se, per fortuna, ancora non devastante si mostra nel suo complesso il vulnus che accompagna la violazione e la corruzione di tutta la intelaiatura e l'integrità morale dei nuovi modelli comportamentali, che investono e compromettono la new age, sfiduciata e irreverente riguardo ai veri valori tradizionali.

Il disagio generazionale si inserisce in una nuova e pervertita concezione di libertarismo che decade in una prospettiva di modernismo tout-court e individualismo/materialismo portato alle sue estreme conseguenze, che respinge tutte le passate regole di vita, per imporre nuovi modelli attraverso una linea netta di demarcazione fra il passato e il presente. I nuovi prototipi scellerati, messi a punto da una sorta di noia collettiva, in un avamposto d'inettitudine e di emarginazione/solitudine psicologica registrano al primo posto: l'atteggiamento di sfida nei confronti della società che li frustra, della famiglia che li trascura e del disfacimento di un tessuto sociale fatto essenzialmente d'inadempienze, di corruzione, di miserie intellettuali, costruito sulle falde argillose e frananti di una disaffezione ottusa e becera verso i valori reali che non corrispondono più ai secoli passati, ma in émpito rivoluzionario di abbattimento e amoralità si ritrovano a costruire nuovi miti, nuovi soggetti di emulazione: l'impotenza, la rabbia, le incertezze future, la disoccupazione, di una società devastata da squallidi e occasionali mercinomi, modellati al sovvertimento di tutte le categorie comportamentali e razionali, logiche e naturali della specie, intendono accogliere il nuovo modello epocale d'isolamento e di emarginazione in una deformata e ammalata solitudine spirituale, in assenza di valori, di ideali, di significati categoriali autentici si vanno affievolendo sempre di più il contegno, la dignità, la temperanza a favore dell'esibizionismo, della ostentazione, della vanagloria.

La gioventù dei nostri giorni tende l'orecchio alla fascinazione del disincanto, rimanendo ingabbiata in una strabiliante usurpazione e mistificazione d'immagine, dei principali miti della mitomania e megalomania irriducibili. La psiche deviata e malata annulla i freni inibitori e va dritto allo scopo che è quello del – tutto e subito –, dell'egoismo a fronte dei sacrifici, della libera e arbitraria finalità dei propri interessi individuali, a discapito della collettività, del buon senso, della morale, dei legami affettivi e della cultura.

Si relizza pertanto quella che io ritengo un'imperfetta versione dell'imperativo categorico kantiamo: l'analisi che ne consegue e di un esacerbato e contorto ostracismo nei riguardi della vita stessa, che non ha più alcun significato, scade nella condotta liberticida e nella disonestà sfacciata e provocatoria di un bene illusorio . L'esistenza come episodio irripetibile viene respinta, in sostituzione vengono messi i poteri forti della sfera emozionale, del sesso facile, del guadagno immediato. dell'interesse materico. Si tratta di vedere le cose come stanno: i nostri figli sono dominati da una irresponsabile e, spesso catastrofica insufficienza, di valori e di significati affettivi e morali. Si sentono spesso soli e incompresi. I più fragili si dedicano alla droga, i più forti (solo all'apparenza) preferiscono giochi pericolosi, meccanismi perfidi e crudeli di ribellione: bullismo, atti di arroganza e prepotenza verso i minorati, lanci di pietre dal cavalcavia, atti di libidine perpetrata in gruppo, sette sataniche, delitti efferati senza logica, pedofilia e atti indecenti d' ogni natura stanno a dimostrare la loro efferatezza. Spira un vento distruttivo di alienazione e di declino comportamentale che sembra sempre più prendere forma e divenire prassi o norma attitudinale di una gioventù allo sbando, o perlomeno, in cerca di spericolate esperienze da innescare in un una situazione deviante, che tende ad un lento e irrimediabile perturbamento della psiche aliena ad ogni regola morale. La perversione e l'aggressività violente che dominano la profonda crisi di oggi è messa in evidenza da episodi reiterati di eccessivo dominio dei sensi, i quali privati dalla funzione del discernimento, senza freni inibitori, insistono nel perpetrare danni ad, altri, senza la virtù della logica e del buon senso, né proggettualità futura nell'ottica arbitraria e aberrante di un condizionamento individuale deviante. I giovani d'oggi fanno parte di una consorteria smagata da un esistente che li defrauda ogni giorno di più, non hanno remore né ripensamenti non credono nel futuro, perché la legge di mercato consegna loro l'immagine viziosa e viziata dell'effimero, si svendono al miglior offerente, in base al guadagno immediato, al sesso facile, alla fraudolenta capacità di coglier al volo ogni probabilità,che ingeneri il privato interesse nel facile rapporto con il mondo, siano essi rapporti di scuola, di famiglia, di studi, di amicizie, di lavoro.

La gioventù moderna così aliena dai principi di morale e di etica ha come dictat imperativo l'inadempienza progettuale, la violenza contro i più deboli, il comportamento aggressivo e prevaricatore verso il "diverso". L'handicap non produce pietas, l'eros mitizzato all'ennesima potenza viene letteralmente usato come panacea all'irrisolta condizione di disagio esistenziale, spesso degradato e logorato da un entroterra familiare carico di problematiche: genitori assenti, separati, droga, carcere minorile, furti, eventi drammatici di emarginazione che li segnano per l'intera esistenza. Ma, se episodi anomali (in cui confluisce e si delinea la psichiatria) contenuti nei limiti delle statistiche, si potevano verificare qualche decennio fa, ora si può dire che la nuovissima generazione ha fatto il salto di qualità, ne sono coinvolti anche "i rampolli" della buona borghesia, quelli che una volta erano giudicati bravi figlioli di famiglia, Il dato di questa trasgressività che deflagra di anno in anno è divenuto preoccupante. Si registrano tassi di alienazione e di degrado morali fra le fasce di famiglie benestanti, (se non addirittura ricchi), fra professionisti con un livello di vita superiore alla media. Questo ci lascia allarmati. Cosa è accaduto, dunque, ai figli del duemila? L'evento più drammatico rientra in una trasgessività latente che va a conciliarsi col desiderio dell'immaginario che è di grande impatto amorale. Ma le conseguenze di questa nuova condotta sono defragranti e inquietanti, quasi come un boomerang si ritorce sulla psiche del giovane, occludendo le vie del bene collettivo, dell'altruismo, della cooperazione sociale. Vi è ancora un volontariato che tenta sopperire alle mancanze di uno stato latitante e inerte. Ma il degrado si fa più forte ogni giorno di più. Persiste nella sfera emotiva di questo specifico esistenziale' \ na marcata insufficienza della logica tradizionale. La sopravvivenza culturale e ideologica dei giovani viene continuamente compromessa da un fattore di competizione e di sopraffazione, oserei definirlo di supervalutazione dell'io, e con esso, dell'intero sistema comportamentale. Una devianza dell'equilibrio logico soggettivo, che diventa speculare di una (a)moralità diffusa che investe l'arbitrarietà delle azioni umane le quali, a loro volta, sperimentano un quid di nefandezze e ribellione e ne restano intrappolate. La frammentazione dei ruoli, il mancato dialogo, l'inculturalismo delle scuole, la cattiva educazione familiare, l'accelerazione dell'ego privatissimo mal si conciliano con la dirittura morale, che viene mandata alle ortiche, a favore di empi e sempre più irriducibili assedi della ragione. Le solitudini, l'isolamento, gli esasperanti deliri delle coscienze malate smarriscono sempre più facilmente le ragioni del bene. A fronte di una filosofia della vita inesistente, di una carente e lacunosa cultura, di un'insipiente quanto devastante noia, il prodotto psichico della loro esistenza diventa refrattario ad ogni concetto di valore: tutto si disgrega e si allontana dinanzi ai loro occhi: non si hanno certezze, manca di prospettive future ogni confronto, tengono in serbo solo tanta rabbia e inquietudine, pertanto, si allineano a reazioni eterodosse di nuove e sempre più difficili rapporti col mondo esterno, predisponendo ogni operato a surrogati di piacere, di profitto, e di interessi abnormi. La solitudine diventa un modulo di vita accettabile solo se suffragato dagli anestetici: droga, sesso, o peggio, dal paradigma in cui la volontà del male diventi come asseriva Kant: imperativo morale autonomo, prescindendo da ogni "dovere per il dovere" senza meritocrazia, il cui determinismo è solo ascrivibile al proprio adeguamento alla felicità, o presupposto individuale. Il giovane di oggi si sente alieno fra i propri simili, incapace di intrattenere un dialogo fra genitori e figli, fra coniugi, fratelli, colleghi, compagni, ne origina il caos psicologico che entrando in conflitto con le forze inibitorie determina la regola del più forte ingenerando di conseguenza un malessere generazionale senza scampo. La società giovanile di oggi deve fare i conti con il disagio e le devianze psicoculturali, economiche e strutturali della società e della famiglia, in seno alle quali si verificano diversificati episodi di compromissione: efferati delitti, stupri, violenze, emarginazione, spaccio di droga e di prostituzione anche giovanile sono all'ordine del giorno. La vita dei nuovi schiavi del duemila non è proprio un "eden" ed essi ne vengono contaminati, stravolti, devastati e risucchiati da un senso generale di impotenza e di scontentezza che logora i loro meccanismi di difesa, rendedoli aggressivi nei riguardi del simile, della società, del vicino, del compagno, dei genitori, degli insegnanti.

Ma, chiediamoci perché si susseguono continuamente, quasi giornalmente, episodi di teppismo, aggressione, di stupri esercitati da ragazzini in erba, che si uniscono in branco per esercitare più potere sulle vittime.

La società, purtoppo, è malata, manca di un piano comportamentale che si esercita già dalla prima infanzia, attraverso l'aggregazione e l'educazione ricevute in famiglia, ma la famiglia, come perno e criterio di educazione si è andata disgregando assumendo per certi versi la funzione aberrante del nichilismo più estremizzante invadendo in modo irreversibile i meandri bui di una generazione che vive nell"inadeguatezza meccanicistica e strumentale di un postmoder nisrno da giungla.
Saremo in grado di arginare il fenomeno?

Dr.essa Patrizia Serenelli
Psicologa-psicoterapeuta
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Saremo in grado di arginare il fenomeno?
FORSE. Ma probabilmente ci vorrà una guerra planetaria prima.
La vita è come un ponte, puoi attraversarla ma non costruirci una casa sopra.
(Proverbio dei Sioux)
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Re: SPIGOLANDO......

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Ninna Nanna Nanna Ninna
Trilussa

Ninna nanna, nanna ninna,
er pupetto vò la zinna:
dormi, dormi, cocco bello,
sennò chiamo Farfarello
Farfarello e Gujermone
che se mette a pecorone,
Gujermone e Ceccopeppe
che se regge co le zeppe,
co le zeppe d’un impero
mezzo giallo e mezzo nero.
Ninna nanna, pija sonno
ché se dormi nun vedrai
tante infamie e tanti guai
che succedeno ner monno
fra le spade e li fucili
de li popoli civili
Ninna nanna, tu nun senti
li sospiri e li lamenti
de la gente che se scanna
per un matto che commanna;
che se scanna e che s’ammazza
a vantaggio de la razza
o a vantaggio d’una fede
per un Dio che nun se vede,
ma che serve da riparo
ar Sovrano macellaro.
Chè quer covo d’assassini
che c’insanguina la terra
sa benone che la guerra
è un gran giro de quatrini
che prepara le risorse
pe li ladri de le Borse.
Fa la ninna, cocco bello,
finchè dura sto macello:
fa la ninna, chè domani
rivedremo li sovrani
che se scambieno la stima
boni amichi come prima.
So cuggini e fra parenti
nun se fanno comprimenti:
torneranno più cordiali
li rapporti personali.
E riuniti fra de loro
senza l’ombra d’un rimorso,
ce faranno un ber discorso
su la Pace e sul Lavoro
pe quer popolo cojone
risparmiato dar cannone!

(
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🤩🤩🤩
La vita è come un ponte, puoi attraversarla ma non costruirci una casa sopra.
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Re: SPIGOLANDO......

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LA TAZZA DI TE’

Un filosofo si recò un giorno da un Maestro Zen e gli dichiarò:

“Sono venuto a informarmi sullo Zen, su quali siano i suoi principi ed i suoi scopi”.
“Posso offrirti una tazza di tè?” gli domandò il maestro.
E incominciò a versare il tè da una teiera.
Quando la tazza fu colma, il maestro continuò a versare il liquido, che traboccò.
“Ma che cosa fai?” sbottò il filosofo. “Non vedi che la tazza è piena?”
“Come questa tazza” disse il maestro “anche la tua mente è troppo piena di opinioni e di congetture perché le si possa versare dentro qualcos’altro..
Come posso spiegarti lo Zen, se prima non vuoti la tua tazza?”

"La mente non può che fare riferimento al passato ed a quanto le è già noto.
Tutto ciò che riceve, lo interpreta alla luce delle precedenti esperienze ed opinioni.
In tal modo, però, impedisce un approccio diretto e fresco verso la realtà.
Se non liberiamo la mente dai pregiudizi non c’è modo, quindi, di apprendere nulla di veramente nuovo. "
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Re: SPIGOLANDO......

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l'angolino del sorriso

IO SONO MIO NONNO


“Signor Ministro della Difesa,
mi permetta di prendere rispettosamente la libertà di esporvi quanto segue, e di sollecitare per vostra benevolenza lo sforzo necessario al rapido disbrigo della pratica.
Sono in attesa della chiamata alle armi, ho 24 anni e sono sposato con una vedova di 44 anni, la quale ha una figlia di 25 anni.
Mio padre ha sposato tale figlia.
Quindi attualmente mio padre è diventato mio genero, in quanto ha sposato mia figlia.
Inoltre, mia nuora è divenuta mia matrigna, in quanto moglie di mio padre.
Mia moglie e io abbiamo avuto lo scorso gennaio un figlio.
Costui è quindi diventato fratello della moglie di mio padre, quindi cognato di mio padre; e inoltre mio zio, in quanto fratello della mia matrigna.
Mio figlio è dunque mio zio.
La moglie di mio padre a Natale ha avuto un figlio,
che quindi è contemporaneamente mio fratello in quanto figlio di mio padre, e mio nipote in quanto figlio della figlia di mia moglie.
Io sono quindi fratello di mio nipote, e siccome il marito della madre di una persona è suo padre, risulta che io sono padre della figlia di mia moglie e fratello di suo figlio.
Quindi io sono mio nonno!
Spiegato ciò, Signor Ministro, la prego di volermi concedere di essere esentato dal servizio militare, in quanto la legge impedisce che padre, figlio e nipote prestino servizio contemporaneamente.
Fermamente convinto della vostra comprensione, la prego Signor Ministro di accettare i miei più distinti saluti.”
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Re: SPIGOLANDO......

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Storiella Zen molto impegnativa.
Comunque sempre bella anche se vecchiotta.
Ma io non sono contrario, anzi, a dare ascolto ai vecchi racconti frutto della esperienza dei nostri avi.
Detto questo io sono sempre diffidente nei riguardi dei Pregiudizi.
Anche dei Pregiudizi nei confronti dei Pregiudizi.
Io non so cosa faresti Grazia, se oggi suonassero al campanello di casa tua, due ragazzine di chiara etnia rom, che dicono di aver sete e ti chiedono se puoi offrire loro una tazza di the.
La vita è come un ponte, puoi attraversarla ma non costruirci una casa sopra.
(Proverbio dei Sioux)
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Re: SPIGOLANDO......

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CAMMERA AMMOBBIJATA

Trilussa (Carlo Alberto Salustri)

Quanno ne li momenti d’allegria
ripenso a quarche buggera passata,
me ne rivado co’ la fantasia
in quela cammeretta ammobbijata
dove quann’ero giovane aspettai
la bella donna che nun viddi mai.
La sora Pia me disse: — Signorino,
se volesse passà verso le sei
a Via dell’Orso, dieci, mezzanino,
je manno un tipo come piace a lei:
un bocconcino propio da poeta… —
E se baciò la punta de le deta.
Perché ‘sta sora Pia, che da l’aspetto
pareva una degnissima signora,
s’affittava la cammera da letto,
tutto compreso, a dieci lire l’ora,
e spesso combinava l’abbordaggio
co’ quarche scampoletto de passaggio.
— Io — disse — n’ho vedute de regazze:
ma co’ quell’occhi, mai! So’ color celo:
che, quanno li tiè bassi, le pennazze
je fanno un’ombra blu, che pare un velo.
Eppoi che bocca! Fra le tante cose
ce se diverte a mozzicà le rose.
Ecco la chiave. Vada pure franco;
troverà scritto su la porta mia:
«Pia Sbudinfioni, cucitrice in bianco».
Entri e l’aspetti; eppoi, quanno va via,
me rimette la chiave ner cantone
dedietro ar busto de Napoleone. —
Nun ve dirò le smanie de quer giorno!
Appena entrato ne la cammeretta
smicciai le cose che ciavevo intorno:
el letto, er commodino, la toletta
capii che m’aspettaveno, ma senza
damme neppuro un po’ de confidenza.
Rivedo in un ritratto scolorito
la sora Pia, coll’abbito da sposa,
arrampicata ar braccio der marito
che, propio sur più bello de la posa,
aveva fatto un segno de protesta
perché la bomba nun je stava in testa.
Napoleone, ne l’atteggiamento
de chi vede er destino da lontano,
fissava rassegnato un paravento
che invece riparava un lavamano,
e faceva una smorfia co’ la bocca
quasi volesse di’: sotto a chi tocca!
Co’ la speranza de trovà un sorriso
me guardai ne lo specchio, ma er cristallo,
spaccato in mezzo, me sformava er viso:
me vedevo li denti de cavallo,
er naso sfranto e l’occhi stralunati
da nun conosce più li connotati.
— Va’ via, ch’è mejo… — me diceva er core
che in certi casi nun se sbaja mai —
Se a diciott’anni paghi già l’amore,
quanno n’avrai cinquanta, che farai?
T’illudi forse che la gioja nasca
così, a la ceca, come casca casca?
L’amore, quello vero, se conquista.
Tu, invece, te prepari a da’ li baci
su la bocca, che ancora nun hai vista,
d’una donna che forse nun je piaci,
ma te farà la stessa pantomima
ch’ha fatto a quello che c’è stato prima. —
Guardai che or’era: ce mancava poco.
Un po’ de sole entrava ne lo specchio
come una freccia e lo mannava a foco.
Pensai: — Ce tornerò quanno so’ vecchio… —
E rimisi la chiave ner cantone
dedietro ar busto de Napoleone.
1938
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Re: SPIGOLANDO......

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I DANNI DEL DIVORZIO

LA CANCELLAZIONE DELLA PAROLA "FAMIGLIA"

Drssa Francesca Soddu
Psicologo


Sulla Nuova Bussola Quotidiana, alcune settimane fa il collega Marco Guerra ha analizzato in modo preciso e attento gli effetti drammatici del divorzio soprattutto sui figli:” “La separazione con bambini è un problema di salute pubblica”, su questo tema venerdì scorso si sono confrontati a Roma, presso l’auditorium del Ministero della Salute, giuristi, esponenti della comunità medico-scientifica, psicologi, mediatori familiari e responsabili di strutture che operano nel sociale. L’iniziativa, la prima in Italia di questo genere, prende spunto dall’articolo ‘New approaches to divorce with children: A problem of public health’ curato dal pediatra Vittorio Carlo Vezzetti e pubblicato lo scorso novembre dalla prestigiosa rivista internazionale Health Psychology Open. Il testo rappresenta la più vasta metanalisi sulle conseguenze sanitarie delle separazioni nelle coppie con figli, soprattutto rispetto a quei casi in cui avviene la perdita di una delle due figure genitoriali o vi è una situazione di conflitto protratto. In questi mesi, l’articolo di Vezzetti ha fatto molto discutere poiché, mettendo a fuoco i danni organici subiti da bambini e adolescenti a seguito della perdita separativa, ha di conseguenza implicitamente additato i nuovi stili di vita delle società occidentali che inneggiano ad una libertà individuale scevra di ogni responsabilità relazionale nonché i costumi giurisprudenziali che prediligono un approccio monogenitoriale. Dalla ricerca di Vezzetti emerge quindi una verità scomoda, ovvero che i bambini soffrono terribilmente se vengono separati dalla madre o dal padre. Preso atto di questo dato incontestabile e alla luce dei 10 milioni di bambini che in Europa sono condannati a vivere senza uno dei due genitori (circa un milione e mezzo in Italia), molti ora concordano nell’affermare che la separazione che coinvolge dei minori è un fattore di grande rischio per la salute pubblica. Fatto sta che il convegno è stato ospitato nei locali della sede centrale del Ministero della Salute e ha ricevuto anche un messaggio di saluto del ministro, Beatrice Lorenzin, secondo la quale “l’argomento, purtroppo, riveste grande attualità e merita attenzione non solo dal punto di vista giuridico, ma anche per le innegabili implicazioni sulla salute e sul benessere dei soggetti coinvolti”. Tra i relatori dell’evento lo stesso pediatra Vittorio Carlo Vezzetti; l’avvocato familiarista patrocinante in Cassazione, Simone Pillon; Giorgio Vaccaro, avvocato e mediatore familiare; Ugo Sabatello, Neuropsichiatra infantile, ricercatore confermato presso Sapienza Università di Roma; Giovanni Camerini, Neuropsichiatra infantile e psichiatra, docente di psicologia giuridica presso le Università di Padova; Marco Pingitore, Psicologo psicoterapeuta, Presidente Società Italiana Scienze Forensi e Giovanni Lopez, Psicologo psicoterapeuta, responsabile dell’Area di psicologia clinica e giuridica de La Casa di Nilla. Vasta la platea di operatori in diversi settori convolti nella cura e nella custodia dei minori. Tutti gli esperti intervenuti si sono soffermati sul diritto imprescindibile del bambino a trascorrere tempi adeguati con la mamma e con il papà. Per questo motivo l’avv. Pillon, membro fra l’altro del comitato promotore del Family day, ha sottolineato la necessità di aiutare i genitori a restare uniti e a crescere i loro figli insieme, anziché condurre subito la coppia verso la separazione all’insorgenza delle prime incomprensioni. “Di fronte alle crisi delle coppie – ha spiegato Pillon – il primo obiettivo della società deve essere quello di trovare soluzioni per salvaguardare il superiore interesse del minore”. Pillon ha quindi indicato alcune strade da percorrere. Il tentativo di riconciliazione può essere affrontato in delle strutture apposite come la ‘Casa della tenerezza’ a Perugia, che propone un percorso di riconciliazione superato da circa il 60% delle coppie che finora vi si sono rivolte. Ma quando questo è proprio impossibile non resta che supportare in ogni modo l’affidamento materialmente condiviso con tempi equipollenti.
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grazia
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Nei Paesi in cui è stata attuata la politica dei tempi equipollenti, infatti, il conflitto si è drasticamente ridotto e la probabilità per un minore di perdere un genitore è crollata. Visto la mancanza di strumenti normativi adeguati, Pillon ha suggerito di promuovere presso tutti i 136 tribunali italiani un protocollo d’intesa sulla scorta di quello già concordato con il tribunale di Perugia, che fissa tempi equipollenti di frequentazione dei figli minorenni. A ricordarci quanto sia importate questo aspetto è stata di nuovo la Corte di Strasburgo che ad inizio maggio ha condannato l’Italia per l’ennesimo caso in cui il nostro Paese non è riuscito a garantire la relazione figlio minorenne-genitore escluso dall’altro genitore. La sentenza (Improta c. Italia, 4 maggio 2017) giunge a meno di due mesi di distanza dalle altre due in ambito di relazioni familiari. Ad oggi, come ha ricordato il pediatra Vezzetti al convegno, la separazione dei genitori è infatti il primo fattore dei perdita genitoriale per i bambini occidentali. Ad alcuni anni dalla separazione il 30% dei bambini italiani perde il contatto con una delle due figure mentre, grazie a politiche di affido materialmente condiviso, in Danimarca si è scesi al 12% e in Svezia al 13. Nei decenni passati la parental loss era dovuta alle guerre o agli incidenti. Gli studi sui grandi numeri condotti da Vezzetti dicono “che le conseguenze sulla salute sono potenzialmente gravi che possono arrivare sotto forme insospettabili dopo decenni”. Partendo dai modelli animali e poi passando in rassegna gli studi sui bambini che hanno subito questo topo di evento avverso, l’opera di Vezzetti ha dimostrato la base biologica del problema e le conseguenze indiscutibili sul benessere e la salute dei minori. Il trauma della separazione e in particolare la perdita di una delle due figure genitoriali porta a gravi alterazioni del sistema nervoso, ormonali e persino cellulari con un indebolimento ed invecchiamento precoce dei cromosomi. Si riscontrano poi danni legati all’alterata produzione delle citochine, che sono dei mediatori endogeni correlati con un vasto spettro di malattie. Sono stati inoltre documentati effetti sulla crescita e la statura, sull’insorgenza del morbo di Alzheimer, mieloma, artrite reumatoide e altre gravissime malattie. A tutto questo si aggiungono gli effetti già noti sulla salute psichica del bambino costretto a crescere senza un genitore: aumento dell’incidenza delle depressioni e insorgenza sindromi di iperattività e deficit di attenzione. Nel caso in cui la separazione avviene entro i nove anni questi effetti hanno il massimo dell’incidenza, l’impatto si attenua se l’evento traumatico avviene nell’adolescenza. Vezzetti arriva quindi a desumere dalla letteratura scientifica internazionale che è peggio perdere un genitore per divorzio che per morte, perché nel primo caso il figlio prendendo coscienza della situazione nutrirà rabbia contro il genitore che ha determinato la perdita dell’altra figura genitoriale. Anche Vezzetti concorda quindi nell’affermare che l’unico modello che attenua questi effetti e il rischio di perdita genitoriale è l’affido materialmente condiviso. Solo con esso si riscontra una netta diminuzione del grado di conflittualità. Come dicevamo all’inizio, l’aspetto più significativo di questa ricerca è che il tema separazione, a causa della sua frequenza e gravità, è da trattarsi prevalentemente come un problema di salute pubblica. E ora che anche la scienza afferma che i bambini che crescono privati dell’apporto paterno o materno rischiano seri problemi di salute, è necessario che le istituzioni smettano di trattare questo fenomeno sociale come una questione meramente giuridica. Il problema è anzitutto culturale e antropologico e chiede uno sforzo politico per rimettere al centro il benessere della coppia e il supremo interesse del bambino”.
Questo aspetto drammatico è stato precedentemente sottolineato circa un anno fa sempre sulla Nuova Bussola Quotidiana dalla giornalista Francesca Pannuti, con un interessante articolo:” Il 16 giugno scorso Papa Francesco ai partecipanti al Convegno ecclesiale della diocesi di Roma, tenuto a San Giovanni in Laterano sul tema: “La letizia dell’amore: il cammino delle famiglie a Roma alla luce dell’Esortazione Apostolica Amoris laetitia di Papa Francesco” ha detto che quanto trattato nel Sinodo “esigeva (ed esige) …non un rispetto diplomatico o politicamente corretto ma un rispetto carico di preoccupazioni e domande oneste che miravano alla cura delle vite che siamo chiamati a pascere”.Tra queste, occupano un posto di rilievo le apprensioni riguardo ai danni provocati dal divorzio sui figli. I figli dei divorziati vivono in genere una situazione di disagio? La Nuova BQ lo ha chiesto alla professoressa Raffaella Iafrate, Ordinario di Psicologia sociale e membro del Comitato direttivo del Centro d’Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che ha collaborato alla realizzazione del libro L’olio sulle ferite. Una risposta alle piaghe dell’aborto e del divorzio, Ed. Cantagalli, Siena 2009. “Dalla letteratura scientifica e dall’esperienza clinica – spiega – emerge che l’evento separazione, in quanto imprevedibile e traumatico per i figli, poiché stravolgente l’ordine familiare, comporta sempre una quota significativa di sofferenza e una necessità di cambiamento a livello affettivo ed organizzativo, anche quando, nella migliore delle ipotesi, non si rilevano effetti di conclamato disagio o patologia. Per il figlio la rottura di tale unione, che si pone all’origine della sua vita, evoca l’angoscia della possibilità stessa di sopravvivenza e assume il significato di una rottura di un’unità originaria di cui è il segno”. Iafrate prosegue dicendo che “dalle ricerche si evince inoltre con sempre maggior chiarezza come sia necessario non limitarsi ad osservare gli “effetti” della separazione in termini di “comportamenti” o di “indicatori di adattamento sociale” del figlio, ma come occorra spostare l’attenzione ai suoi sentimenti e alle sue emozioni e percezioni, che più sembrano risentire dell’aspetto traumatico dell’evento. Più spesso si tratta di un disagio fortemente interiorizzato, espresso, di solito, attraverso segnali più sottili, quali ansia, bassa autostima e tendenza alla depressione, che va codificato e fatto emergere perché possa essere “trattato””.
Quali possono essere gli effetti “a lungo termine” che la separazione può esercitare sui figli? La letteratura degli ultimi anni è concorde nel rilevare come molti problemi che sembrano contenuti o del tutto assenti in età prescolare e scolare possono letteralmente “esplodere” in adolescenza o in età giovane-adulta, quando cioè i figli si trovano spesso come “bloccati” sia sul piano affettivo, sia professionale. In che modo? In particolare, per i figli giovani adulti, rilevante sembrerebbe essere la percezione del sentimento di ingiustizia, quella cioè, di non avere dai genitori il sostegno a cui sentono che avrebbero diritto e di essere spesso costretti all’inversione dei ruoli che viene vissuta come pesante da gestire. Le evidenze empiriche più ricorrenti mostrerebbero soprattutto una minor capacità da parte dei figli di separati, rispetto ai coetanei di famiglie “intatte”, ad impegnarsi in relazioni affettive durature ed una maggior tendenza a sperimentare precocemente rapporti affettivi e sessuali occasionali, come pure maggiori difficoltà dal punto di vista della progettualità professionale e del raggiungimento di uno status economico stabile. L’esperienza della separazione coniugale dei genitori sembra dunque lasciare nei figli da un lato il timore di ripetere il loro “fallimento”. D’altra parte, emerge il loro bisogno di riscattare l’immagine di unità familiare perduta, investendo dunque precocemente e massicciamente, anche in modo idealizzato, in un proprio futuro familiare”.Da quanto avete appurato col lavoro della Sua équipe in Cattolica, per la valutazione dell’“idoneità” di un genitore o di entrambi i genitori sono sufficienti criteri socio-economici? L’idoneità di un genitore non è ovviamente riducibile a criteri socio-economici, ma nemmeno a sue caratteristiche di personalità. Oggi, grazie ad una visione familiare del problema introdotta già a partire dagli anni ’80 dalle ricerche di Cigoli, Scabini e collaboratori si è giunti progressivamente a ritenere fondamentale (salvo casi estremi) garantire l’accesso del figlio anche al genitore non convivente, secondo il criterio della “continuità” entro una logica generazionale riferita cioè non solo ai genitori ma anche alle stirpi materna e paterna. “Creare uno spazio per l’assente” e garantire l’accesso all’altro genitore, può significare allora aprire una porta sul dolore o sul conflitto, ma anche consentire al figlio di appropriarsi realisticamente della propria storia. Per i figli è a rischio la concezione stessa di persona come potenzialmente generativa di legami benefici e duraturi. Quali conseguenze può provocare la privazione della continuità del legame genitoriale? La negazione di questo diritto è uno dei più grandi gesti di ingiustizia che un genitore solo possa compiere contro il proprio figlio. Un possibile drammatico esito di un non rispetto di tale compito genitoriale è rappresentato dalla Sindrome di Alienazione Parentale che si incontra nei bambini che, entro una separazione altamente conflittuale, rifiutano perentoriamente i rapporti con uno dei due genitori. Tale disturbo, sul quale abbiamo posto l’attenzione in alcune nostre recenti ricerche, è infatti frutto di un’operazione di sistematica squalifica e denigrazione da parte di un genitore – generalmente l’affidatario – nei confronti dell’altro genitore. L’altro genitore viene quindi sminuito, come “svuotato” del suo ruolo genitoriale, irriso e “buttato fuori” dalla relazione con il figlio: viene escluso dalla relazione educativa. “Molti psicologi, educatori e assistenti all’infanzia hanno il brutto vizio di proporsi ai loro assistiti come un sostituto del genitore, … aumentando in questo modo la distanza tra genitore e figlio” si legge nella prefazione del libro Nidi violati, (Genitoriparma@.it, ed. Il Torchio). Come valuta il contributo della società in relazione alla famiglia? Penso che sia fondamentale che il mondo sociale offra alle famiglie percorsi di accompagnamento verso la realizzazione dei sui compiti: promuovendo esperienze di gruppi di genitori separati, o Percorsi di Enrichment Familiare, che facciano leva sulle risorse ancor più che sui bisogni di queste persone e consentano di uscire dall’isolamento nelle quali sono spesso relegate. O anche incoraggiando il ricorso alla Mediazione Familiare che consente alla coppia genitoriale di prendere accordi per la riorganizzazione delle relazioni familiari e favorendo la realizzazione di Gruppi di Parola per i figli di genitori separati. I figli devono sentirsi ascoltati e poter cercare strategie per migliorare il dialogo con gli adulti”.
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grazia
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Sempre sulla Nuova Bussola Quotidiana, nello scorso mese di gennaio la giornalista Benedetta Frigerio esamino’ il dramma degli adolescenti per il divorzio dei genitori:” Era da cinque anni che suo padre e sua madre erano separati e che lei, 14enne catanese, viveva il peso di questa rottura. Certamente i fattori erano molteplici (sensibilità, contesto storico, libertà…) ma fatto sta che la settimana scorsa, di ritorno nella casa materna, dopo aver passato il fine settimana in quella del padre si è impiccata, lasciando un biglietto ai genitori in cui li salutava e spiegava il suo gesto. Si sapeva che da quando papà e mamma si erano divisi la ragazzina non era più la stessa. Era buona sì, come se quel dolore la rendesse di più simpatetica a quello degli altri uomini, ma con un peso sulle spalle troppo grande: “Una ragazza solare ben voluta da tutti, ma aveva sempre un velo di tristezza negli occhi, forse la separazione dei genitori l’aveva segnata profondamente”, ha commentato la sua professoressa di italiano. Il caso non è isolato e ricorda quello di un bambino che nel 2012 a soli 10 anni si suicidò impiccandosi con una sciarpa perché, a detta dei nonni, “non aveva mai veramente accettato la separazione dei genitori. Ha sofferto molto e non ha mai superato il dolore. Era l’unica ombra nel cuore di Filippo”. Ombra, tristezza, riflessi nello sguardo, come se il pensiero del male fosse sempre in qualche modo lì fisso e distraente nella loro mente, portando probabilmente questi bambini a non essere mai completamente presenti e quindi capaci di affermare la realtà che gli si svelava davanti. Come un arto sempre ferito a cui è impossibile non pensare in continuazione. Chi non l’ha vissuto forse non può comprenderlo, ma “quando la coppia scoppia, il figlio prova un dolore dilaniante, è come se venisse spaccato in due”, ha spiegato la dottoressa Margherita Spagnuolo Lobb, direttore della scuola di psicoterapia di Gestalt Hcc Italy, commentando il suicidio della 14enne siciliana. I due casi estremi, ma che raccontano la disperazione di una generazione, che magari non arriva alla morte fisica ma al rifiuto della vita in altre forme nichiliste dilaganti (anoressie, droga, violenza, apatia, compulsioni varie), rende evidente che la ferita psicologica dei divorzi e delle separazioni è mortale per tutta la società. Perché ogni uomo dovrebbe poter crescere con la certezza, più o meno inconscia, di essere nato e di vivere come conseguenza di un atto d’amore che nulla potrà rompere, quello fra suo padre e sua madre, due figure che per lui sono inseparabili. La negazione di questa promessa insita nella nascita e di questa identità, il concepirsi frutto di un bene eterno, coincide dunque con la fine dell’esistenza. E’ come se il figlio si sentisse ucciso, non sapendo più chi è, né da dove viene. Si spezza, come dice Lobb, qualcosa in lui che lo getta nello smarrimento, nella paura e nella sfiducia verso ogni cosa. Perché se il luogo in cui si trova la sicurezza per crescere e avventurarsi nella vita svanisce, in cosa credere? Su che terreno solido poggiare i piedi per affrontare il quotidiano con fiducia? “Mia madre e mio padre si sono separati due volte, prima fra loro e poi dai loro “compagni”. Io mi posso fidare solo di me stesso. Non credo più in nulla, anche perché se resto deluso ancora che faccio?”, è l’inferno descritto da un ragazzino di 16 anni di una scuola professionale. Ed è un’altra morte di chi decide di negare ogni possibilità di bene piuttosto che rischiare di patire di nuovo uno strazio indicibile. Lo strazio della negazione della carità gratuita per cui veniamo al mondo, l’unico motivo per cui ogni uomo vive, lavora e persino pecca, nella speranza di ritrovarla. Quando questa speranza viene totalmente soffocata, dunque, accade quello che un’altra ragazza, trovata anni fa morta nei bagni di una stazione di Roma, scrisse prima di uccidersi: “Riconosco che mi avete voluto bene, ma non siete stati capaci di farmi del bene. Mi avete dato tutto, anche il superfluo, ma non mi avete dato l’indispensabile: non mi avete indicato un ideale per il quale valesse la pena di vivere! Per questo ho deciso di togliermi la vita! Perdonatemi, ma non ho altra scelta”.Episodi che la stampa tende a censurare, anche se la ragazzina (come anche noi) non giudicava definitivamente i genitori, bensì un semplice dato di fatto. Perché tutto può essere scusato e redento, ma le conseguenze del male si pagano ed è meglio conoscerle in anticipo, insieme ai rimedi possibili. La tragedia della mancanza di un senso amoroso per cui vale la pena il sacrificio di esserci e di affrontare l’esistenza è infatti tale che solo l’incontro con l’amore con la A maiuscola può permettere di tornare a sperare. Quell’Amore appunto che ha “usato”, per dirla con Testori ne “Il senso della nascita” (“in questo momento Dio è lì per continuare la sua creazione”), l’unione procreativa dei genitori. Quell’unico Amore che può trasformare la morte in una nuova vita. Questa volta immortale. Nell’ultimo libro di Alessandro D’Avenia “L’arte di essere fragili” compare la lettera di un ragazzino, figlio di due coniugi separati che hanno ovviato alla loro assenza riempiendolo di beni materiali, il quale per farsi notare aveva combinato di tutto. Leggendo i libri dell’autore però si era come accesa una luce in lui, per cui ringraziava D’Avenia così: “Sono orfano sebbene fisicamente esistano i miei genitori! L’unica cosa che ho imparato è che uno sguardo, un abbraccio sono in grado di annientare tutti gli oggetti che ci sono al mondo e sarà la prima cosa che insegnerò ai miei figli! Grazie ancora!”. Proprio come spiegò durante un’intervista a Tempi sui “figli del divorzio” la nota psicologa della famiglia Vittoria Sanese: “Se ci sarà qualcuno che gli farà compagnia dando senso e dignità alla loro esistenza e dolore, offrendo amore costante, allora la ferita sarà trasfigurata. E il bambino potrà capire che esiste un amore che resiste. E che c’è un senso buono del suo esserci. Serve quindi la fede in un’altra paternità”. Che è anche “un adulto che sappia trasfigurare la realtà in positivo, da cui, per chi crede, passa l’amore fedele di Dio”. Pur attraverso una ferita che può trovare vero sollievo in terra solo con la fedeltà al vincolo di Dio del coniuge tradito e redenzione nella riunione dei genitori. Ma che si rimarginerà davvero solo in Cielo”.
FINE
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