SPIGOLANDO......

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grazia
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ntonio Tabucchi

GLI ULTIMI TRE GIORNI DI FERNANDO PESSOA

“Pessoa appoggiò una guancia sul cuscino e fece un sorriso stanco. Caro António Mora, disse, Proserpina mi vuole nel suo regno, è ora di partire, è ora di lasciare questo teatro d’immagini che chiamiamo la nostra vita, sapesse le cose che ho visto con gli occhiali dell’anima, ho visto i contrafforti di Orione, lassù nello spazio infinito, ho camminato con questi piedi terrestri sulla Croce del Sud, ho attraversato notti infinite come una cometa lucente, gli spazi interstellari dell’immaginazione, la voluttà e la paura, e sono stato uomo, donna, vecchio, bambina, sono stato la folla dei grandi boulevards delle capitali dell’Occidente, sono stato il placido Buddha dell’Oriente del quale invidiamo la calma e la saggezza, sono stato me stesso e gli altri, tutti gli altri che potevo essere, ho conosciuto onori e disonori, entusiasmi e sfinimenti, ho attraversato fiumi e impervie montagne, ho guardato placide greggi e ho ricevuto sul capo il sole e la pioggia, sono stato femmina in calore, sono stato il gatto che gioca per strada, sono stato sole e luna, e tutto perché la vita non basta. Ma ora basta, mio caro António Mora, vivere la mia vita è stato vivere mille vite, sono stanco, la mia candela si è consumata, la prego, mi dia i miei occhiali.”
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grazia
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LA LEZIONE DELLA FARFALLA


Un giorno, apparve un piccolo buco in un bozzolo; un uomo che passava per caso, si mise a
guardare la farfalla che per varie ore, si sforzava per uscire da quel piccolo buco.
Dopo molto tempo, sembrava che essa si fosse arresa ed il buco fosse sempre della stessa
dimensione. Sembrava che la farfalla ormai avesse fatto tutto quello che poteva, e che non
avesse più la possibilità di fare niente altro. Allora l’uomo decise di aiutare la farfalla: prese un temperino ed aprì il bozzolo.La farfalla uscì immediatamente. Però il suo corpo era piccolo e rattrappito e le sue ali erano poco sviluppate e si muovevano a stento. L’uomo continuò ad osservare perché sperava che, da un momento all’altro, le ali della farfalla si aprissero e fossero capaci di sostenere il corpo, e che essa cominciasse a volare. Non successe nulla! In quanto, la farfalla passò il resto della sua esistenza trascinandosi per terra con un corpo rattrappito e con le ali poco sviluppate.Non fu mai capace di volare. Ciò che quell’uomo, con il suo gesto di gentilezza e con l’intenzione di aiutare non capiva, era che passare per lo stretto buco del bozzolo era lo sforzo necessario affinché la farfalla potesse trasmettere il fluido del suo corpo alle sue ali, così che essa potesse volare.
Era la forma con cui Dio la faceva crescere e sviluppare.
A volte, lo sforzo é esattamente ciò di cui abbiamo bisogno nella nostra vita.
Se Dio ci permettesse di vivere la nostra esistenza senza incontrare nessun ostacolo, saremmo limitati. Non potremmo essere così forti come siamo. Non potremmo mai volare.
Chiesi la forza…e Dio mi ha dato le difficoltà per farmi forte. Chiesi la sapienza… e Dio mi ha dato problemi da risolvere. Chiesi la prosperità… e Dio mi ha dato cervello e muscoli per lavorare. Chiesi di poter volare… e Dio mi ha dato ostacoli da superare.
Chiesi l’amore… e Dio mi ha dato persone con problemi da poter aiutare. Chiesi favori… e Dio mi ha dato opportunità.
Non ho ricevuto niente di quello che chiesi…
Però ho ricevuto tutto quello di cui avevo bisogno.
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FRAMMENTI

""In una fredda giornata d'inverno una comunità di porcospini si stringevano vicinissimi, per difendersi dal freddo con il reciproco calore. Ma ben presto si sentirono pungere dalle spine degli altri, e questo li fece di nuovo allontanare. Quando poi il bisogno di scaldarsi li indusse ancora a riavvicinarsi, si ripeté l'altro inconveniente; vennero così sballottati più volte fra i due mali, finché scoprirono una distanza intermedia a cui si trovavano bene. Analogamente, il bisogno di compagnia, che nasce dal vuoto e dalla monotonia del proprio intimo, avvicina gli uomini tra loro; ma le loro numerose qualità sgradevoli e i difetti insopportabili li separano nuovamente. La distanza intermedia a cui è possibile stare assieme, che infine trovano, è la cortesia, la finezza di costumi. In virtù di esse il bisogno di riscaldarsi a vicenda viene soddisfatto in modo incompleto, è vero, però in compenso non si sente la puntura delle spine. Ma chi possiede calore interiore in abbondanza preferisce starsene lontano dalla società, per non dare né ricevere disturbo.""

Schopenhauer
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L’ITALIA È MALATA, DI MENTE.»

DI ANDREA PURGATORI




Intervista con Vittorino Andreoli


«L’Italia è un paziente malato di mente. Malato grave. Dal punto di vista psichiatrico, direi che è da ricovero. Però non ci sono più i manicomi”. Il professor Vittorino Andreoli, uno dei massimi esponenti della psichiatria contemporanea, ex direttore del Dipartimento di psichiatria di Verona, membro della New York Academy of Sciences e presidente del Section Committee on Psychopathology of Expression della World Psychiatric Association ha messo idealmente sul lettino questo Paese che si dibatte tra crisi economica e caos politico e si è fatto un’idea precisa del malessere del suo popolo. Un’idea drammatica. Con una premessa: “Che io vedo gli italiani da italiano, in questo momento particolare. Quindi, sia chiaro che questa è una visione degli altri e nello stesso tempo di me. Come in uno specchio».

Quali sono i sintomi della malattia mentale dell’Italia, professor Andreoli?
“Ne ho individuati quattro. Il primo lo definirei “masochismo nascosto”. Il piacere di trattarsi male e quasi goderne. Però, dietro la maschera dell’esibizionismo”.

Mi faccia capire questa storia della maschera.
“Beh, basta ascoltare gli italiani e i racconti meravigliosi delle loro vacanze, della loro famiglia. Ho fatto questo, ho fatto quello. Sono stato in quel ristorante, il più caro naturalmente. Mio figlio è straordinario, quello piccolo poi…”.

Esibizionisti.
“Ma certo, è questa la maschera che nasconde il masochismo. E poi tenga presente che generalmente l’esibizionismo è un disturbo della sessualità. Mostrare il proprio organo, ma non perché sia potente. Per compensare l’impotenza”.

Viene da pensare a certi politici. Anzi, a un politico in particolare.
“Pensi pure quello che vuole. Io faccio lo psichiatra e le parlo di questo sintomo degli italiani, di noi italiani. Del masochismo mascherato dall’esibizionismo. Tipo: non ho una lira ma mostro il portafoglio, anche se dentro non c’è niente. Oppure: sono vecchio, però metto un paio di jeans per sembrare più giovane e una conchiglia nel punto dove lei sa, così sembra che lì ci sia qualcosa e invece non c’è niente”.

Secondo sintomo.
“L’individualismo spietato. E badi che ci tengo a questo aggettivo. Perché un certo individualismo è normale, uno deve avere la sua identità a cui si attacca la stima. Ma quando diventa spietato…”.

Cattivo.
“Sì, ma spietato è ancora di più. Immagini dieci persone su una scialuppa, col mare agitato e il rischio di andare sotto. Ecco, invece di dire “cosa possiamo fare insieme noi dieci per salvarci?”, scatta l’io. Io faccio così, io posso nuotare, io me la cavo in questo modo… individualismo spietato, che al massimo si estende a un piccolissimo clan. Magari alla ragazza che sta insieme a te sulla scialuppa. All’amante più che alla moglie, forse a un amico. Quindi, quando parliamo di gruppo, in realtà parliamo di individualismo allargato”.

Terzo sintomo della malattia mentale degli italiani?
“La recita”.

La recita?
“Aaaahhh, proprio così… noi non esistiamo se non parliamo. Noi esistiamo per quello che diciamo, non per quello che abbiamo fatto. Ecco la patologia della recita: l’italiano indossa la maschera e non sa più qual è il suo volto. Guarda uno spettacolo a teatro o un film, ma non gli basta. No, sta bene solo se recita, se diventa lui l’attore. Guarda il film e parla. Ah, che meraviglia: sto parlando, tutti mi dovete ascoltare. Ma li ha visti gli inglesi?”.

Che fanno gli inglesi?
“Non parlano mai. Invece noi parliamo anche quando ascoltiamo la musica, quando leggiamo il giornale. Mi permetta di ricordare uno che aveva capito benissimo gli italiani, che era Luigi Pirandello. Aveva capito la follia perché aveva una moglie malata di mente. Uno nessuno e centomila è una delle più grandi opere mai scritte ed è perfetta per comprendere la nostra malattia mentale”.

Torniamo ai sintomi, professore.
“No, no. Rimaniamo alla maschera. Pensi a quelli che vanno in vacanza. Dicono che sono stati fuori quindici giorni e invece è una settimana. Oppure raccontano che hanno una terrazza stupenda e invece vivono in un monolocale con un’unica finestra e un vaso di fiori secchi sul davanzale. Non è magnifico? E a forza di raccontarlo, quando vanno a casa si convincono di avere sul serio una terrazza piena di piante. E poi c’è il quarto sintomo, importantissimo. Riguarda la fede…”.

Con la fede non si scherza.
“Mica quella in dio, lasciamo perdere. Io parlo del credere. Pensare che domani, alle otto del mattino ci sarà il miracolo. Poi se li fa dio, San Gennaro o chiunque altro poco importa. Insomma, per capirci, noi viviamo in un disastro, in una cloaca ma crediamo che domattina alle otto ci sarà il miracolo che ci cambia la vita. Aspettiamo Godot, che non c’è. Ma vai a spiegarlo agli italiani. Che c vuoi, ti rispondono. Domattina alle otto arriva Godot. Quindi, non vale la pena di fare niente. E’ una fede incredibile, anche se detta così sembra un paradosso. Chi se ne importa se ci governa uno o l’altro, se viene il padre eterno o Berlusconi, chi se ne importa dei conti e della Corte dei conti, tanto domattina alle otto c’è il miracolo”.

Masochismo nascosto, individualismo spietato, recita, fede nel miracolo. Siamo messi malissimo, professor Andreoli.
“Proprio così. Nessuno psichiatra può salvare questo paziente che è l’Italia. Non posso nemmeno toglierti questi sintomi, perché senza ti sentiresti morto. Se ti togliessi la maschera ti vergogneresti, perché abbiamo perso la faccia dappertutto. Se ti togliessi la fede, ti vedresti meschino. Insomma, se trattassimo questo paziente secondo la ragione, secondo la psichiatria, lo metteremmo in una condizione che lo aggraverebbe. In conclusione, senza questi sintomi il popolo italiano non potrebbe che andare verso un suicidio di massa”.

E allora?
“Allora ci vorrebbe il manicomio. Ma siccome siamo tanti, l’unica considerazione è che il manicomio è l’Italia. E l’unico sano, che potrebbe essere lo psichiatra, visto da tutti questi malati è considerato matto”.

Scherza o dice sul serio?
“Ho cercato di usare un tono realistico facendo dell’ironia, un tono italiano. Però adesso le dico che ogni criterio di buona economia o di buona politica su di noi non funziona, perché in questo momento la nostra malattia è vista come una salvezza. E’ come se dicessi a un credente che dio non esiste e che invece di pregare dovrebbe andare in piazza a fare la rivoluzione. Oppure, da psichiatra, dovrei dire a tutti quelli che stanno facendo le vacanze, ma in realtà non le fanno perché non hanno una lira, tornate a casa e andate in piazza, andate a votare, togliete il potere a quello che dice che bisogna abbattere la magistratura perché non fa quello che vuole lui. Ma non lo farebbero, perché si mettono la maschera e dicono che gli va tutto benissimo”.

Guardi, professore, che non sono tutti malati. Ci sono anche molti sani in circolazione. Secondo lei che fanno?
“Piangono, si lamentano. Ma non sono sani, sono malati anche loro. Sono vicini a una depressione che noi psichiatri chiamiamo anaclitica. Penso agli uomini di cultura, quelli veri. Che ormai leggono solo Ungaretti e magari quel verso stupendo che andrebbe benissimo per il paziente Italia che abbiamo visitato adesso e dice più o meno: l’uomo… attaccato nel vuoto al suo filo di ragno”.

E lei, perché non se ne va?
“Perché faccio lo psichiatra, e vedo persone molto più disperate di me”.

Grazie della seduta, professore.
“Prego”.
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grazia
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Re: SPIGOLANDO......

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Di questi tempi "Repetita iuvant!"


Tratto da "Lettere da una prof"

“È ora di insegnare la buona educazione”.


La “buona educazione”. Sa di antichissimo. Di buone cose di pessimo gusto. Sa anche di obsoleto, di antiquato, di vecchio. Soprattutto, di sorpassato e di inutile. Una cosa da retrogradi che puzzano di naftalina. Fa venire in mente la falsità. La nebbia e i cipressi. Ville antiche piene di ragnatele, e di velluti impolverati. Fa venire in mente i fiori finti e gli animali impagliati dei crepuscolari.

Invece la maleducazione è moderna, allegra, spontanea, spigliata. La cafonaggine è sincera. Sa di “bando alle vane ciance!”. Un bel rutto liberatore e via, senza tanti problemi. La maleducazione è scherzosa ed è tranquillissima. Si manda tranquillamente e scherzosamente a quel paese senza pensarci due volte. Ma perché tanti giri di parole? Perché tergiversare con dei “Sono rimasta male per quello che hai detto, e non credevo che avresti potuto comportarti in quel modo”, quando si può risolvere tutto brillantemente con un sintetico “Vaf*******, st.r
La vita è breve e bisogna godersela. Il tempo è denaro e non si può sprecare. L’educazione è una perdita di tempo pazzesca. Se sei educato ti tocca pensare agli altri, buttare l’immondizia nel cassonetto e non dove ti trovi in quel momento. Ti tocca aspettare gli altri, prima di mangiare anche se hai fame. Se hai voglia di una grattatina non puoi dartela lì, ma devi andare a dartela dove non c'è nessuno. Una bella perdita di tempo. Se devi andare a prendere le sigarette non puoi neanche parcheggiare davanti al passo carraio che è proprio esattamente lì davanti, e ti tocca cercare un parcheggio chissà dove, e magari pagarlo, anche.

Una perdita di tempo e di energie. Una seccatura. Una cosa da vecchi che non hanno nulla da fare.

Hai pagato il biglietto sull’autobus e dovresti alzarti tu per far sedere la vecchia? Ma scusa…Non costano tutti uguali i biglietti?

Sei bello seduto qui sul treno e devi alzarti per aiutare la signora a mettere la valigia su? È un problema tuo?

“Scusa”, “Per favore”, “Buongiorno” e “Buonasera”. Ma quante scemate inutili!

Se hai voglia di sbadigliare perché non dovresti farlo? Non è una cosa naturale? Perché se una è grassa non puoi chiamarla “cicciona”? Non è la verità?

Quando rientri a casa di notte dovresti poter fare le cose comodamente, invece devi fare silenzio perché gli altri potrebbero svegliarsi…Ma ne hai colpa tu se vanno a letto con le galline? E poi sei in casa tua ed è giusto che tu faccia quello che vuoi.



Ieri ho incontrato sull’autobus un mio alunno. Non lo avevo visto. Mi ha chiamato lui.

“Ciao, prof!”, mi ha detto sorridendo. Io ero in piedi e lui era seduto.

“Ciao. Dove vai?”

“Vado a giocare a calcio”.

“Bene. Non tornare a casa tanto tardi, perché è buio”.

“No, torno alle nove”. Altro sorriso.

“Ciao!”

“Ciao!”.

Mi ha detto “Ciao”. In classe mi dice "buongiorno". A tredici anni non sa dare del “lei”. Non gli hanno insegnato a dare del “lei”, e appena fuori dalla scuola se ne dimentica.

Non mi ha fatto sedere. ma non è stato per menefreghismo. È che nessuno gli ha detto che è gentile cedere il posto. Altrimenti mi avrebbe fatto sedere. Ne sono sicura.



La buona educazione è morta.

Ebbene: deve resuscitare.

Ci sarebbe meno disagio, meno rumore, più rispetto.

Ma non si può pretendere che i ragazzi* conoscano le regole della buona educazione, quella basata sul RISPETTO
reciproco, se nessuno ha pensato di insegnargliela. L’educazione non è innata. Si impara. È innata la rozzezza.

La gentilezza si IMPARA. Quindi si può INSEGNARE.


mia annotazione:
anche ragazzi un po' cresciuti avrebbero bisogno di una ripassatina.....
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Re: SPIGOLANDO......

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LA PRIMA REGOLA

Non calpestare i fiori.

Proteggi i tuoi sogni
e semina il Domani.
Il Passato è Ieri
e l’Importante è Adesso.

Non usare l’arroganza per affermarti.
Non usare il sorriso per ferire.
Non soffocare il pianto e la gioia.
Non soffocare lo sguardo e l’azione.

Sfogliami senza calpestarmi,
Leggimi senza calpestarmi,
Accarezzami senza calpestarmi.
Sfogliami. Leggimi. Accarezzami.

(Elisa)
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Re: SPIGOLANDO......

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LETTERA DI UN ( ANZIANO) PADRE AL FIGLIO.

Se un giorno mi vedrai vecchio: se mi sporco quando mangio e non riesco a vestirmi... abbi pazienza, ricorda il tempo che ho trascorso ad insegnartelo. Se quando parlo con te ripeto sempre le stesse cose, non mi interrompere... ascoltami, quando eri piccolo dovevo raccontarti ogni sera la stessa storia finché non ti addormentavi. Quando non voglio lavarmi non biasimarmi e non farmi vergognare... ricordati quando dovevo correrti dietro inventando delle scuse perché non volevi fare il bagno. Quando vedi la mia ignoranza per le nuove tecnologie, dammi il tempo necessario e non guardarmi con quel sorrisetto ironico ho avuto tutta la pazienza per insegnarti l'abc. Quando ad un certo punto non riesco a ricordare o perdo il filo del discorso... dammi il tempo necessario per ricordare e se non ci riesco non ti innervosire: la cosa più importante non è quello che dico ma il mio bisogno di essere con te ed averti li che mi ascolti. Quando le mie gambe stanche non mi consentono di tenere il tuo passo non trattarmi come fossi un peso, vieni verso di me con le tue mani forti nello stesso modo con cui io l'ho fatto con te quando muovevi i tuoi primi passi. Quando dico che vorrei essere morto... non arrabbiarti, un giorno comprenderai che cosa mi spinge a dirlo. Cerca di capire che alla mia età non si vive, si sopravvive. Un giorno scoprirai che nonostante i miei errori ho sempre voluto il meglio per te che ho tentato di spianarti la strada. Dammi un po' del tuo tempo, dammi un po' della tua pazienza, dammi una spalla su cui poggiare la testa allo stesso modo in cui io l'ho fatto per te. Aiutami a camminare, aiutami a finire i miei giorni con amore e pazienza in cambio io ti darò un sorriso e l'immenso amore che ho sempre avuto per te. Ti amo figlio mio....LA MORALE: Non abbandoniamo i nostri genitori proprio nel momento del reale bisogno: loro non lo hanno mai fatto con noi.E ricordiamoci che la vita è una ruota: prima o poi cadremo nel fosso che noi stessi abbiamo scavato.-
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Re: SPIGOLANDO......

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LA MALEDUCAZIONE ITALIANA RAGIONI E RESPONSABILITÀ


Sembra proprio che il nostro Paese sia in declino. Tutti ne parlano, vengono evocate le ragioni più varie, alcune certamente reali. Una, tuttavia. mi sembra che manchi: nessuno cita la crescente maleducazione, l' arroganza, la mancanza di educazione sociale degli italiani in generale: sembra che nessuno di noi si preoccupi di migliorare un po' se stesso ogni giorno, cosa che farebbe bene al Paese e indurrebbe altri a comportamenti più corretti. Sono spesso all' estero: nessuno è perfetto naturalmente, ma bastano poche ore per avvertire la differenza (in peggio per noi). Perché non aprire un dibattito su questo tema? Massimo Lucchini Gilera Milano Caro Lucchini Gilera, O gni giudizio sulle buone maniere di un intero popolo è una pericolosa generalizzazione. La buona educazione può dipendere anche da particolari circostanze politiche e sociali. Ho vissuto lungamente in Francia e sono stato sempre colpito da quella che i francesi chiamano la «politesse»: un insieme di consuetudini che regolano la vita quotidiana in un Paese in cui tutti, dal patron di una grande impresa al più umile dei suoi dipendenti, sono sempre, l' uno per l' altro, «monsieur». Ma durante la guerra d' Algeria, soprattutto verso la fine degli anni Cinquanta, i francesi erano sgarbati, irritabili e trattavano gli stranieri come altrettanti intrusi. Erano preoccupati per la piega degli eventi e per il modo in cui il conflitto stava avvelenando la loro politica nazionale. In Italia esistono tratti di cortesia, umanità e bonarietà che sono meno evidenti in altri Paesi. Ma la scintilla della cortesia, da noi, scatta generalmente quando due persone scoprono di avere qualcosa in comune: la città d' origine, il gusto per certi passatempi, la frequentazione dello stesso bar, l' amore per la stessa squadra o le stesse idee politiche. Manca invece la cortesia formale, forse meno profonda e sincera, ma utilissima a oliare le ruote della vita quotidiana. Quando entra in un luogo pubblico o ne esce, l' italiano non si preoccupa di tenere aperta la porta per la persona che lo segue. Quando incrocia una persona sulle scale del condominio in cui abita non gli riserva né un sorriso né un cenno del capo. Quando ha fretta e deve farsi strada fra molta gente, non chiede «permesso», non si scusa, non sorride. Quando deve fare la coda non lascia un decoroso spazio fra se stesso e gli altri. Quando discute con un amico o parla al telefono in un luogo pieno d' altre persone, non modera il tono della voce, non cerca di dare agli altri il minore fastidio possibile. E quando guida l' automobile o la motocicletta tratta i passanti come se avessero il dovere di lasciargli il passo. Le persone che arrivano dalla Francia, dalla Germania, dalla Svizzera, dai Paesi scandinavi e dalla Gran Bretagna osservano queste maniere, ne sono sorprese e irritate. La sorpresa e l' irritazione diventano maggiori quando s' imbattono, al contrario, in una cortesia esagerata, invasiva e quasi servile. Dopo essere stati trattati villanamente, diffidano di questa gentilezza eccessiva e temono che nasconda qualche raggiro. Vorrebbero un po' più di educazione e un po' meno di familiarità. Suppongo che psicologi e sociologi potrebbero aiutarci a capire un fenomeno che non ha molto a che vedere con il «declino» di cui discutiamo da qualche anno. A me sembra che sulle cattive maniere di molti italiani pesino alcuni fattori: l' analfabetismo, solo apparentemente sconfitto, la scuola, la famiglia. Due ragioni, in particolare, mi sembrano importanti. La prima è la debolezza della borghesia italiana. Il galateo della vita quotidiana è una invenzione democratica e borghese. Nasce in Gran Bretagna verso la fine del Settecento, si diffonde in Francia, in Germania, in Austria, Svizzera, Ungheria e nei Paesi scandinavi durante l' Ottocento; ed è strettamente legato alla rivoluzione industriale, al ruolo crescente della borghesia negli affari e in politica. In Italia, come in altri Paesi del Mediterraneo e dell' Europa slava, la rivoluzione industriale arriva tardi e non riesce neppure a modificare le più elementari norme della convivenza civile. Sino a pochi anni fa gli ufficiali davano del tu ai soldati e i padroni di casa facevano altrettanto con i loro domestici. La seconda ragione, non meno importante, è lo stile della classe politica e di coloro (sportivi, cantanti, attori, uomini d' affari, artisti, intellettuali) che godono di una certa notorietà, appaiono spesso in pubblico e diventano per questa ragione modelli di comportamento per una parte importante della società. Perché essere educati in un Paese dove le élite (mai parola è stata così male usata) litigano in pubblico, si insultano, usano un linguaggio triviale, raccontano storie ammiccanti e soprattutto fanno un uso feudale del loro potere?

Romano Sergio
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Re: SPIGOLANDO......

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L'EDUCAZZIONE" (Trilussa)

Ce fu una Mosca che me se posò
su un pasticcio de gnocchi, io la cacciai:
ma quella, si! scocciante più che mai,
fece un giretto ar sole e ritornò.
“Sciò!” je strillavo, “sciò!...
ché, se t’acchiappo, guai!
Se fussi una farfalla, embé, pazzienza,
Ché armeno, quelle, vanno su le rose:
ma tu che te la fai
su certe brutte cose, è ‘na schifenza!...”

La Mosca me rispose: “Avrai raggione,
ma la corpa è un po’ tua che da principio
nun m’hai saputo da’ l’educazzione.

La trovo giusto che me cacci via
se vado su la robba che te piace,
ma nun me spiego che me lasci in pace
quanno me poso su la porcheria!”
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Re: SPIGOLANDO......

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Due uomini avanzavano nella notte lungo un sentiero che attraversava una foresta oscura su una montagna sperduta.

Uno dei due era cieco: lo guidava il compagno.

Nel buio intrico della vegetazione, d'improvviso un demone si levò dinanzi a loro.
Il cieco non provò spavento alcuno, mentre il compagno ne ebbe un gran terrore.

E fu allora il cieco a guidare l'amico.


Quel che conta
Guardare è una cosa.Vedere quel che guardate è un 'altra cosa.
Ma agire in base a quel che avete imparato è quel che conta.
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grazia
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Re: SPIGOLANDO......

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ricordo, rimpianto o nostalgia.......
Il ricordo di un treno: un bellissimo racconto d’amore del maestro Evro Carosi

11 novembre, 2014


Il treno di Giulio, era anche il suo treno. Quando lui saliva, lei era già seduta nel solito scompartimento. Si è sempre chiesto dove abitasse quella ragazza che tutte le mattine gli dava la forza per tirarsi fuori dal letto. Mai una parola in tanti anni di scuola. Scendevano entrambi in città. Lui prendeva un autobus e lei proseguiva a piedi. Giulio era uno studente modello, di quelli che scioglierebbero lingua e cuore a qualsiasi mamma. Per pagarsi gli studi faceva qualche lavoretto serale. Lei era la donna del mistero, di quelle che appaiono belle per dolcezza e perché non aprono bocca troppo facilmente. Tutti i giorni, un’oretta tra andata e ritorno, lei mescolava nozioni e desideri nel povero cervello di lui. A scuola non insegnano come corteggiare una ragazza. Forse qualche professore sarebbe stato ben lieto d’aiutare il suo alunno migliore. Con quali risultati? Il giovane non si fidava di gente che, come lui, aveva speso la vita sui libri.
Il suo cuore non ce la faceva più. Come un bambino capriccioso supplicava di uscire allo scoperto, di fare almeno un tentativo. Ogni giorno, appena messo piede sul treno, Giulio si accertava che lei ci fosse. Non gli era più così chiaro perché andasse a scuola. Forse per incontrare quella che immaginava essere la sua ragazza? Il pensiero si era allontanato dalla ragione. Fu un sabato mattina di primavera che il cuore lo costrinse a balbettare qualcosa. Lei lo guardò con un sorriso e si protese verso di lui per sentire meglio. Un ciao seguito da una pausa infinita e passata a deglutire saliva. Poi: «Io sono Giulio». «Maria» rispose lei con un elegante movimento del capo. L’eco di quella semplice risposta rimbombò fino all’ultima carrozza. A treno fermo, un altro saluto. Giulio era talmente eccitato e fiero del suo coraggio che non volendo raccontare ad altri l’accaduto lo raccontò a se stesso per tutto il fine settimana. Il lunedì seguente mise le piume e si trasformò in Galli. Non un Galli cedrone. Un giovane galletto amburghese neppur pronto per il bancone del supermercato. Giulio aveva preparato un sacco di domande e, come per un’interrogazione, aveva studiato anche le possibili risposte, tranne una. Scesi dal treno Maria lo interruppe, lo guardò negli occhi e: «Oggi c’è un sole stupendo. Io a scuola non ci vado e tu? Mi fai compagnia?». Le gambe di Giulio non reggevano più, piegate e tremanti come quelle di un giovanissimo Celentano. Cercò di prendere tempo, ma il «quindi?» di lei gli fece presente che tempo non ce n’era. Nel giro di due secondi fu violentato dal dubbio. Come poteva bigiare? I suoi genitori s’aspettavano il massimo in fatto di rendimento e disciplina. Non era da lui. Quando il cuore di Giulio si era già arrampicato al cervello per prenderlo a pugni, la bocca del giovane disse: «Oggi non posso proprio. Ho la verifica di matematica. Rischierei di esser rimandato». Dopo aver mentito tanto ignobilmente, il suo stomaco s’attorcigliò come un panno strizzato da una corpulenta lavandaia. Anni di attesa buttati al vento per una verifica che non c’era. Maria lo salutò con una carezza, dolorosa più di un uppercut sferrato dal miglior Tyson, e si incamminò. Lui restò a guardare quel passo che per molte notti aveva sognato, fino a quando la sagoma di lei sparì dietro l’angolo. Per qualche giorno prese il treno mezz’ora prima per evitare di esser traviato. La incontrava solo al ritorno, adducendo ogni volta una scusa diversa. Compiere il proprio dovere aveva dato a Giulio un gran senso di sicurezza. Sempre. Ora, invece, si sentiva un pezzo di quella cosa marrone che Nutella non è. Dopo tutto quel rimirare senza agire, preferiva quasi evitare Maria. Gli ottimi voti, i sorrisi della mamma, le pacche sulla spalla del papà, non riuscivano a lenire il suo dolore.
Questa non è una di quelle storie che finiscono bene. Dunque, la farò corta. Maria, che a scuola non andava volentieri, trovò presto un compagno che esaudì i suoi desideri, compreso quello di marinare le lezioni. Giulio restò a guardare, anzi, non guardava neppure – la ragazza non viaggiava più sola. Cambiò definitivamente treno. La incontrava con la fantasia.
Terminò gli studi facilmente, con il massimo dei voti. Tanto facilmente che quasi nessuno si congratulò con lui. Ora, una laurea costata la madre di tutte le rinunce in bella mostra, accompagnata dal ron ron di un vecchio orologio a pendolo. Il barbera e i ravioli della mamma la domenica. Il vecchio gatto malato con cui condividere la poltrona. L’album di famiglia da sfogliare. Gli occhi del padre ormai privi di illusioni. Un lavoro. La passeggiata serale con il cane. Maria valeva tutto questo? «No, valeva molto di più». Fu il padre ad interrompere i suoi pensieri. Fuori pioveva. Non poteva essere altrimenti.

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grazia
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Re: SPIGOLANDO......

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l'angolo del sorriso....

Il sacrificio

Undici persone si trovano appese alla corda di un elicottero: sono dieci uomini e una donna.
Dal momento che la corda non era sufficientemente resistente per sostenere tutte e undici le persone, decisero che uno doveva lasciarsi cadere nel vuoto altrimenti sarebbero dovuti morire tutti.
Non riuscivano a mettersi d’accordo su chi dovesse compiere il gesto fino a quando la donna non tenne un commovente discorso, dicendo che sarebbe stata lei a lasciare volontariamente la corda, dal momento che le donne sono abituate a rinunciare a tutto per i loro figli e i loro uomini
e a regalare tutto agli uomini senza ricevere nulla in cambio.
Appena finì di parlare, tutti gli uomini iniziarono a battere le mani…. -_-




La Ricetta

Una signora entra in farmacia e chiede:
- Vorrei dell'arsenico per favore...
Dato che si tratta di un veleno letale il farmacista cerca di conoscerne la destinazione.
- A cosa le serve signora?
- Per ammazzare mio marito.
Disorientato il farmacista risponde:
- Ah, capisco purtroppo però in questo caso non posso darglielo.
La signora, allora, senza dire una parola, estrae dalla borsetta una foto del marito a letto con la moglie del farmacista.
- Signora, le chiedo scusa, ma bastava dirlo subito che aveva la ricetta!!!

§§§

Morale: non sottovalutare mai il potere delle donne....
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grazia
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Re: SPIGOLANDO......

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Educare è un mestiere difficile....

Quand'ero adolescente - raccontava un uomo ad un amico
- mio padre mi mise in guardia da certi posti in città. Mi
disse: "Non andare mai in una discoteca, figlio mio".
"Perché no, papà?", domandai.
"Perché vedresti cose che non dovresti vedere".
Questo, ovviamente, suscitò la mia curiosità. E alla prima
occasione andai in una discoteca.
"E hai visto qualcosa che non dovevi vedere?",
domandò l'amico.
"Certo", rispose l'uomo. "Ho visto mio padre".


§§§§§§§§


Un bambino in piedi sul letto nel suo pigiamino rosso
punta il dito contro la mamma e fieramente dichiara:
"In non voglio essere intelligente. Io non voglio essere
beneducato. Io voglio essere come papà!".



L'esempio non è uno dei tanti metodi per educare. E' l'unico
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Re: SPIGOLANDO......

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L’Illuminismo e la formazione dell’uomo moderno

Mario Trombino - Il Giardino dei Pensieri



Una dei caratteri fondamentali dell'illuminismo è il rifiuto di considerare gli uomini diversi tra loro per nascita. Le differenze che si riscontrano tra gli uomini sono soltanto in piccola parte frutto della loro natura, tutto il resto dipende dall'educazione, ed in particolar modo dall'influenza della società sulla loro formazione. Gli illuministi sono stati, con profonda convinzione, i progettisti di una nuova società, gli "ingegneri sociali" del loro tempo. Hanno proposto una nuova visione dell'uomo, essenzialmente basata sull'idea di eguaglianza garantita dalla ragione, davvero eguale per tutti, sviluppando uno degli aspetti centrali dell'umanesimo .

Non sorprende quindi affatto che nell'illuminismo vi sia stata la più grande attenzione per l'educazione e per il rapporto tra la formazione dell'uomo e la costruzione di una società nuova, che permetta agli uomini di vivere in libertà ed eguaglianza. Il legame tra la sfera dell'educazione dell'uomo e quella dell'educazione del cittadino che abbiamo osservato al tempo della polis greca - tema che rimane in ombra per tutto il Medioevo a favore di un altro tema greco, quello della virtù e di chi può insegnarla all'uomo - torna in primo piano. Si tratta per gli illuministi di ripensare la società in modo tale che essa consenta agli uomini di vivere nella pienezza del loro essere uomini. Il termine virtù in filosofi come Locke o Rousseau non indica l'adesione ad un modello ideale o a un insieme di valori di natura religiosa: non indica altro che la piena realizzazione dell'uomo integrale, dell'uomo nella pienezza della sua personalità. Al centro di questa personalità è la ragione, l'autonoma ragione, quella che Kant considererà essere istitutrice di un tribunale di fronte a cui ogni sapere deve essere portato.

[..]In tema di iluminismo non si può non citare, almeno di passaggio, la posizione di Condorcet, l'illuminista che nel 1792 presentò all'Assemblea legislativa il progetto più completo e organico di riforma dell'educazione nella Francia rivoluzionaria. Il suo principio ispiratore è di matrice prettamente illuminista: l'istruzione rende liberi dai pregiudizi e quindi dalla miseria. Pertanto lo scopo principale di un'educazione nazionale è di offrire a tutti i mezzi per provvedere ai propri bisogni ed esercitare i propri diritti, così da contribuire al benessere comune nel quadro di una effettiva uguaglianza degli individui. Infatti nel riconoscimento del dovere dello Stato di dare a tutti, donne comprese, la possibilità di ricevere un insegnamento completo, verranno rimosse le disparità economiche e di sesso, che sono storiche e non naturali, mentre saranno le capacità individuali a determinare il grado di istruzione raggiungibile da ciascuno.

Nel progetto di Condorcet la scuola resta sostanzialmente libera dallo Stato, poiché "nessun potere pubblico deve avere l'autorità di impedire lo sviluppo di verità nuove o l'insegnamento di teorie contrarie alla sua particolare politica". La scuola dovrà limitarsi all'istruzione, ad un insegnamento rigorosamente fondato sull'oggettività dei fatti, evitando di trasmettere opinioni politiche o religiose che sono di competenza delle famiglie e delle Chiese. Dunque il legame tra la formazione dell'uomo e la formazione del cittadino è garantito, ma lo Stato come organizzazione politica deve rispettare fino in fondo la libertà di insegnamento. La sfera della cultura è pienamente autonoma, non potendo la ragione sottostare ad una autorità superiore.

E' questa una tesi cara agli illuministi. Kant la fa propria nel celebre articolo Che cos'è l'illuminismo?, in cui scrive: "L'Illuminismo è l'uscita dell'uomo da uno stato di minorità il quale è da imputare a lui stesso. Minorità è l'incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stessi è questa minorità se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di servirsi del proprio intelletto senza esser guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! - è dunque il motto dell’illuminismo".Tuttavia, uno stato di minorità nella vita di ciascuna persona esiste, ed è la minore età: il problema dell'educazione è quindi per l'illuminismo una questione centrale, perché si tratta di realizzare nell'adulto quella capacità di servirsi del proprio intelletto che restituisce pienamente l'uomo alla dignità della sua persona.[..]
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grazia
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Re: SPIGOLANDO......

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MI MANCHI

Mi manchi
squillo nervoso
allegro, dispettoso,
quasi prepotente.
impetuoso come un torrente
ma tanto
tanto atteso!....

mamma
G.
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