Al seguente link un rapporto giornalistico e storico sulla situazione in Armenia e regione caucasica:
https://www.ilfoglio.it/esteri/2024/07/ ... i-6765116/
Nel rapporto si contraddice la versione dei fatti sostenuta dallo Stato della Turchia, secondo cui l'opposizione armata dei turchi contro gli armeni non fu vero genocidio.
Gli storici occidentali indicano negli eventi bellici dell'Impero Ottomano in dissoluzione e disintegrazione, in particolare nelle stragi perpetrate ai danni delle popolazioni armene, l'inizio delle violenze totalitarie del Secolo XX°.
Secondo un parere distinto si trattò di una strage di guerra, per quanto immane essa fosse non motivata dallo scopo di porre fine a una genìa. La stessa differenza che passa tra l'uccidere un uomo per una questione personale e l'ucciderlo per un'altra questione. Certo a morire è sempre una persona, ma nel capo d'accusa non si può confondere una motivazione per un'altra, anche perché così si potrebbero fraintendere situazioni o ignorare circostanze.
Secondo una considerazione diversa, che ha avuto forte presa in Europa, un atto di violenza va invece valutato dando più importanza a tutte le sue conseguenze, che vanno addebitate secondo una nuova scala di valori, privilegiando il valore della vita.
I due pensieri sono riconducibili a due condizioni diverse. Nel primo caso non c'è il riferimento a una garanzia di fondo: la difesa della vita è senza dubbio prioritaria ma non esiste una possibilità stabile di farsene carico, tantomeno con le leggi. Nel secondo caso invece ci si riferisce a questa possibilità e si organizzano le leggi in base ad essa.
La seconda posizione è senza dubbio fatta valere esternamente alle legislazioni e giurisdizioni. Negli Stati da dove si intende condannare per genocidio i turchi prescindendo da quali fossero le loro motivazioni e intenzioni non c'è alcun sostegno da parte delle lèggi reali a siffatta iniziativa. Per esempio, usando tale metro, a tutti gli Alleati della Seconda Guerra Mondiale, non solo agli Stati dell'Asse, dovrebbe essere addebitato un genocidio per le immense stragi prodotte, indipendentemente dall'eventuale aggiunta di un giudizio di colpevolezza. Mentre si addita il genocidio contro gli armeni, lo si fa anche per i giapponesi, i tedeschi, gli italiani... e gli inglesi, i francesi, gli olandesi... gli indiani d'America, i russi...?
Oltre alla parzialità e faziosità di questi promotori di istanza, c'è da chiedersi quale sia la provenienza e appartenenza del sistema di giudizio che essi promulgano e sostengono. Costoro fanno un uso accettabile della distinzione tra colpevolezza e responsabilità? Se un marito, o una moglie, uccide per gelosia, in che senso bisogna rimproverarlo, rimproverarla, della scomparsa della persona del coniuge? È evidente che includere la responsabilità oltre che la colpevolezza è necessario ma evitando la confusione. Nel caso del delitto di gelosia, la responsabilità è assolutamente rilevante, io direi maggiore della stessa colpa, ma comunque non va confusa con la colpa; e ci sono casi diversi, per esempio quelli di guerre e lotte tra nemici volontari...
A questo punto risulta evidente la necessità di una seria riflessione storica, perché senza
stabilire tutti i fatti importanti si rischia un errore abnorme: se c'è una grave ostilità reciproca attorno a una certa questione vitale, si deve riconoscere appunto una reciprocità... Se una popolazione si fa ostile e scende in guerra o lotta direttamente, senza cioè nessuna esibizione preventiva di minacce e armi, essa si è arrischiata; e se il nemico gli commette torto bisogna accertare se essa è stata costretta dallo stesso nemico a mettersi a rischio, prima di sottoporre a severo giudizio tutte le responsabilità di codesto nemico.
La storia della Caduta dell'Impero Ottomano è stato un evento confuso. Non si tratta, in prima istanza, di districarsi tra i fatti, ma (secondo me) di riconoscere un dato di fatto fondamentale: un caos completo, preponderante. Molti usano sfruttare la memoria degli armeni per dimostrare che lo Stato turco non ha basi sufficienti per esistere o per esistere nella sua forma attuale. È davvero giusto procedere così per difendere la causa degli armeni? Quanto di violento e inaccettabile accadde nel caos della fine dell'Impero Ottomano fu dovuto allo stesso Impero? Al nascente Stato turco?
Le scarne ma preziose riflessioni storiche che feci e soprattutto le meditazioni da me fatte sul male nella storia, mi portarono e mi portano a pensare che l'inizio della terribile negatività del Secolo XX° accaduto più di cento anni orsono nella Penisola Anatolica è fuori dal divenire della autentica politica. Pensieri individuali a parte, chiunque si occupasse seriamente e proficuamente degli eventi in questione capirebbe che da quel caos ricolmo di violenza non poteva venir fuori uno Stato moderno e una nazionalità (quella turca), né poteva esserne partecipe quanto di autentico era rimasto dei poteri ottomani.
Tutto questo non conduce a ritrovare i fatti particolari delle stragi. È importante però fare le seguenti osservazioni critiche, sui protagonisti di tale crociata negativa contro sovranità e leggittimità dell'attuale realtà politica turca: non si accetta di non poter trovare una istituzione, una forma, cui addebitare colpe e responsabilità; non si vogliono distinguere adeguatamente i due piani (colpa e responsabilità); si fa conto di una situazione che non trova reale riscontro. Infatti la fine dell'Impero Ottomano accadde in un enorme vuoto di potere e la nascita della Turchia contemporanea quasi dal nulla. Giudicare i tanti colpevoli della vicenda come se avessero avuto a disposizione un potere certo e fermo di difesa della vita, nel caso in questione, è un errore madornale. Gli ottomani difesero in ultimo la giustizia ritirando i propri restanti poteri. A causa di ciò i promotori della violenza, nel caos della fine, non riuscirono ad impiantare il loro sistema maligno. Il vero Stato turco nasceva tra i delitti e le assenze, non tramite i delitti.
Tutto ciò non porta ad abbandonare la causa armena. Se si evitano ingiuste attribuzioni, la si difende meglio.
Mauro Pastore