E' da ieri mattina che tra me e me mi chiedo.........

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Leno Lazzari
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Re: E' da ieri mattina che tra me e me mi chiedo.........

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ereticamente ha scritto: 18 mar 2023, 19:03 A me questo accerchiamento non piace. Agli animali feriti bisogna sempre lasciare via di fuga. L'animale inn questione poi ha un arsenale nucleare




Leno Lazzari ha scritto: 18 mar 2023, 5:20 ...........che senso pratico, che utilità possa avere la richiesta di arresto di Putin, per la deportazione di bambini ukraini, da parte del tribunale dell'Aia .

Ma davvero dovremmo credere che una simile richiesta, e poi contro Putin, possa essere messa in opera ?

Tra l'altro, non ricordandomi di precedenti importanti oltre la condanna del macellaio generale serbo Ratko Mladićtrovo, ironico che i magistrati questo "alto" tribunale possano davvero credere che qualcuno dalla Russia possa e voglia davvero consegnargli Putin .

Immagine

O se preferite, utile quanto lo é un pettine per..........

Immagine
S'era pure detto un po' dovunque che a Putin bisognava
lasciare a Putin una via d'uscita "onorevole" .

Insomma Giustizia o non giustizia non é certo una notizia
di cui gioire .
La politica è l’arte d’impedire agli avversari di fare la loro

.........ma andare oltre no ?
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RedWine
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Re: E' da ieri mattina che tra me e me mi chiedo.........

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Leno Lazzari ha scritto: 18 mar 2023, 18:27 A parte le nostre inconciliabilità, ma sta cosa ha dell'infantile . Io ti chiedo una cosa e tu mi rispondi su un altro argomento .

Io..........
...."Scusami, siamo d'accordo che gli ucraini non russofoni, guerra a parte, odino i russi da tempi immemori ?"....

Tu.......
...."assolutamente no. la guerra civile non è stata spontanea ma provocata dall'esterno.
e non dai russi."....

Non solo non rispondi alla mia domanda, che va bhe, ci può anche stare, ma definirla una guerra CIVILE é toccare il fondo della decenza perché fino a prova del contrario gli ucraini odiano la Russia e la guerra é una guerra di invasione bella e buona con decine di migliaia di militari e mezzi e armi russi IN Ucriana .
"Non avrete nulla e sarete felici". e se non fossi felice? "non ti preoccupare, ti cureremo"
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Re: E' da ieri mattina che tra me e me mi chiedo.........

Messaggio da leggere da Leno Lazzari »

E continuiamo a prenderci per i fondelli .
La politica è l’arte d’impedire agli avversari di fare la loro

.........ma andare oltre no ?
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Valerio
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Re: E' da ieri mattina che tra me e me mi chiedo.........

Messaggio da leggere da Valerio »

Sembra che abbiano trovato il tallone d'Achille. La Russia comincia a trattare. :applausi:

Pare abbiano chiesto l'immunità.
Sovranità al Cittadino.
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In onore dei pennuti heyokani: Non ereditiamo la terra dai nostri antenati, la prendiamo in prestito dai nostri figli.
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Leno Lazzari
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Re: E' da ieri mattina che tra me e me mi chiedo.........

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Valerio ha scritto: 19 mar 2023, 15:50 Sembra che abbiano trovato il tallone d'Achille. La Russia comincia a trattare. :applausi:

Pare abbiano chiesto l'immunità.
Ho letto anch'io ma mi sa di tattica .

Ci credo poco .
La politica è l’arte d’impedire agli avversari di fare la loro

.........ma andare oltre no ?
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RedWine
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Re: E' da ieri mattina che tra me e me mi chiedo.........

Messaggio da leggere da RedWine »

Leno Lazzari ha scritto: 19 mar 2023, 9:09 E continuiamo a prenderci per i fondelli .
Luca Steinmann - Il Fronte Russo La Guerra In Ucraina Raccontata Dai Soldati Di Putin
https://www.ibs.it/fronte-russo-libro-l ... 8817181136
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«I russi li stanno deportando»
Oggi il Mare d’Azov è un’immobile distesa bianca. Sembra ghiaccio. Il termometro segna sei gradi sotto lo zero mentre io e Micalizzi attendiamo da ore nel gelido sole invernale di inizio marzo. Siamo in un piazzale sul lungomare ad aspettare l’arrivo dei fuggiaschi da Mariupol. L’acqua è sulla nostra sinistra, sulla destra ci sono degli autobus parcheggiati e due grandi tende blu circondate da miliziani armati. Di fronte a noi, in fondo alla strada e dopo l’ultimo posto di blocco, c’è Širokino. Dopo ancora c’è Mariupol, da dove continuano ad arrivare immagini agghiaccianti di bambini morti e di missili che piovono sui palazzi.
La città è completamente circondata dai russi, che da fuori sparano verso il centro. Kiev ha denunciato il bombardamento di un ospedale, Mosca ha risposto che i pazienti erano già stati evacuati ed era invece utilizzato come base militare dal reggimento Azov. Intanto i primi incursori stanno entrando nei quartieri periferici e lottando corpo a corpo, strada per strada, contro i soldati ucraini. Per queste operazioni Putin ha chiamato dalle montagne del Caucaso migliaia di combattenti ceceni. Si dice che siano brutali e abilissimi e che Putin li voglia impiegare a Mariupol per fare il lavoro sporco. I ceceni avrebbero infatti molte meno remore a combattere contro gli ucraini, che invece i russi considerano parte del proprio stesso popolo.
Nel frattempo gli abitanti rimangono intrappolati dentro la città. Kiev e Mosca non hanno ancora raggiunto un accordo sui corridoi umanitari, per cui le fughe di massa non sono possibili, e i pochi disperati che provano a scappare, da una parte come dall’altra, lo fanno spontaneamente, rischiando la vita e spesso rimettendocela. Alcuni tentano di attraversare da soli il fronte lungo il quale i due eserciti si scontrano, altri vengono evacuati dagli incursori russi e ceceni che entrano nei quartieri periferici della città, scendono negli scantinati dei palazzi in cui da settimane si rifugiano i civili, li caricano sui propri mezzi militari e li portano a Bezimennoe, il primo villaggio lungo la costa orientale fuori Mariupol controllato dai filorussi.
Mappa della costa di Mariupol

Mappa della costa di Mariupol
È qui che oggi io e Gabriele li stiamo aspettando. Le tende di fianco a noi sono uno dei più importanti centri di filtrazione, cioè luoghi predisposti dai russi dove i fuggiaschi vengono trasferiti, interrogati e si decide il loro futuro. Tutti loro, anche quelli che scappano in autonomia, devono necessariamente passare di qui per registrarsi presso le autorità di Mosca. Molti vengono poi trasferiti nella Federazione Russa. Un processo che secondo Kiev rappresenterebbe la deportazione di migliaia di persone da Mariupol. Quelli che i russi chiamano centri di filtrazione per gli ucraini sono centri di deportazione.
Sono settimane che io e Micalizzi passiamo molte delle nostre giornate a Bezimennoe. Partiamo tutte le mattine da Donetsk e prendiamo la strada che porta verso sud. Alcune volte ci fermiamo nella zona di Volnovacha, per continuare a raccontare i combattimenti intorno alla città, altre volte procediamo fino a Novoazovsk, e da lì imbocchiamo il viale che costeggia il Mare d’Azov fino a raggiungere il centro di filtrazione per attendere i fuggiaschi. In alcuni momenti ne arrivano a decine, poi per ore o per giorni nessuno. Alcuni giungono qui in gruppo, autonomamente o accompagnati dai miliziani che li hanno recuperati in città. Altri da soli, a piedi. Oltre Bezimennoe non possiamo andare. Qualche centinaio di metri più avanti, a Širokino, si combatte e le violenze si stanno intensificando. Sempre più carri armati carichi di miliziani avanzano in direzione di Mariupol, sventolando bandiere russe. L’esercito di Mosca, però, continua a non farsi vedere, se non con l’aviazione. Velocissimi aerei da guerra sfrecciano a bassa quota sopra le nostre teste, facendo un rumore assordante e lasciando dietro di sé una lunga scia bianca. Dopo qualche secondo, scompaiono nel cielo.
Da Širokino viene verso di noi un piccolo autobus scassato. Alla guida c’è un miliziano. Dietro di lui, ammassati sui sedili non abbastanza numerosi per far accomodare tutti, una trentina di disperati trovati in qualche scantinato di Mariupol. Appena arrivati nel centro di filtrazione escono uno per volta e, seguendo le indicazioni dei tanti soldati che li circondano, entrano in una delle due grandi tende, che può contenere fino a cinquanta persone. C’è una signora anziana con un foulard in testa dal quale spuntano ciocche di unti capelli bianchi. Un’altra non riesce a camminare e viene delicatamente portata in braccio da un giovane soldato in divisa. Ci sono uomini con i volti pallidi e scavati, che avranno un’età indecifrabile tra i trenta e i cinquant’anni. Ci sono i bambini, tanti. Quelli più grandicelli camminano da soli accanto ai genitori, i più piccoli sono in braccio alle madri. Una ne tiene addirittura due, uno appena nato e l’altro all’incirca di due anni. La sorella più grande, una bambina con due trecce bionde che avrà quattro o cinque anni, le cammina di fianco.
Entrando nella tenda si viene avvolti dal calore, misto al forte odore di chi non si è potuto lavare per giorni o settimane. I profughi si buttano sulle brandine disposte ovunque, appoggiando di fianco quello che hanno portato con sé. Qualcuno ha sacchi pieni di vestiti, altri non hanno nulla se non i figli. I bambini più piccoli gattonano tra una brandina e l’altra, alcuni da soli, altri giocando rumorosamente tra di loro, impermeabili a quello che succede intorno. Un miliziano serve a chi lo vuole del tè caldo.
Un bimbo biondo gattona verso una delle stufette accese ai lati della tenda e fa per toccarla con un dito, prontamente fermato dalla giovane madre. Lei si chiama Irina, ha ventisei anni, i capelli biondi lunghi fino alla vita. «Abbiamo vissuto nel buio per settimane» racconta. «Siamo scesi in cantina tre giorni dopo l’inizio della guerra, quando i russi hanno cominciato a bombardare, e non siamo più usciti. L’ultimo ricordo che ho di Mariupol sono i soldati ucraini che correvano per le strade. Ci dicevano che dovevamo rimanere in città e che non potevamo fuggire perché eravamo circondati. Poi il nostro condominio è stato bombardato. Ho preso mio figlio e sono corsa nelle cantine, dove mi sono ritrovata insieme a tutti i nostri vicini. Non avevamo luce né gas, per fortuna qualcuno era riuscito a portare con sé dei viveri e dei boccioni d’acqua, che però non erano abbastanza per tutti. Abbiamo dovuto razionare i viveri. Faceva freddo e più passavano i giorni, più il cibo e l’acqua diminuivano. Non potevamo comunicare con l’esterno, non sapevamo cosa stesse succedendo, sentivamo solo il rumore delle bombe proveniente da fuori. Poi un giorno abbiamo sentito qualcuno entrare e scendere le scale. Erano dei ragazzi giovani che sulle divise non avevano i simboli ucraini, erano miliziani di Donetsk. Ci hanno portato via.»
«Vi hanno obbligato?» le chiedo.
«Appena scesi ci hanno detto che, se volevamo, potevamo scappare da Mariupol insieme a loro. Nessuno è stato obbligato. D’altronde chi mai poteva voler rimanere là sotto?»
Caricata sul furgone insieme ad altri disperati, Irina è stata subito portata a Bezimennoe, dove ci siamo incontrati. Mentre parla con noi viene interrotta da un miliziano che la invita a seguirla nella tenda di fianco, dove avverrà l’interrogatorio. Il figlio rimane con noi, mentre tutt’intorno c’è chi dorme, chi riposa, chi siede taciturno in un angolo con lo sguardo basso. Fuori, i soldati pattugliano la zona.
Irina torna dopo circa mezz’ora. «Per stanotte possiamo rimanere qui, ma domattina dovremo andarcene. Queste tende servono per la prima accoglienza.»
«Cosa ti hanno chiesto?» le domando.
«Erano le autorità di Donetsk» mi risponde. «Mi hanno detto che lavorano per conto dei russi. Hanno preso tutti i miei dati. Volevano sapere chi sono, che lavoro faccio, se ho avuto legami con l’amministrazione ucraina. Se ho parenti o amici nei territori ucraini e se invece conosco qualcuno nella Repubblica di Donetsk. Poi mi hanno detto che se voglio posso entrare a far parte di un programma di aiuto del governo di Mosca: mi porterebbero in Russia, mi metterebbero a disposizione una casa e mi darebbero un sussidio. Dicono che mi aiuterebbero a cercare lavoro e rifarmi una vita lì. Mi hanno anche detto che sono russa come loro, che parliamo la stessa lingua. Io però ho rifiutato. Ho dei parenti a Donetsk e vorrei ricongiungermi con loro. Mi hanno detto che stasera posso chiamarli e domani stesso posso partire.»
«E se non riuscissi a raggiungerli?» le chiedo.
«Prima o poi ci riuscirò. Intanto posso stare in una scuola di Novoazovsk che è diventata un dormitorio oppure trovarmi autonomamente una sistemazione.»
«Dove vedi il tuo futuro e quello di tuo figlio?»
«In questo momento non ne ho idea. Non riesco neanche a pensare. Non mi importa se sotto la Russia o l’Ucraina, ma non voglio che mio figlio debba passare di nuovo l’inferno al quale siamo sfuggiti. Anzi, spero che il tempo cancelli questi ricordi, che non sia conscio di quello che ha passato.»
Nei mesi successivi parlerò con centinaia di persone in condizioni simili a quelle di Irina. Quasi ogni volta che proverò a confrontarmi con loro su questioni politiche, mi interromperanno. Chi vive questa tragedia non pensa alla Russia, all’Ucraina, a Putin o a Zelensky. Per loro la priorità non è la politica, ma la sopravvivenza: scappare dalle bombe, avere del cibo, un po’ d’acqua e una coperta per ripararsi dal freddo.
Il mattino dopo Irina abbandona la tenda. È riuscita a contattare i suoi parenti e andrà a stare da loro insieme al bambino. Molti altri fuggiaschi arrivati con lei hanno invece deciso di trasferirsi in Russia. A uno a uno salgono sugli autobus che li porteranno nella regione di Rostov. Alcuni hanno deciso di farlo perché hanno perso tutto, altri perché pensano che in Russia avranno un futuro migliore, altri ancora perché sostengono di sentirsi russi. Tutti mi dicono di voler solo vivere in pace.
Io e Gabriele assisteremo a queste scene decine di volte, senza mai avere modo di riscontrare che qualcuno sia stato costretto con la forza a lasciare l’Ucraina per la Russia. Tutte le centinaia di persone che incontreremo e con cui parleremo nel centro di filtrazione di Bezimennoe e in tanti altri luoghi del Donbass ci diranno di poter scegliere autonomamente se andare per la propria strada o se affidarsi ai programmi di trasferimento della Federazione. Per molti che hanno perso tutto sotto le bombe risulterà essere la soluzione meno peggiore.
«I russi non deportano nessuno perché non hanno alcun interesse geopolitico a farlo» mi dirà quella sera Sergej di fronte a un bicchiere di vodka. «La gente di Mariupol e di tutto il Donbass è già quasi tutta di lingua e cultura russa. Al di là del passaporto non ci sono differenze tra loro e gli abitanti della regione di Rostov. Piuttosto Putin vuole che il Donbass diventi russo anche dal punto di vista formale, per questo ha dato ordine di promuovere una presenza russa perpetua in questa regione. Ma per farlo non ha bisogno di deportare i suoi abitanti né di rimpiazzarli con altri. Che senso avrebbe rimpiazzare dei russi con altri russi? La sfida è semmai un’altra. Essere russofoni non significa per forza condividere le politiche del Cremlino, non è automatico che chi vive nel Donbass e parla russo preferisca vivere sotto la Russia rispetto all’Ucraina. Al contrario, quando nel 2014 scoppiarono le rivolte, molti cittadini di Donetsk, Lugansk e Mariupol si schierarono apertamente con l’Ucraina. Negli ultimi otto anni la maggior parte di questi sono fuggiti da Donetsk e Lugansk, ma sono invece rimasti a Mariupol, dove il governo di Kiev ha avviato massicci programmi che chiamavano di decomunistizzazione: sono stati rimossi i simboli russi e sovietici, ai cittadini è stata trasmessa una certa interpretazione della storia ucraina, descrivendo i russi come il male assoluto e cercando di convincerli di avere un destino comune con gli abitanti del resto dell’Ucraina. Adesso la Russia vuole fare esattamente il contrario. Non deportarli ma convincerli che in realtà sono sempre stati russi e che ora si stanno solo ricongiungendo con la loro patria ancestrale. In altre parole, vogliono deucrainizzarli: rimuovere i loro legami con l’Ucraina facendo leva sulla lingua e sulla cultura che condividono con i russi. È un processo che è già in corso nei villaggi conquistati. Volete capire come funziona? Venite con me domani. Vi mostrerò che cos’è quella che voi occidentali chiamate russificazione.»
"Non avrete nulla e sarete felici". e se non fossi felice? "non ti preoccupare, ti cureremo"
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