SPIGOLANDO......

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grazia
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Re: SPIGOLANDO......

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Er Testamento de Meo del Cacchio- Trilussa

Oggi li ventinove di febbraro
der millenovecentotrentasette,
doppo bevuto dodici fojette
assieme ar dottor P., reggio notaro,
benché nun sia sicuro da me stesso
dispongo e stabbilisco quanto appresso.


Io sottoscritto, Meo del Cacchio, lascio
li vizzi e le abbitudini cattive
a mi’ nipote Oreste che, se vive,
n’ha da fa’ come me, d’ogni erba un fascio;
s’invece more passo l’incombenza
a un istituto de beneficenza.

Lascio all’Umanità, senza speranza,
quer tanto de buon senso e de criterio
che m’ha ajutato a nun pijà sur serio
chi un giorno predicò la Fratellanza,
eppoi, fatti li conti a tavolino,
condannò Abbele e libberò Caino.

Lascio un consijo a Zeppo er cammeriere,
che se lamenta d’esse trovatello,
de nun cercà se er padre è questo o quello,
ma cerchi de fa’ sempre er su’ dovere
pe’ rende conto solamente a Dio
s’è fijo d’un cristiano o d’un giudio.

Lego er pudore de li tempi antichi
a un vecchio professore moralista
che pe’ coprì le porcherie più in vista
spojava tutti l’alberi de fichi,
ma a la fine, rimasto senza foje,
lasciò scoperte quelle della moje.

Lascio a Mimì le **** che provai
quanno me venne a da’ l’urtimo addio:
- M’hai troppo compromessa, cocco mio..
Qua bisogna finilla, capirai..
Pippo sa tutto.. nun è più prudente..
(E invece Pippo non sapeva gnente!)

A l’avvocato Coda, perchè impari
a vive con la massima prudenza,
je lascio quela “crisi de coscienzaâ€
che serve spesso a sistemà l’affari
e a mette nello stesso beverone
la convenienza co’ la convinzione.

A un’eccellenza.. (scuserà l’ardire)
je lascio invece un piccolo rimprovero:
perché, dieci anni fa, quann’era povero,
annava a caccia de le cinque lire
e adesso che n’ha fatte a cappellatte
nun riconosce più chi je l’ha date?

A Tizio, a Caio e a tutti queli fessi
rimasti sconosciuti fin’a quanno
nun so’ arivati a un posto de commanno
je lascio er gusto d’ubbidì a se stessi:
così a la fine de la pantomima
ritorneranno fessi come prima.

A Mario P., che doppo er Concordato
nun attacca più moccoli e va in chiesa,
je lascerò, sia detto senza offesa,
er sospetto che ciabbia cojonato
e fosse più sincero ne li tempi
quando ce dava li cattivi esempi.

Lego ar portiere mio, ch’è sordomuto,
la libbertà de di’ come la pensa,
e a Giovannino l’oste, in ricompensa
de tutt’er vino che me so’ bevuto,
je legherò le verità sincere
rimaste in fonno all’urtimo bicchiere.

Lascio a Zi’ Pietro un po’ de dignità,
che cià perfino la gattina mia
che appena ha fatto quarche porcheria
la copre co’ la terra e se ne va,
mentre Zi’ Pietro, invece de coprilla,
ce passò sopra e fabbricò una villa.

Lascio a l’amichi li castelli in aria
c’ho fabbricato ne la stratosfera,
dove ciagnedi in volo quella sera
con una principessa immaginaria
e feci un atterraggio de fortuna
in mezzo a la risata de la luna.

E a mi’ cuggino Arturo, che nun bada
che a le patacche de la vanagloria,
lascio l’augurio de piantà la boria
pe’ vive in pace e seguità la strada
senza bisogno de nessun pennacchio,
ma sempre a testa dritta!

Meo del Cacchio
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giaguaro
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Re: SPIGOLANDO......

Messaggio da leggere da giaguaro »

"Vino Bono - Trilussa"

Mentre bevo mezzo litro
de Frascati abboccatello,
guardo er muro der tinello
co' le macchie de salnitro.

Guardo e penso quant'è buffa
certe vorte la natura
che combina una figura
col salnitro e co' la muffa.

Scopro infatti in una macchia
una spece d'animale:
pare un'aquila reale
co' la coda de cornacchia.

Là c'è un orso, qui c'è un Galli,
lupi, pecore, montoni,
e su un mucchio de cannoni
passa un diavolo a cavallo!

Ma ner fonno s'intravede
una donna ne la posa
de chi aspetta quarche cosa
da l'Amore e da la Fede...

Bevo er vino e guardo er muro
con un bon presentimento;
sarò sbronzo, ma me sento
più tranquillo e più sicuro.

Scritta da Trilussa - anno 1940

------------------------------------------------

Quanno guardo in altra zona
vedo un essere vivente,
così piccolo e invadente,
che mi sembra un VisCorona.

Mia nonna in sogno - anno 2020
Non posso insegnare niente a nessuno, posso solo cercare di farli riflettere - SOCRATE
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grazia
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Re: SPIGOLANDO......

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BRAVO !!!!!!!!! e brava anche la nonna......
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Re: SPIGOLANDO......

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La morale della favola


Un macellaio stava lavorando nel suo negozio e si sorprese quando vide entrare un cane. Lo cacciò ma il cane tornò subito.
Cercò quindi di mandarlo via, ancora ma si rese conto che il cane aveva un foglio in bocca.

Prese dunque il foglio e lo lesse:

" Mi potrebbe mandare 12 salsicce e tre bistecche di manzo per favore? "

Il macellaio notò pure che il cane aveva in bocca un biglietto da 50 euro.

Così prese le salsicce e le bistecche e le mise insieme in una borsa che mise nella bocca del cane.

Il macellaio rimase molto colpito e, siccome, era già ora di chiudere il negozio,decise di seguire il cane che stava scendendo la strada con la borsa tra i denti.

Quando il cane arrivò ad un incrocio, lasciò la borsa sul marciapiede, si alzò sulle zampe posteriori e con una delle anteriori schiacciò il bottone dei pedoni per cambiare il segnale del semaforo.

Prese di nuovo la borsa ed aspettò pazientemente che il semaforo desse il via ai pedoni.

Allora attraversò la strada e camminò fino ad una fermata del bus, mentre il macellaio stupefatto lo seguiva da vicino.

Alla fermata il cane guardò verso la mappa delle rotte e degli orari e si sedette sul marciapiede ad aspettare il suo bus.

Arrivò uno che non era il suo, ed il cane non si mosse.

Arrivò dunque un altro bus ed il cane dopo aver visto che era quello giusto, salì dalla porta posteriore, affinché il conduttore non lo potesse vedere.

Il macellaio, a bocca aperta, lo seguì.

All'improvviso il cane si alzò sulle zampe posteriori e toccò il campanello della fermata, sempre con la borsa tra i denti.

Quando il bus si fermò, il cane scese, ed anche il macellaio, ed entrambi camminarono per la strada finché il cane si fermò a una casa.

Posò la borsa sul marciapiede, e riprendo la rincorsa, si lanciò contro la porta.

Ripeté l'azione diverse volte, ma nessuno gli aprì la porta.

Allora il cane fece il giro della casa, saltò un recinto, si avvicinò ad una finestra e, con la testa, colpì diverse volte il vetro.

Ritornò alla porta, che si aprì e comparse un uomo che cominciò a picchiare il cane.

Il macellaio corse verso l'uomo e gridò:

" Santo cielo, che cosa sta facendo? Il suo cane é un genio!

L'uomo irritato rispose:

" Un genio??? Questa é la seconda volta nella settimana che questo stupido dimentica le chiavi!!! "


Morale: PUOI SEMPRE SUPERARE LE ASPETTATIVE MA DAVANTI AGLI OCCHI DEL TUO CAPO SARAI SEMPRE AL DI SOTTO DELLE SUE ATTESE!!!
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grazia
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Re: SPIGOLANDO......

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Attrazione fatale

La guardo' per l'ennesima volta,indeciso. Era molto bella. Gli si
avvicinò un po' intimidito, ammiro' la brillantezza dei suoi occhi,la
lucentezza perlacea della sua pelle liscia e soda. Era la terza volta
che passava davanti a lei ma la freddezza del suo sguardo lo raggelava
e gli impediva di prendere quella benedetta decisione. Alla fine si
fece coraggio, si avvicino al bancone e grido':< Mi pesi quella
spigola, grazie>.

G.
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Re: SPIGOLANDO......

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"""Nell'intero corso del tempo, forse a partire dalla fine del Neolitico, sono esistiti al mondo tre tipi di persone: gli Alti, i Medi e i Bassi. Gli obiettivi di questi tre gruppi sono assolutamente inconciliabili fra loro. Lo scopo principale degli Alti è quello di restare al loro posto, quello dei Medi di mettersi al posto degli Alti. Obiettivo dei bassi, sempre che ne abbiano uno (è infatti una caratteristica costante dei Bassi essere troppo disfatti dalla fatica per prendere coscienza, se non occasionalmente, di ciò che esula dalle loro esistenze quotidiane), è invece l'abolizione di tutte le distinzioni e la creazione di una società in cui tutti gli uomini siano uguali fra loro. In tal modo nel corso della storia si ripropone costantemente una lotta sempre uguale a se stessa nelle sue linee essenziali. Per lunghi periodi si ha l'impressione che gli Alti siano saldamente al loro posto, ma prima o poi giunge il momento in cui o smarriscono la fiducia in se stessi, o perdono la capacità di governare, o si verificano entrambe le cose. Sono allora rovesciati dai Medi, che attirano i Bassi dalla loro parte fingendo di lottare per la giustizia e la libertà. Conseguito il loro obiettivo, i Medi ricacciano i Bassi alla loro condizione di servaggio, diventando a loro volta Alti. Ben presto da uno dei due gruppi rimanenti, o da entrambi, ne germina uno......"""

E.Goldstein
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Re: SPIGOLANDO......

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SCRIVERE PER COMUNICARE

Non sempre , e questo prescinde dalla correttezza grammaticale,
“scrivere†in modo da essere “comprensibili†è cosa facile.
C’è chi scrive in modo corretto, in una prosa semplice, chiara, pulita,
dove sono bandite parole sconosciute al linguaggio comune(se vuoi dire,
ad esempio, che se stai uscendo devi prendere l’ombrello, non dirai “perché
sono “previste precipitazioniâ€
ma dirai più semplicemente che è “prevista pioggiaâ€)
e in questo modo il tuo pensiero
arriverà alla maggior parte degli eventuali lettori
,diciamo un buon 85%, indipendentemente dal
loro grado di scolarità.
C’è poi chi scrive in modo si corretto, ma involuto ,
arruffato, ricco di parole ricercate e disposte in maniera
tale che viene molto difficile penetrarne il senso
,e questo succede in particolare a coloro che
preferiscono essere interpretati che farsi capire.
Eh si purtroppo comunicare è molto difficile, a volte direi impossibile,
come sosteneva Pirandello nei “Sei personaggi in cerca di autore":
“Siamo destinati a non intenderci mai. Abbiamo tutti
dentro un mondo di cose, ciascuno un suo mondo
di cose. E come possiamo intenderci, signore,
se nelle cose che io dico metto il senso e il valore
delle cose come sono dentro di me, mentre
chi le ascolta, inevitabilmente, le assume col
senso e col valore che hanno per sé, del mondo
come egli l’ha dentro? Crediamo di intenderci,
ma non ci intendiamo maiâ€.

&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&&

Io sono abbastanza ottimista e se c'è una parolina
che non amo usare è proprio quel "mai" che cancella
in un sol colpo la parola che da senso alla
vita, che ti da la forza ed il coraggio di continuare a credere, la parola "speranza"
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grazia
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Re: SPIGOLANDO......

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Giochiamo a nascondino

La Follia decise di invitare i suoi amici a prendere un caffè da lei.
Dopo il caffè, la Follia propose:
'Si gioca a nascondino?'
'Nascondino? Che cos'è?' - domandò la Curiosità.
'Nascondino è un gioco. Io conto fino a cento e voi vi nascondete.
Quando avrò terminato di contare, cercherò e il primo che troverò sarà il prossimo a contare.'
Accettarono tutti ad eccezione della Paura e della Pigrizia.
'1,2,3...' - la Follia cominciò a contare.
La Fretta si nascose per prima, dove le capitò.
La Timidezza, impacciata come sempre, si nascose in un gruppo d'alberi.
La Gioia corse in mezzo al giardino.
La Tristezza cominciò a piangere, perché non trovava un angolo adatto per nascondersi.
L' Invidia si unì al Trionfo e si nascose accanto a lui dietro un grande masso.
La Follia continuava a contare mentre i suoi amici si nascondevano.
La Disperazione era disperata vedendo che la Follia era già a novantanove.
'CENTO!' - gridò la Follia - 'Comincerò a cercare.'
La prima ad essere trovata fu la Curiosità, poiché non aveva potuto impedirsi di uscire per vedere chi sarebbe stato il primoad essere scoperto.
Guardando da una parte, la Follia vide il Dubbio sopra un recinto che non sapeva da quale lato si sarebbe meglio nascosto.
E così di seguito scoprì la Gioia, la Tristezza, la Timidezza.
Quando tutti erano riuniti, la Curiosità domandò: 'Dov'è l'Amore?'.
Nessuno l'aveva visto.
La Follia cominciò a cercarlo.
Cercò in cima ad una montagna, nei fiumi sotto le rocce.
Ma non trovò l'Amore.
Cercando da tutte le parti, la Follia vide un rosaio, prese un pezzo di legno e cominciò a cercare tra i rami, allorché ad un tratto sentì un grido.
Era l'Amore, che gridava perché una spina gli aveva forato un occhio.
La Follia non sapeva che cosa fare.
Si scusò, implorò l'Amore per avere il suo perdono e arrivò fino a promettergli di seguirlo per sempre.
L' Amore accettò le scuse.

Ancora oggi, quando si cerca l'Amore non lo si trova, e solo i folli si ostinano a cercarlo nonostante tutto ma soprattutto:
l'Amore è cieco e la Follia lo accompagna sempre.
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giaguaro
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Re: SPIGOLANDO......

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grazia ha scritto: ↑12 mag 2020, 16:09 BRAVO !!!!!!!!! e brava anche la nonna......
Tante grazie, gentilissima Grazia, per il Tuo riconoscimento, anche se si tratta di una cosa di poco conto.
Quando vengo a vedere il tuo lavoro noto che sei sempre in prima linea ….. competente, laboriosa e gentile.
Complimenti e buon lavoro.

Smiling Bye
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grazia
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Re: SPIGOLANDO......

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IL CIMITERO DEGLI ELEFANTI

Un tempo il popolo degli elefanti viveva sulle rive del fiume Volta,
governato da un re autorevole dal nome Tiga. Un giorno un piccolo
uccello tessitore andò a posarsi su una zanna di tiga e tutto impaurito
gli disse: potente Tiga è accaduto un fatto terribile, una folla di esseri neri
che si muovono su due zampe ha invaso il nostro paese. Possiedono
strani oggetti capaci di uccidere, si stanno diffondendo dappertutto e
distruggono ogni cosa al loro passaggio. Tiga tranquillo sorrise:<conosco
gli esseri di cui parli, si tratta degli uomini e non mi fanno paura. Sono
piccoli e deboli e le loro armi non possono trapassare la pelle spessa
degli elefanti.> Però qualche tempo dopo re Tiga smise di sorridere
perché gli uomini erano si piccoli e deboli ma molto numerosi. Le loro
armi non potevano trapassare la pelle dura di un elefante ma una freccia
poteva ben centrarne un occhio, accecandolo. Come se tutto questo
non bastasse il paese fu colpito da una terribile siccità. Gli elefanti ridotti
allo stremo delle forze morivano a centinaia, e quelli che resistevano alla
fame e alla sete morivano per mano degli uomini. “<Questa terra non
è più benedetta dagli dei, dobbiamo andarcene da qui. Partiremo in direzione
del sole calante e il nostro cammino procederà diritto come diritta era
stata finora la nostra vita. E tutto quello che si troverà sulla nostra strada,
che siano gli alberi o le case degli uomini , noi lo travolgeremo. Benché
ridotti a un piccolo popolo, ciascuno di noi è più forte di cento scimmie,
e raggiungeremo la nostra meta. Ma il paese che lasciamo rimane pur sempre
la nostra terra. Per questo motivo vi faremo ritorno per qualche tempo
ogni anno, durante il primo mese della stagione delle piogge. Così i piccoli
conosceranno la terra dei loro padri, e i vecchi vivranno qui i loro ultimi
giorni>â€. Così parlò il saggio Tiga e così fu fatto. Il passaggio degli elefanti fu
simile a quello di un tornado. Alberi furono abbattuti, campi calpestati,
villaggi distrutti e molti uomini morirono.
Da allora è trascorso molto tempo, ma ogni anno, durante la stagione delle
Piogge, gli elefanti si mettono in cammino per mostrare la loro terra
ai loro piccoli . E i vecchi vanno là a morire. Da qualche parte, sulle rive del
fiume Volta, si trova il loro cimitero. Ma è bene che nessuno sappia dov’è...

Antonella Ossorio
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grazia
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Re: SPIGOLANDO......

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LA NATURA

Da che l’uomo esiste, si è sempre posto il problema della conoscenza della natura, sua madre o matrigna, affidando alla stessa un ruolo, una funzione, che si è, di volta in volta, andata modificando nel tempo, secondo le diverse epoche, i diversi luoghi, le diverse culture, le diverse religioni, i diversi popoli. La domanda che rimane tuttora sospesa è: «Quale potrebbe essere il criterio migliore di confronto dell’uomo con la natura per addivenire alla visione dell’essere e dell’essenza insite nel creato?». Il grande tema, lungi dall’essersi stemperato nel tempo e lungi dall’essere stato risolto, nelle continue dispute fra studiosi di ogni disciplina, soprattutto quelle orientate agli studi fisici e spirituali, è quanto mai presente oggi, in un’epoca fortemente caratterizzata dal crescere prepotente della tecnologia informatica e dallo spirito scientistico, che, mentre prende il dominio sulla natura e la modifica oltre limiti inimmaginabili prima, sembra offrire all’uomo prospettive del tutto nuove, capaci di inoltrarsi oltre il senso comune delle cose, fino a ipotizzare la improvvisa realizzazione del desiderio di sempre di potere oltrepassare i confini del conoscibile, classicamente inteso, di potere sfondare le barriere più lontane dell’universo, di ritradurre in altro i concetti di spazio e di tempo, specie dopo la scoperta della teoria della relatività di quel grande genio della fisica che è stato A. Einstein.. E, mentre l’uomo dibatte ancora intorno al grande tema, dei suoi stessi limiti e dei limiti della materia, la scuola continua nel suo ancestrale ritardo nell’affrontare nei dovuti modi, nei dovuti spazi e nei dovuti tempi, la sempre più complessa problematica, per potere offrire un ausilio meno fatiscente, più decisivo alle menti, agli spiriti e agli orientamenti delle nuove generazioni, attraverso l’osservazione sistematica, l’analisi, il confronto e la verifica, che sono le basi fondanti per raggiungere conoscenze meno labili, meno ipotetiche, meglio caratterizzate da certezze. A ben vedere, oggi, l’epistemologia appare sempre più orientata a dare credibilità alle teorie della relatività, applicate, ormai, a ogni direzione della ricerca della conoscenza, e si veda, in proposito gli studi sulla psiche a partire da Freud.

Ma proviamo un po’ a percorrere, sia pure per grandi salti – essendo questo un saggio breve – il lungo cammino di conoscenza compiuto dall’umanità dai primordi del pensiero filosofico fino a Kant relativamente allo smisurato tema, al fine di arrivare a comprendere meglio gli sviluppi della conoscenza in un mondo, come quello contemporaneo, che appare, a tratti, provare smarrimento di fronte a una natura sempre più violata e per questo diventata sempre più minacciosa e ribelle.

A partire dai presocratici, la natura è stata sempre lo spunto di partenza per addivenire alla visione dei concetti e all’espansione delle loro relazioni ai fini della conoscenza della natura stessa, prima ispiratrice dell’uomo e di tutto quanto presiede alla natura e all’uomo stesso. Ma i primi fondamenti di un pensiero logico-scientifico, in proposito, cominciano a essere posti a partire dai primi vagiti dell’età moderna, mentre comincia a scomparire verso l’orizzonte il cosiddetto periodo oscurantistico rappresentato dal medioevo e dal pensiero neo platonico. Alle origini della filosofia, a dominare sul pensiero e a fare da indirizzo verso tutte le forme e le direzioni della conoscenza è il mito, nel mito sono sintetizzate, in una assoluta armonia, Natura e divinità: le culture primitive, quelle agro-pastorali e quelle dei misteri orfico-dionisiaci trovano sede nella comune concezione della divinità la cui residenza è il monte Olimpo, da cui la definizione, giunta fino a noi, di religiosità olimpica. In tale concezione natura e divinità risultano indistinte, tanto queste ultime prendono forma e aspetto dall’uomo, e alla vita dell’uomo partecipano quasi condividendone gioie e dolori, passioni e sentimenti, come d’altra parte traspare dalle pagine di storia che ci sono giunte relative alle civiltà degli Assiro-Babilonesi, degli Egizi e dei Greci.

Ed è propria in Grecia – dove il pensiero filosofico propriamente detto, trova la sua prima articolata esplosione – che la sintesi dialettica natura e pensiero, natura e religione, natura e organizzazione urbanistica e sociale, trova la sua più completa espressione. Nei presocratici della celebre scuola di Mileto, nella Ionia, intorno al sec. VI a.C., Talete, Anassimandro e Anassimene discutono intorno ai perché dell’acqua, dell’apeiron e dell’aria, pervenendo, dopo profonde osservazioni e meditazioni, alle rispettive concezioni dell’ilozoismo panteistico, vale a dire acqua-umidità intesi come principio vivente (Talete); della Terra come forma cilindrica fondata sulla proporzione elementare dei diversi e sulla legge naturale dell’equilibrio (Anassimandro); della Terra come tavola rotonda sostenuta dall’aria, per una legge naturale dell’origine del tutto dai principi di condensazione e di rarefazione (Anassimene). Successivamente, Empedocle, un membro della Scuola Eleatica, intorno al V secolo a.C., identifica nella terra, nell’acqua, nell’aria e nel fuoco, il principio di amore-odio, di aggregazione e di disgregazione, base, secondo la sua concezione, del divenire di tutte le cose. Anassagora, nel contempo, parla di un intelletto, un principio quasi divino, regolante la forza naturale attraverso le omeomerie, elementi infiniti e immutabili, presenti in ogni cosa, intelletto, insito nelle cose.

Qualche tempo dopo, Socrate ribalta il problema della natura dalla natura cosmica a quella umana e apre il problema filosofico della natura in quanto umana essa stessa, problema che sarà ripreso e sviluppato in Platone prima e in Aristotele dopo. La disposizione interiore, dunque, è l’essenza della natura umana (daimon) verso il bene (eudaimonia). Il compito del filosofo è sapere cosa è il bene. “So di non sapereâ€, La proposizione di partenza del “So di non sapereâ€, che il grande filosofo chiamerà “ironia maieuticaâ€, traduce il “Conosci te stesso†iscritto sulle antiche acropoli. Il bene se universale e necessario, corrisponde così alla suprema legge della città. Il che comporta che il bene o è comune o non è il bene, ma, attraverso la conoscenza di se stessi (dimensione individuale), si può accedere alla conoscenza del bene (dimensione universale).

Platone, per parte sua, introduce in una sua celebre opera, il Timeo, un concetto di natura con proiezioni finalistiche, nel senso che essa non è governata da leggi meccanicamente cieche, ma contiene un principio che la orienta, potremmo dire che le fa da guida verso il Mondo delle idee pure, e tale principio trova la sua identificazione in un Demiurgo o Anima del mondo. Ma nella natura vi è pure un principio oscuro e amorfo, causa di imperfezione, di disordine e di male, principio identificabile nella materia. Quest’ultima fa da forza di resistenza all’azione del Demiurgo fino a produrre una copia o una imitazione delle idee pure, creando così una molteplicità di cose rispetto all’unico modello ideale ed eterno. Secondo tale sua dualistica concezione, egli finisce per identificare la materia nel Non-essere, nell’indeterminato, nel caos, nella selva oscura (di dantesca memoria).

Si giunge così ad Aristotele, il quale si contrappone con assoluta decisione al meccanicismo atomistico democriteo (come, per parte sua, aveva già fatto il suo maestro Platone). Egli afferma che l'evoluzione di un essere vivente non può essere il risultato di semplici combinazioni occasionali di atomi: leggi proprie, invece, operano dall'interno, e ne connotano la "sostanza", in maniera diversa dai meccanismi semplici di causa-effetto che agiscono dall'esterno, la cui funzione è legata all’accidentalità". Per Aristotele ogni organismo si presenta in forma unitaria, come entelechia, cioè come entità capace di contenere il criterio che le consente l’evoluzione. Quattro sono le cause responsabili dei mutamenti della natura: la causa formale, che consiste nelle qualità specifiche dell'oggetto stesso, nella sua essenza; la causa materiale secondo la quale la materia è il sostrato senza cui l'oggetto non esisterebbe; la causa efficiente, che è l'agente che determina operativamente il mutamento; la causa finale, considerata fondamentale, poiché in essa risiede un'intenzionalità insita nella natura, il motivo basilare per cui una certa realtà esiste. All'origine, anche della cosmologia aristotelica, è posto il tentativo di pervenire a spiegazioni qualitative della natura, capaci di tenere conto dell'essenza, oltre che del dato quantitativo. Tale tentativo recupera in parte Empedocle e la su teoria dei quattro elementi: terra, aria, fuoco e acqua. Secondo Aristotele, dunque, le varie composizioni degli elementi costituiscono tutto ciò che si trova nel mondo. Ogni elemento possiede due delle quattro qualità (o «attributi») della materia: il secco (terra e fuoco); l'umido (aria ed acqua); il freddo (acqua e terra); il caldo (fuoco e aria). Egli, in polemica con i filosofi atomisti, quali Democrito, si contrappone senza rimedio alla concezione dell'esistenza del vuoto onde consentire ai quattro elementi di potersi muovere, tendendo ciascuno verso il suo "luogo naturale", in accordo con la sua concezione finalistica dell’esistenza.

La concezione della natura e la particolare visione cosmologica aristoteliche condizioneranno parecchio l’intero sistema del pensiero fino alle soglie dell’età moderna, trovando suoi fautori fra i neo-aristotelici e fra questi Telesio, Bruno e Campanella. Costoro, infatti, affermano che la natura è la stessa cosa che Dio, o quasi. In essi – se si tiene conto di alcune sfumature di diversità – la natura è tutta la realtà possibile, essa è la norma di tutto, tutto da essa parte e tutto ad essa ritorna, essa è la regolatrice di ogni processo. Vediamone ora il pensiero in fasi successive.

Telesio considera la natura come un mondo a sé, un mondo autonomo, un mondo che si regge solo sui suoi stessi principi e solo in base a tali principi può essere spiegato, ogni forza metafisica, in tale compito di svelamento, è completamente estranea a quei principi. L’uomo, dunque, in quanto essere sensibile, è esso stesso natura e per conoscere quest’ultima può affidarsi solo ai suoi stessi sensi.

In Giordano Bruno l'uomo viene restituito a se stesso e reso padrone della propria sorte. Divenuto egli centro consapevole del proprio mondo, riconosce la grandezza e il significato della natura , dell’universo fisico che lo circonda, ne comprende l’immensità, le forze inesauribili, le forme infinite, l’estensione senza barriere. Frantuma l’immagine di un mondo simile a una grande casa, chiusa da sfere cristalline e immutabili. Liberato da una falsa concezione del divino, proprio nel punto in cui conquista l’autonomia del morale, l’uomo ha il coraggio di liberarsi da una visione primitiva del mondo. Egli sa di non essere il centro fisico dell’universo, ma è consapevole della potenza della propria ragione e delle proprie risorse. Recuperando, fra l’altro, la centralità dell’uomo rispetto al mondo morale, nega la visione antropomorfica nello stesso momento che nega la visione geocentrica dell’universo esistente. Scaturisce dall’insieme una concezione del mondo fisico e di quello morale che rappresenta una inversione di tendenza rispetto alle precedenti concezioni e pone le fondamenta delle caratteristiche del mondo moderno e, in un certo senso, di quello contemporaneo. Egli, in effetti, libera l’uomo in due modi diversi ma contigui, lo libera prima dalla superstizione e, di conseguenza, dalla mortale schiavitù delle mille forme della dipendenza e della servitù: servitù culturale, servitù politica, servitù religiosa e altre formule correlate della servitù stessa. Libera l’uomo dalla natura stessa, liberandolo dalla falsa concezione che la stessa non possa essere dominata e modificata, recuperando, nel contempo, il concetto di scienza, intesa come strumento al servizio dell’uomo per potersi aprire le vie verso una diversa visione della conoscenza, capace di rivelare alla mente dell’uomo l’idea della possibilità dell’esistenza di mondi infiniti, di spazi sconfinati dentro al sistema universale.

Tommaso Campanella, per parte sua, segue la scia del pensiero del naturalismo di Telese, ipotizzando, tuttavia, ulteriori piste di riflessione e di sviluppo. Egli sostiene, in accordo con Telese, che la natura vada indagata e conosciuta nei suoi principi fondativi. Poi egli ne indica, in particolare, tre: il caldo, il freddo e la materia. Poiché ogni essere è di per sé formato da questi tre elementi, se ne deduce che gli esseri della natura sono tutti forniti di sensibilità, essendo la struttura della natura comune a tutti gli enti. Già Telesio riteneva che anche i sassi possono conoscere, ma Campanella si spinge molto oltre, ipotizzando come cosa certa che anche i sassi conoscono, perché nei sassi sono riscontrabili i tre principi, vale adire il caldo, il freddo e la massa corporea, cioè la materia di cui essi stessi sono costituiti. Il sistema della conoscenza in Campanella, dunque, risulta fondato su criteri gnoseologici di tipo sensistico. La razionalità stessa è conseguenza della sensazione, il che significa che una conoscenza razionale intellettiva non può che scaturire da quella sensitiva. Egli, pertanto, in contrapposizione a Telesio, al fine di riconoscere all’uomo il valore che gli compete nella natura, introduce, tramite il suo pensiero, l'esistenza di due modi del conoscere: il primo è innato, e si manifesta attraverso l’autocoscienza interiore; il secondo, invece, si manifesta attraverso il vedere esteriore, che si avvale della capacità conoscitiva dei sensi. Il primo dei due modi viene definito ‘sensus additus’, che è la conoscenza di sé; il secondo ‘sensus abitus’, che è la conoscenza del mondo esterno. La conoscenza del mondo esterno appartiene a tutti, anche agli animali; la conoscenza di sé, invece, appartiene solo all’uomo, ed è la capacità suppletiva o aggiuntiva che l’uomo ha di avere la coscienza di essere un “essere pensanteâ€.

Galileo Galilei rappresenta un punto di rottura e di avanzamento rispetto ad Aristotele e alla sua visione cosmologica di tutto quanto è. Egli si proietta, quindi, oltre i neo aristotelici, dando vita a una tenacissima battaglia contro il principio di autorità, rivendicando alle sensate esperienze il valore di verità incontestabili, in quanto dimostrabili e verificabili. Proprio sulla scorta delle certe dimostrazioni egli evidenzia, affermandola e confermandola, la teoria copernicana dell’eliocentrismo rispetto alla immaginazione geocentrica tolemaica, e il tutto avviene in aperto scontro con la visione biblico-teologica dell’universo. Ma Galilei rivendica con fermezza, sostenuta dai fatti e dalle dimostrazioni, l’autonomia dalla Chiesa e dalle Scritture della ricerca scientifica. Egli afferma, in proposito, che la Bibbia non è certamente un testo scientifico, esso è ispirato da Dio per ben altri motivi. Il suo compito, dunque, è quello di ispirare agli uomini quelle verità non raggiungibili né dai sensi né dalle verifiche e dalle dimostrazioni matematiche. Proprio per le diverse finalità che esse hanno, la scienza e la Bibbia devono essere libere nelle rispettive ricerche all’interno dei loro diversi campi ed esperienze. Ciò implica che la scienza debba avere il diritto garantito di potere avere un proprio metodo, fondato sul ricorso all’esperienza, non intesa quest’ultima come un “ovvio naturale vedere le coseâ€. Tale metodo, lontano dagli antichi modi del semplice ricorso ad atti di pura intuizione, si serve di un ricorso ai calcoli e alle misure, alle verifiche e agli esperimenti tipici delle scienze matematiche e di quelle ad essa direttamente connesse, scienze capaci di garantire la certezza del risultato. La matematica, in effetti, è già contenuta nella natura stessa, che appare scritta, a sua volta, in caratteri tali da riprodurre triangoli, cerchi e altre figure geometriche. Il linguaggio matematico, dunque, è diretta rivelazione della natura che ne fa dono all’umanità. Nel pensiero filosofico galileiano è negata all’uomo la possibilità di conoscere le essenze o le forme sostanziali delle cose, che solo Dio può, invece, conoscere. Le qualità sensibili non sono nell’oggetto ma nel soggetto, quindi esse possono essere percepite e definite soggettivamente. Alla scienza della natura, se ne deduce, spetta il compito di studiare le qualità oggettive dei corpi, che sono misurabili, quindi scientificamente traducibili nelle forme della verità.

Anche Cartesio considera la matematica quale nuovo strumento scientifico per l’indagine e per la conoscenza della natura, egli vede in essa la Scientia scientiarium , l’unica in grado di porre l’ordine e la misura in tutte le cose: nella medicina, nell’astrologia in altre discipline collaterali, per questo egli la definisce “matematica universale†per distinguerla da quella comunemente intesa. Nel Discorso sul metodo, poi, egli stabilisce le regole per ottenere i risultati davvero positivi nella conoscenza: la regola dell’evidenza, la regola dell’analisi, la regola della sintesi, la regola dell’induzione o dell’enumerazione. A rafforzamento delle regole e della sua tesi del dubbio metodico, introduce il principio del dubbio iperbolico, secondo il quale si rende necessario un certo atteggiamento di prudenza, di fronte al principio dell’evidenza, anche rispetto alla matematica, al fine di potere dimostrare anche tramite il pensiero, il Cogito ergo sum, l’esistenza della res cogitans che di per sé non è dimostrativa dell’esistenza della res extensa, ne nasce dunque un dualismo nella distinzione tra l’anima e il corpo, dal quale, poi, scaturisce l’indipendenza dell’anima dal corpo e la sua stessa eternità rispetto a quest’ultimo. Nella concezione della natura cartesiana, la stessa è caratterizzata dall’estensione: la materia, dunque, viene concepita come ciò che ha estensione nello spazio. Le qualità fisiche dei corpi materiali, come in Galilei, sono considerate quali nozioni soggettive che lo spazio determina in noi, perciò non possono essere oggetto della conoscenza scientifica, non sono misurabili e verificabili matematicamente. Scientificamente si possono conoscere solo la forma, la dimensione, le grandezze e il movimento. Il mondo ha una estensione infinita, è costituito ovunque della stessa materia, che è infinitamente divisibile, non è concepibile, pertanto, il vuoto, tutto è occupato dalla materia. Anche Cartesio, come Galilei, accetta la visione cosmologica di Copernico, condividendone in pieno la concezione eliocentrica.

Elementi di novità si riscontrano in Spinoza, che, dopo Cartesio, espone la propria concezione dell’ordine della natura, sottolineando le differenze, a tratti notevoli, rispetto alle concezioni dei suoi grandi predecessori. Secondo la sua concezione, le affezioni e gli affetti, i vizi e le virtú, fanno parte della natura e possono essere studiati con un ordine geometrico, come tutto il resto della realtà. Essi, dunque, non avrebbero, come appariva essere in Galilei e in Cartesio, una determinazione soggettiva ma oggettiva allo stesso modo della res extensa, possono essere, dunque, misurati e verificati alla stessa maniera delle forme, delle grandezze e dei movimenti. Nella natura, egli dice, nulla accade che possa essere attribuito a un suo vizio; infatti la natura è sempre la stessa e la sua potenza di agire è ovunque una sola e medesima, ossia le leggi e le norme della natura –secondo le quali ogni cosa accade e la stessa cosa da una forma si muta in un’altra – sono ovunque e sempre le medesime, e perciò anche il modo d’intendere la natura di tutte le cose, quali che siano, deve essere uno e medesimo, ossia in base alle leggi e alle norme universali della Natura stessa. Quindi gli affetti dell’odio, dell’ira, dell’invidia, ecc., in sé considerati, derivano dalla stessa necessità e virtú della natura, come le altre singole cose; e perciò ammettono determinate cause per mezzo delle quali vengono conosciuti e hanno determinate proprietà degne della nostra conoscenza come le proprietà di qualunque. Spinoza, dunque, disserta della natura e delle forze degli affetti e del potere della mente su di essi, con lo stesso metodo con cui tratta di Dio e della mente, e considera le azioni e i desideri umani come se si trattasse di linee, di superfici e di corpi, di forme e di movimenti.

Il percorso si conclude con Kant che compie l’estremo tentativo si sintetizzare nell’Io puro, tramite l’intelletto, il dualismo cartesiano della Res cogitans e della es extensa. Stando al suo pensiero il tormento della ragione umana è posto dalla natura stessa: essa, in effetti, evidenzia dei limiti. La ragione, egli afferma, non può penetrare i confini della metafisica, poiché, quando la ragione supera se stessa, cade in sofismi e false ipotesi, come quando pone le idee di Dio e di anima. La matematica e la fisica, dunque, intervengono a porsi come conoscenze propedeutiche alla ragione medesima, che ha bisogno di piegare la natura alle sue domande invece di subirle. Per riuscire in tale compito essa deve prospettare alla natura principii suoi, e, in questo risiede quella che, poi, viene definita “la rivoluzione copernicana del pensiero. Secondo la nuova concezione del rapporto uomo-natura, la natura risulta essere un insieme di fenomeni i cui principi scaturiscono dalla forma data loro dalla ragione, quindi non le sono insiti o contenuti da sempre, come, invece, in Galilei. Per Kant le leggi sono nell’io e, in quanto tale, non risulta possibile la conoscenza del noumeno, della cosa in sé, che è, invece, competenza della metafisica. La cosa in sé è possibile come pensiero e non come conoscenza, quest’ultima è legata all’intuizione sensibile, una forma della conoscenza compatibile con la capacità di sintesi dei dati delle scienze. Anche lo spazio e il tempo sono forme a priori, si trovano nel nostro spirito e hanno un valore universale: lo spazio inquadra i dati sensibili del mondo esterno; il tempo, invece, inquadra i fenomeni interiori. La natura, pertanto, risulta costituita di fenomeni che noi colleghiamo con i nessi di causa ed effetto, vale a dire due fra le categorie dell’intelletto; al di sotto dei fenomeni c’è la cosa in sé: la conoscenza così risulta essere il frutto di una sintesi a priori.

Mai quanto oggi il conflitto fra uomo e natura è stato tanto grande, a volte drammatico, l’uomo con i suoi potenti mezzi tenta in ogni modo di deviare il destino della sua stessa generatrice, cerca di soggiogarla e di porla al suo servizio, nel ruolo di ancella, umiliandola nel contempo, sia nel corpo, che appare sempre più sofferente, che nello spirito. Il rischio che si corre è deflagrante molto più di una semplice esplosione atomica, l’ipotesi è quella di un possibile e irreversibile disastro universale, i cui segni già appaiono un po’ di qua e un po’ di là. La necessità della ripresa del dialogo uomo-natura si fa sempre più urgente, i segnali che arrivano sono questi. Si pensa alla urgenza di una più mirata attenzione filosofica e alla costruzione di una rinnovata visione antropologica del rapporto. «La speranza, mai sopita, è che l’uomo, dopo le disattenzioni e gli scempi compiuti negli ultimi decenni, si riavvicini alla natura madre e amica, riconoscendo nella stessa il luogo e il mezzo della sua origine, prendendo, nel contempo, coscienza di alcuni suoi limiti, cercando di ampliare la conoscenza, al fine di potere riorientare il suo agire verso una maggiore consapevolezza di essere egli-uomo parte di un progetto universale che travalica i confini sia del tempo che dello spazio»

Fabiola Sanfelice
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grazia
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TOGLIETE QUEI MURI

togliete quei muri,i bambini non conoscono frontiere...e come la musica,l'arte ecc...Tutto fa parte dell'educazione.L'educazione che per prima ci deve dare la famiglia con il buon esempio,con l'attenzione.insegnate l'educazione civica che si insegna poco,con le scuole che devono avere più spazi per i ragazzi,con la televisone e i politici che devono dare un senso etico,morale un indirizzo...I ragazzi cercano l'attenzione,l'ascolto,gli spazi,vogliono essere i protagonosti del loro presente e del loro futuro!Che futuro diamo,se non facciamo un passo indietro,lasciando da parte il dio denaro, come unico valore,la nostra vita il fututo del mondo è nelle loro mani.togliete quei muri a Bressanone,togliete i cattivi esempi dalle televisioni,con pupi e pupe troppo svestite e con poca parola se non per urla e discussione volgari,di politici corrotti che litigano.rifate una scuola con spazi verdi,che tiene conto dell'etnie,delle varie religioni..i bambibi sono bambini non vedono differenze,vedono gli occhi e i sorrisi di altri bimbi che nel gioco,con l'educare da parte degli adulti il rispetto degli altri imparano a diventare uomini,e se qualcuno insegnasse il timore di Dio..ogni tanto,un Dio per tutti uguali,forse ci sarebbe anche un mondo migliore

Ceronio
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grazia
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Re: SPIGOLANDO......

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"L'ESEMPIO" secondo Erasmo da Rotterdam"


Nell'Elogio della pazzia, Erasmo dice:
[...]""""Colui che afferra il timone dello stato si fa amministratore del pubblico non dei suoi privati, non deve allontanarsi neppur di un mignolo dalle leggi, delle quali lui è autore ed esecutore, deve rispondere lui della correttezza dei suoi amministratori . Lui solo infatti è continuamente esposto agli occhi di tutti e, come un astro benigno, con la sua integrità, può influire molto favorevolmente sulle cose umane, e può anche, come funesta cometa, recar la più grande rovina; chè dei vizi di privati non ci si risente allo stesso modo, ne si diffondono con ugual virulenza, laddove Lui si trova in tal posizione che, per poco che si allontani dal retto, immediatamente il suo malo esempio serpeggia, contagiando un numero infinito di uomini...."""

[...]""....il re è potente e ricchissimo , ma se il suo spirito non è fornito di belle doti, se non c'è cosa che gli basti, è poverissimo...

Tali e simili considerazioni(chè sono moltissime)se il re facesse tra sè e sè(e le farebbe se avesse giudizio!)non potrebbe, a parer mio, godere a cuor leggero un momento di sonno o prendere un po' di cibo. Ora invece per grazia mia (la Follia di cui Erasmo fa l'elogio-nota) preoccupazioni di tal fatta le lasciano agli dèi, abbandonandosi ad agni mollezza, e non vogliono lasciar entrare nessuno, se non sa scodellar piacevolezze, chè il cuore non gli sia mai turbato da ansietà. Credono di aver fatto onestamente la loro parte di re ad andar continuamente a caccia, ad allevar bei cavalli, a vendere a proprio vantaggio magistrature e governatori, a scovar ogni dì nuovi motivi di assottigliar i beni altrui per ingrossar la propria borsa; non senza aver trovato pretesti ad hoc, talchè anche se la spoliazione è sommamente iniqua, presenti pure qualche lustra di equità. E dopo ciò nulla trascurano per adulare un po' il popolo, allo scopo di accattivarsene l'animo, in un modo o nell'altro......

Erasmo da Rotterdam (1511)

Io trovo queste raccomandazioni sempre molto attuali per chi occupa posti di potere come le istituzioni.....
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grazia
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Re: SPIGOLANDO......

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"L'Esempio" è uno di quei valori che sono andati
disperdendosi ma dei quali a volte si sente molto
la mancanza..


Qualcuno a suo tempo, i cui valori lo hanno
purtroppo portato sotto un cumulo
di terra, ha lasciato di sé queste indimenticabili
ed esemplari parole...


UN UOMO "GIUSTO", EROE DEI NOSTRI TEMPI

.........Ambrosoli non cedette, sapendo di correre notevoli rischi. Nel 1975 indirizzò una lettera alla moglie in cui scrisse:

« Anna carissima,
è il 25.2.1975 e sono pronto per il deposito dello stato passivo della B.P.I., atto che ovviamente non soddisferà molti e che è costato una bella fatica. Non ho timori per me perché non vedo possibili altro che pressioni per farmi sostituire, ma è certo che faccende alla Verzotto e il fatto stesso di dover trattare con gente dì ogni colore e risma non tranquillizza affatto. E' indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l'incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un'occasione unica di fare qualcosa per il paese. Ricordi i giorni dell'Umi, le speranze mai realizzate di far politica per il paese e non per i partiti: ebbene, a quarant'anni, di colpo, ho fatto politica e in nome dello Stato e non per un partito. Con l'incarico, ho avuto in mano un potere enorme e discrezionale al massimo ed ho sempre operato - ne ho la piena coscienza - solo nell'interesse del paese, creandomi ovviamente solo nemici perché tutti quelli che hanno per mio merito avuto quanto loro spettava non sono certo riconoscenti perché credono di aver avuto solo quello che a loro spettava: ed hanno ragione, anche se, non fossi stato io, avrebbero recuperato i loro averi parecchi mesi dopo. I nemici comunque non aiutano, e cercheranno in ogni modo di farmi scivolare su qualche fesseria, e purtroppo, quando devi firmare centinaia di lettere al giorno, puoi anche firmare fesserie. Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto [... ] Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il paese, si chiami Italia o si chiami Europa. Riuscirai benissimo, ne sono certo, perché sei molto brava e perché i ragazzi sono uno meglio dell'altro.. Sarà per te una vita dura, ma sei una ragazza talmente brava che te la caverai sempre e farai come sempre il tuo dovere costi quello che costi (...)

Giorgio »
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heyoka
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Re: SPIGOLANDO......

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"Beati i popoli che non hanno bisogno di eroi " (Brecht),
La vita è come un ponte, puoi attraversarla ma non costruirci una casa sopra.
(Proverbio dei Sioux)
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