Donatella di cesare

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Come potremmo descrivere oggi il mondo del capitalismo avanzato? Non come un «palazzo di cristallo», né come un labirinto di passages, le due famose metafore proposte da Dostoevskij e Benjamin. L’immagine è piuttosto quella di un centro commerciale planetario, aperto non-stop, operativo secondo il ritmo inarrestabile del 24/7. L’esterno è stato risucchiato all’interno.

Tutto è costantemente rischiarato da una narcosi di luce, dove il giorno aspira a diventare permanente. Saltano i limiti: non solo tra esterno e interno, ma anche tra luce e buio, attività e riposo, sonno e veglia. Nella lunga notte del capitale, illuminata a giorno permanente, nessuna pausa è ammessa. L’ambiente artificiale intensamente illuminato favorisce un sonnambulismo di massa.

La volta è senza astri, senza punti di orientamento. Perché le stelle, se anche ci fossero, non sarebbero più visibili, occultate dall’alta intensità del bagliore che si confonde con i miasmi dell’inquinamento. Sotto quel cielo vuoto opera alacremente il supermarket planetario che consente una varietà infinita di offerte, ma che non ammette la possibilità di un oltre.

ALTEZZA E PROFONDITÀ sembrano perdute. Il supermarket planetario si estende orizzontalmente, integrando tutto al suo interno, in una piattezza disarmante, che smentisce ogni «fuori».
Ho chiamato «immanenza satura» il regime di un globo senza finestre, quello del capitalismo in stato avanzato. L’immanenza va intesa nel senso etimologico di ciò che permane in sé, sempre dentro, senza fuori, senza esteriorità. La saturazione è spazio-temporale.

Il che potrebbe sorprendere. Non è forse questo il mondo dei flussi assoluti, del capitale, della tecnica, dei media? Non è il mondo dell’accelerazione? Certo. Ma a ben guardare la vorticosa economia del tempo descrive le medesime orbite. La rapidità precipita nella stasi, l’accelerazione finisce nell’inerzia. Il sigillo del globo sincronizzato è il cambiamento inerziale.

Il mondo dell’immanenza satura è quello che ha preteso di immunizzarsi da tutto ciò che è fuori e di scongiurare ogni alterazione. Questo mondo del tardocapitalismo è quello della catastrofe ecologica imminente, di cui troppo spesso si dimentica la responsabilità: l’incandescente sovranità del capitale. Così è ormai più facile figurarsi la fine del mondo che immaginarsi la fine del capitalismo. Il mondo dell’immanenza satura è quello del regime capitalistico-globale dove si oscilla tra il non-evento del fluire liberaldemocratico e l’imminente collasso planetario.

Qui domina una exofobia, una paura abissale, un freddo panico per ciò che è esterno, per ciò che è oltre e altro. Si resta all’interno, accettando una chiusura spaziale che è anche una prigione temporale. Mancanza di sensibilità, privazione di memoria, riduzione delle facoltà percettive, impossibilità di riflessione caratterizzano il sonnambulismo di massa.

Quali sono gli effetti di questa exofobia sull’esistenza? Che cosa vuol dire abitare nell’immanenza satura del supermarket planetario?

Qui non si tratta tanto della questione etica che riguarda l’estromissione dell’altro, quanto piuttosto della questione psicopolitica che investe il sé. Che ne è del sé incapace di protendersi fuori, pronto a condividere tutte le immagini exofobiche? Quelle che lo spingono a paventare perdita di forza di gravità, perdita di identità locale, perdita di luogo e di posto di lavoro, per via di una «invasione» annunciata dall’esterno, di un predominio degli stranieri, di un’invisibile minaccia diffusa ovunque?

L’exofobia si traduce in una riduzione dell’altro che, considerato come uno spettro nello spazio esterno, non è più il coabitante, reale o potenziale, della sfera comune. Al contrario diventa il rappresentante spettrale di tutto ciò che viene da fuori, che costituisce un’emergenza continua, un pericolo incombente. Di qui la tentazione del sé di essere sempre più stanziale e iperprotetto chiudendosi in una polizia preventiva.

SCONTATO è il ripiegamento sul proprio ego, in un egoismo divenuto ormai extra-morale, fomentato dal modello dell’incorporazione dettata dal consumo. L’ego del consumatore sovrano, la cui esistenza si misura in potere d’acquisto, la cui libertà si condensa nella scelta fra prodotti diversi, è insieme l’ego dell’elettore sovrano il cui amor proprio è sempre meno l’amore di sé, sempre più l’amore del proprio e della proprietà.

Si intuiscono gli effetti psicopolitici esercitati dal regime dell’immanenza satura. Ciò vale tanto più nell’epoca della sovranità sbandierata, del sovranismo rivendicato dagli Stati, ma anche – non si deve dimenticarlo – dai soggetti. Il sé che si vuole sovrano è paradossalmente quello più assoggettato e soggiogato dalla psicopolitica neoliberista.

Questo sé egoico è andato inesorabilmente sprofondando in se stesso. Mentre esistere significa emergere da sé, protendersi fuori, il suo esistere è diventato uno sconsolato in-sistere, che grava sul proprio centro. Così, si è caparbiamente fuso in se stesso, senza trovare più il varco verso l’oltre.
Il presunto soggetto sovrano ha finito per soccombere alla exofobia contemporanea proiettando il negativo all’esterno, in una visione torva e minacciosa, accettata supinamente. Come se tutto dovesse per forza restare all’interno nel segno dell’immunizzazione.

SU QUESTO SÉ CHIUSO, ripiegato in sé, e solidale solo con se stesso, viene perpetrata una repressione subdola, una pressione distruttiva, che si manifesta come depressione. Con ciò non si deve intendere un disturbo di cui alcuni soffrirebbero, bensì la patologia stessa del mondo senza fuori. La depressione dovrebbe essere intesa non solo e non tanto come avvilimento, ma anche come impossibilità di innalzarsi, e certo anche come incattivimento, cioè quel rendersi captivus, prigioniero.

Questo sé depresso e sonnambulo che, impassibile, ha visto altri naufragare davanti ai propri occhi, è naufragato in se stesso. D’altronde nel mondo dell’indifferenza postimmunitaria, della voracità bulimica, della pienezza di sé, non può esserci ospitalità. Perché l’ospitalità è interruzione del sé. Qui però i calcoli non hanno funzionato: non si è previsto che la negazione dell’altro sarebbe stata anche autonegazione. Così si è messa in moto una spirale di autodistruttività.

Abitare è un sinonimo di esistere, nel senso di stare al mondo. Purché il mondo non venga considerato un container. È questo, appunto, il caso del supermarket planetario, un universo sempre più inabitabile.

Il regime dell’immanenza satura è il globo attraversato e percorso da reti digitali dove è eliminata ogni estraneità, in cui il sé, chiuso nell’alveo dei flussi, che non ammettono interruzione, ha smarrito l’eccentricità, l’uscita dal proprio centro ed è spaesato come mai.

La risposta non sta però in una iperimmunizzazione reazionaria che idolatra il luogo, che sacralizza la casa, che inneggia alla patria etnica. Il sé che pretende di non poter esistere se non nel luogo dove mette i piedi, di cui immagina di avere la proprietà, e perciò la facoltà di escludere gli altri, è quel sé che è già annegato.
Rendere il mondo abitabile vuol dire opporre alla exofobia una exofilia, un’amicizia per l’esterno, anche e proprio là dove sembra essere più estraneo, dove intimorisce e spaventa. La polizia preventiva del sé che pretenderebbe di essere stanziale e iperprotetto porta al naufragio. Solo la traumatica leva dell’altro può far uscire dalla narcosi dello stordimento.
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heyoka
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Un pò lunghetto ma con qualche riflessione condivisibile ed altre che meriterebbero una Serenissima discussione.
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Re: Donatella di cesare

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heyoka ha scritto: 6 set 2020, 17:21 Un pò lunghetto ma con qualche riflessione condivisibile ed altre che meriterebbero una Serenissima discussione.
no heyoka non meritano riflessioni o discussioni.
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Re: Donatella di cesare

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Mugik ha scritto: 6 set 2020, 12:46 ...................
La risposta non sta però in una iperimmunizzazione reazionaria che idolatra il luogo, che sacralizza la casa, che inneggia alla patria etnica. Il sé che pretende di non poter esistere se non nel luogo dove mette i piedi, di cui immagina di avere la proprietà, e perciò la facoltà di escludere gli altri, è quel sé che è già annegato.
Rendere il mondo abitabile vuol dire opporre alla exofobia una exofilia, un’amicizia per l’esterno, anche e proprio là dove sembra essere più estraneo, dove intimorisce e spaventa. La polizia preventiva del sé che pretenderebbe di essere stanziale e iperprotetto porta al naufragio. Solo la traumatica leva dell’altro può far uscire dalla narcosi dello stordimento.
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Donatella Di Cesare (Roma, 29 aprile 1956) è una filosofa, saggista e editorialista italiana È una delle filosofe più presenti nel dibattito pubblico italiano e internazionale, sia accademico sia mediatico.[1] [2] [3] Collabora con diversi giornali e riviste tra cui «L’Espresso» e «il Manifesto»

è la tipica intellettuale di sinista e politicamente corretta, che si riempie la bocca di concetti e parole vuote di significato concreto per giustificare i propri convincimenti.
tutto il papocchio sopra che ho cancellato servono a giustificare la seguente affermazione: "opporre alla exofobia una exofilia".
come i suoi compagni di merenda che frequenta al manifesto e l'espresso si immagina il mondo diviso in due parti i buoni, ossia lei e i suoi amici e i cattivi, che anche se non dichiarato vengono impersonati alla perfezione dai leghisti (fascisti xenofobi razzisti)
come immaginare il genere femminile diviso di netto tra sante e puttane.
purtroppo fare comprendere a gente del genere che ne il mondo non è come se l'immagina e che per di più è bene, anzi benissimo, che le persone, nella vita reale siano una via di mezzo, e che un po di xenofobia sia indice di equilibrio per qualsiasi persona psichiatricamente sana.
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Re: Donatella di cesare

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heyoka ha scritto: 6 set 2020, 17:21 Un pò lunghetto ma con qualche riflessione condivisibile ed altre che meriterebbero una Serenissima discussione.
Prima andrebbe fatta la fatidica domanda che tutti i "normali" si fanno:
Cioe'?
Ma per non passare da minus habens si dice "con qualche riflessione condivisibile ed altre che meriterebbero una Serenissima discussione"
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Re: Donatella di cesare

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RedWine ha scritto: 6 set 2020, 17:55
Mugik ha scritto: 6 set 2020, 12:46 ...................
La risposta non sta però in una iperimmunizzazione reazionaria che idolatra il luogo, che sacralizza la casa, che inneggia alla patria etnica. Il sé che pretende di non poter esistere se non nel luogo dove mette i piedi, di cui immagina di avere la proprietà, e perciò la facoltà di escludere gli altri, è quel sé che è già annegato.
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è la tipica intellettuale di sinista e politicamente corretta, che si riempie la bocca di concetti e parole vuote di significato concreto per giustificare i propri convincimenti.
tutto il papocchio sopra che ho cancellato servono a giustificare la seguente affermazione: "opporre alla exofobia una exofilia".
come i suoi compagni di merenda che frequenta al manifesto e l'espresso si immagina il mondo diviso in due parti i buoni, ossia lei e i suoi amici e i cattivi, che anche se non dichiarato vengono impersonati alla perfezione dai leghisti (fascisti xenofobi razzisti)
come immaginare il genere femminile diviso di netto tra sante e puttane.
purtroppo fare comprendere a gente del genere che ne il mondo non è come se l'immagina e che per di più è bene, anzi benissimo, che le persone, nella vita reale siano una via di mezzo, e che un po di xenofobia sia indice di equilibrio per qualsiasi persona psichiatricamente sana.
Caro Red, anche i Sinistri più ideologizzati, come questa filosofa, a volte possono avere ed esprimere concetti che meritano di essere presi in considerazione e discussi.
Se poi costoro, i Sinistri ideologizzati come questa filosofa e come il nostro amico Mugik, non riescono a liberarsi dalle liro PARANOIE IDEOLOGICHE, questo non è un problema di noi pragmatici.
È un loro problema che io auguro loro possano un giorno liberarsene.
Io mi sforzo fi tenere sempre la mia mente e i miei pensieri LIBERI a 360°.
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Nessuno si sottrae alla vorticosa economia del tempo nell’era del capitalismo avanzato. Apparentemente siamo liberi e sovrani. Ma a ben guardare l’imperativo della crescita, l’obbligo della produzione, l’ossessione del rendimento fanno sì che subdolamente libertà e costrizione finiscano per coincidere. Viviamo in una libertà costrittiva o in una libera costrizione. Non potremmo altrimenti reggere la sfida quotidiana che ci lascia esausti, senza fiato.

Se la sera avvertiamo un vago senso di colpa, non è certo per le leggi etiche aggirate, né per i comandamenti religiosi elusi, bensì per non aver tenuto il passo, per non aver assecondato il battito convulso del mondo lanciato ad alta velocità. La rapidità precipita nella stasi, l’accelerazione finisce nell’inerzia. Nella forsennata situazione di stallo il pericolo aumenta. Tanto più che, se le élites hanno interiorizzato le norme dell’accelerazione, i lavoratori sono costretti a ritmi alienanti, mentre sui disoccupati grava l’esclusione. Ma il controllo sulla macchina dell’accelerazione sembra ormai sfuggito. Frenare, sabotare? Come interrompere la folle corsa, evitando, però, il salto autodistruttivo? Come arrestare l’ingranaggio malefico che vampirizza il nostro tempo e rovina le nostre vite? Il male che viene, a ben guardare, era già venuto. Bisognava essere ciechi per non vedere la catastrofe alle porte, per non riconoscere la maligna velocità del capitalismo che non sa, non può andare oltre, e avvolge nella sua spirale devastante, nel suo vortice compulsivo e asfittico.
Per la filosofa il coronavirus è un virus sovrano che aggira i muri patriottici, le boriose frontiere dei sovranisti. E rivela in tutta la sua terribile crudezza la logica immunitaria che esclude i più deboli. La disparità tra protetti e indifesi, che sfida ogni idea di giustizia, non è mai stata così sfrontata. Il virus ha messo allo scoperto la spietatezza del capitalismo e mostra l’impossibilità di salvarsi, se non con l’aiuto reciproco, costringendo a pensare un nuovo modo di coabitare.
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Re: Donatella di cesare

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Insisto nel dire che posso condividere molti aspetti della diagnosi fatta dalla filosofa Di Cesare e dal suo mentore Mugik. Da persona pragmatica e NON paranoica devo però diffidare sulle sicuramente conseguenti tesi nei rimedi proposti, in quanto dai variegati ed astiosi pulputi del clero Comunista non abbiamo MAI visto soluzioni migliorative, rispetto a quelle proposte ed applicate dal clero capitalista.
Direi che tutto sommato il MENO PEGGIO è ancora il clero capitalista.
Anche sotto l' aspetto ecologico.
Basta pensare a cosa è successo in quel di Chernobyl.
Un clero, quello Comunista, che senza alcin dubbio è il più diabolicamente Luciferino, tra tutti i cleri del mondo.
Insuperabile nell' ODIO verso i Cleri antagonisti ma anche verso i Cleri a loro più ideologicamente vicini.
Basta ricordare quanti Milioni di Comunisti sono stati fatti ammazzare per ordine di Stalin.
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Re: Donatella di cesare

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Speravo che il nostro amico Mugik, fosse interessato a tenere in vita questo topic che ha aperto e che io trovo ricco di ottimi spunti ed osservazioni..
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Re: Donatella di cesare

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Mugik....
Se ci sei batti un colpo che in questo forum ci sono anche Legaioli democratici, come me, che ti vogliono bene e vorrebbero confrontarsi spensieratamente.
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