SPIGOLANDO......

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grazia
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Re: SPIGOLANDO......

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E crescendo impari....

di Anonimo

E crescendo impari che la felicità non e' quella delle grandi cose.
Non e' quella che si insegue a vent'anni, quando, come gladiatori si combatte il mondo per uscirne vittoriosi...
La felicità non e' quella che affannosamente si insegue credendo che l'amore sia tutto o niente,...
non e' quella delle emozioni forti che fanno il "botto" e che esplodono fuori con tuoni spettacolari...,
la felicità non e' quella di grattacieli da scalare, di sfide da vincere mettendosi continuamente alla prova.
Crescendo impari che la felicità e' fatta di cose piccole ma preziose....
...e impari che il profumo del caffè al mattino e' un piccolo rituale di felicità, che bastano le note di una canzone, le sensazioni di un libro dai colori che scaldano il cuore, che bastano gli aromi di una cucina, la poesia dei pittori della felicità, che basta il muso del tuo gatto o del tuo cane per sentire una felicità lieve.
E impari che la felicità e' fatta di emozioni in punta di piedi, di piccole esplosioni che in sordina allargano il cuore, che le stelle ti possono commuovere e il sole far brillare gli occhi,
e impari che un campo di girasoli sa illuminarti il volto, che il profumo della primavera ti sveglia dall'inverno, e che sederti a leggere all'ombra di un albero rilassa e libera i pensieri.

E impari che l'amore e' fatto di sensazioni delicate, di piccole scintille allo stomaco, di presenze vicine anche se lontane, e impari che il tempo si dilata e che quei 5 minuti sono preziosi e lunghi più di tante ore,
e impari che basta chiudere gli occhi, accendere i sensi, sfornellare in cucina, leggere una poesia, scrivere su un libro o guardare una foto per annullare il tempo e le distanze ed essere con chi ami.

E impari che sentire una voce al telefono, ricevere un messaggio inaspettato, sono piccolo attimi felici.
E impari ad avere, nel cassetto e nel cuore, sogni piccoli ma preziosi.

E impari che tenere in braccio un bimbo e' una deliziosa felicità.
E impari che i regali più grandi sono quelli che parlano delle persone che ami...
E impari che c'e' felicità anche in quella urgenza di scrivere su un foglio i tuoi pensieri, che c'e' qualcosa di amaramente felice anche nella malinconia.

E impari che nonostante le tue difese,
nonostante il tuo volere o il tuo destino,
in ogni gabbiano che vola c'e' nel cuore un piccolo-grande
Jonathan Livingston.
E impari quanto sia bella e grandiosa la semplicità.
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grazia
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l'angolino del sorriso

Battute di
GRAUCHO MARX


Ero andato a comprare dei chiodi di garofano.
Devo piantare la mia fidanzata e volevo dirglielo con i fiori.
&&&&
Sapete perché la neve cade a fiocchi e non a nodi?
Perché se cadesse a nodi farebbe molta più fatica a sciogliersi!
&&&&
"Va bene, va bene! Lo capisco che non sono accettato
dal fatto che non sanguino.
&&&&
Cadono tutte ai tuoi piedi! Ma cosa ci fai alle donne?
Lo sgambetto?
&&&&
Volevo regalarti una giacca di Armani,
ma mi dispiaceva lasciarlo in maniche di camicia.
&&&&
La vita è breve come la pipì di una farfalla.
Ieri ho salvato una donna che stava per essere violentata...
mi è bastato controllarmi..
&&&&
Tra fantasmi: "Chi muore si rivede!"
&&&&
Due maiali vanno ad un telequiz e dicono al presentatore:
"Avete delle domande da porci"?
&&&&
Ho inventato un cappotto che va bene in tutte le stagioni:
quando fa caldo basta levarlo.
&&&&
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grazia
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Re: SPIGOLANDO......

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SPINOZA, LA DEMOCRAZIA
Lo stato, che è la forma in cui viene esercitato collettivamente il diritto di ciascuno, può avere anche le caratteristiche dell’assolutismo e reggersi prevalentemente sull’uso della forza: si hanno però in questo modo gravissimi rischi di rivolta e, soprattutto, non si garantiscono quei diritti che per Spinoza sono fondamentali - la libertà di pensiero e quella di espressione -, mentre si lascia spazio a un altro “diritto naturale”, il diritto alla ribellione. La via di uscita che propone Spinoza è “che ciascuno alieni a favore della società tutta la potenza di cui dispone”: dunque, la democrazia.

B. Spinoza, Trattato teologico-politico, cap. XVI

Certamente, se tutti gli uomini fossero tali da lasciarsi guidare facilmente dalla sola ragione e sapessero riconoscere l’utilità e l’esigenza suprema dello Stato, non ci sarebbe nessuno che non aborrisse frodi e inganni e tutti starebbero ai patti con perfetta lealtà, animati dal desiderio di quel bene supremo che è il mantenimento della società. Il presidio piú prezioso dell’organizzazione civile, la fedeltà, verrebbe mantenuto integro con il massimo impegno. Ma, nella realtà, gli uomini sono ben lungi dal poter essere sempre facilmente guidati dalla ragione; ciascuno è sospinto dai suoi personali impulsi al piacere e gli animi spessissimo sono a tal punto dominati dall’avidità, dalla bramosia degli onori, dall’invidia, dalla collera che nessun posto resta per la capacità di riflettere e di giudicare. Ecco perché, a meno che una qualche garanzia non si aggiunga alla promessa, nessuno può essere sicuro della lealtà dell’altro, nonostante che gli uomini pattuiscano e promettano di mantenere fede agli impegni con le piú persuasive sembianze di una intenzione onesta. Sappiamo infatti che ogni individuo può agire con l’inganno in forza del diritto di natura e che non è tenuto a stare ai patti se non in vista di un bene maggiore o per timore di un male peggiore.
Abbiamo già mostrato che il diritto di natura è determinato e delimitato esclusivamente dalla potenza di ciascun individuo: ne segue che se l’uno, a forza o spontaneamente, trasferisce all’altro una parte della potenza di cui dispone, cede anche, necessariamente, una parte corrispondente del suo diritto. E allora sarà depositario del diritto sovrano su tutti colui che potrà esercitare l’autorità suprema, colui che in base ad essa potrà costringere ognuno con la forza tenendolo a freno con il timore dell’estremo supplizio che è universalmente paventato. Questi avrà nelle proprie mani tale diritto per tutto il tempo (né piú né meno) che conserverà il potere di fare ciò che vuole; altrimenti la sua autorità sarà precaria e nessuno che abbia piú forza di lui sarà tenuto, non volendolo, ad obbedirgli.
La società può costituirsi senza che si venga a creare conflitto con il diritto naturale, e ogni patto può essere rispettato con piena lealtà soddisfacendo dunque a questa condizione: che ciascuno alieni a favore della società tutta la potenza di cui dispone. La società verrà cosí investita del sovrano diritto di natura su ogni cosa, cioè essa sola tratterrà nelle proprie mani l’autorità suprema alla quale ciascuno si troverà nella condizione di dover ubbidire, sia di sua spontanea volontà, sia per timore della pena capitale. Un cosí inteso diritto esercitato dalla società intera è detto “democrazia”: regime politico definibile appunto come unione di tutti i cittadini, che possiede ed esercita collegialmente un diritto sovrano su tutto ciò che è in suo potere. Ne risulta che questa potestà non può essere condizionata da nessuna legge e che tutti le debbono sottostare in ogni campo; sottomissione del resto che, espressamente o tacitamente, dovette essere pattuita quando tutti trasferirono nella società l’intera potenza di cui disponevano per difendersi, e quindi ogni loro diritto.
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Re: SPIGOLANDO......

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Er Somaro e el leone

Un Somaro diceva: - Anticamente,
quanno nun c'era la democrazzia,
la classe nostra nun valeva gnente.
Mi' nonno, infatti, per avé raggione
se coprì co' la pelle d'un Leone
e fu trattato rispettosamente.

- So' cambiati li tempi, amico caro:
- fece el Leone - ormai la pelle mia
nun serve più nemmeno da riparo.
Oggi, purtroppo, ho perso l'infruenza,
e ogni tanto so' io che pe' prudenza
me copro co' la pelle de somaro!

TRILUSSA
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La legge sul divorzio ha cambiato l’Italia. È vero, ma in peggio

Piero Gheddo

Feci la battaglia per il referendum e oggi vedo che cosa ha provocato quella legge. «Il Sessantotto ha lanciato il tema dei “diritti”, tutto era diritto, ma di “doveri” non si parlava e non si parla quasi più»

Quarant’anni fa, il 22 maggio 1974, il referendum abrogativo della legge sul divorzio approvata dal Parlamento nel dicembre 1970 (proposta dal socialista Loris Fortuna e dal liberale Antonio Baslini), venne approvato solo dal 40,7% dei votanti; il 59,3% aveva bocciato il referendum. Quel voto ha segnato l’agonia lenta ma costante del matrimonio e della famiglia tradizionali in Italia. Ricordo benissimo la campagna contro il divorzio a cui anch’io, per quel poco che contavo, mi sono impegnato, avendo sperimentato la bellezza e gioia di una famiglia unita e soprattutto, leggendo e meditando i testi di Paolo VI e dei vescovi italiani, mi rendevo conto che, col divorzio diventato legge di stato, iniziava il dissolvimento della famiglia e quindi della società italiana.
Ancora una volta si è avverato il detto dei latini: “Lex creat mores”, la legge crea il costume. Oggi, 40 anni dopo, possiamo vederlo con chiarezza. Le famiglie regolari sono minoritarie, diminuiscono i matrimoni religiosi e civili, diminuiscono in modo drammatico i bambini, aumentano le libere convivenze e un numero sempre maggiore di giovani non si pongono più la meta di unire la propria vita ad una donna o a un uomo, per creare una famiglia stabile; rimandano la scelta decisiva e a 40 anni si ritrovano “singoli”.
Le conseguenze sono tutte negative: si formano meno famiglie, nascono pochi bambini, e soprattutto i genitori precari danno vita a persone che portano dentro il tarlo della precarietà. Una giovane insegnante di scuola elementare qui a Milano mi dice che dopo pochi mesi di scuola già si possono individuare almeno alcuni dei bambini che non hanno genitori stabili, i cui genitori non sono uniti, bisticciano; l’insegnante non si può dire: “Obbedite ai vostri genitori” perché qualche bambino risponde: “Io due papà e mamma, a chi obbedisco?”. L’Italia manca di bambini (noi italiani diminuiamo di più di 100.000 unità all’anno!) e un certo numero dei giovani che ci sono, secondo Riccardo Gatti di una Asl milanese, “il 24% di ragazzi abusa di alcool e droghe” (Avvenire, 25 maggio 2014). Invece di andare all’oratorio, oggi molti giovani vanno in discoteca e certamente la loro formazione umana e morale non ci guadagna.
Il divorzio non è un problema dei cattolici. Lo diceva con forza il giurista prof. Gabrio Lombardi, laico non credente che presiedeva il “Comitato nazionale per il referendum sul divorzio”. Leggo in un suo ritaglio stampa di quel tempo questa profezia: “Se gli italiani approvano la legge sul divorzio, distruggono la famiglia tradizionale e la stessa società italiana, poiché la società si fonda sulla famiglia prima che sullo stato”. Aveva ragione, e con lui il Papa, i vescovi italiani e numerosi deputati Dc, compreso il segretario del Partito, on.le Amintore Fanfani, che si spese generosamente nella campagna contro il divorzio. “Ma il fronte cattolico si presentò diviso di fronte al divorzio – scrive lo storico Gianpaolo Romanato dell’Università di Padova (Avvenire, 25 maggio) – ma non bisogna dimenticare che era già diviso da prima, si era spaccato nell’immediato postconcilio”.
So bene che il problema è complesso. “E’ un problema di diritti e di libertà, dicevano i divorzisti. L’amore dura fin che dura, se due sposi non si amano più è meglio che si separino e si sposino di nuovo”. Il Sessantotto ha lanciato il tema dei “diritti”, tutto era diritto, ma di “doveri” non si parlava e non si parla quasi più. Papa Francesco ha detto recentemente: “Ogni bambino ha il diritto di avere un papà e una mamma”. Ma questo diritto non si ricorda mai, non esiste più. Come al solito prevale il diritto (o il capriccio, l’egoismo) dei più forti. Il sessantotto ha imposto alcune delle tante ideologie di cui ancora soffriamo: il relativismo, l’individualismo e si perde il senso della vita. Se non esiste più una verità assoluta non esistono più valori assoluti, quindi nulla per cui valga la pena di spendere la vita. Il quotidiano cattolico Avvenire ha pubblicato un articolo intitolato: “Quella legge che cambiò l’Italia” (25 maggio 2014). Non so cosa ne pensano i lettori, per me l’ha cambiata in modo estremamente negativo.

________________________________________

Le Leggi, volendo, si possono modificare se ci si accorge di averle fatte male, o mi sbaglio?
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Re: SPIGOLANDO......

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L'INTERNAZZIONALE TEDESCA

Trilussa


Ce fu un tedesco che girò l’Europa
con un cartello e un fazzoletto rosso
attaccato in un manico de scopa.
Er cartello diceva: - Proletari!
La patria è er monno! Dunque date addosso
a chi vô fa’ le spese militari.

Se volete la pace universale
bisogna ch’abbolite ogni frontiera.
Venite tutti sotto ‘sta bandiera
che canteremo l’Internazzionale! -
Quanno er tedesco ritornò ar paese
agnede a casa de l’Imperatore
pe’ fasse rimborsa tutte le spese.

- Be’? - dice - com’è annata? - Bene assai!
La propaganda ha fatto un gran furore.
Dio! Quanti fessi! Nun credevo mai!
E l’ho lasciati tutti co’ la smania
d’unì le patrie in una patria sola…
E, in questo, je mantengo la parola
perché faremo tutta una Germania. -

Ma appena ch’ogni popolo s’accorse
der trucco preparato da ‘sti ladri,
arzò la testa, prese un’arma e corse…
- La Patria è nostra - dissero li fiji.
- La Patria è nostra! - dissero le madri.
E l’Aquilaccia se spuntò l’artiji.

E mó l’Imperatore, persuaso
che la bandiera rossa nun fa effetto,
la tiè in saccoccia come un fazzoletto
e quarche vorta ce se soffia er naso.
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Re: SPIGOLANDO......

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LIBERTA'

""Per l'ordinamento costituzionale italiano il diritto di manifestare il proprio pensiero è sancito per tutti dall'articolo 21 della costituzione e consiste nella facoltà riconosciuta al singolo di manifestare il proprio pensiero in modo pubblico e di farne propaganda con qualsiasi mezzo.
La costituzione garantisce la libertà di pensiero intesa sia come libertà di pensare e di avere idee personali senza poter essere discriminato in base ad esse, sia nel suo aspetto strumentale o dinamico, come libertà di manifestare il proprio pensiero in qualsiasi luogo adatto a divulgare le proprie idee.

Il costituente ha inteso assicurare ad ogni individuo la giuridica possibilità di avere opinioni personali e di manifestarle, ma senza offendere.""" O essere OFFESO
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Re: SPIGOLANDO......

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Accogliere le parole prima di pronunciarle.
Plutarco e l’esaltazione dell’ascolto



– “L’Arte di Ascoltare” di Plutarco è un saggio estratto dai “Moralia”, dove il filosofo greco tocca un argomento quanto mai attuale.
La relazione con gli altri e la qualità di essa è, infatti, al centro dell’analisi di Plutarco, il quale pone come base la capacità di ascolto. L’uomo deve essere in grado di ascoltare lasciando da parte l’arroganza, l’odio, l’invidia e il protagonismo.
Abbiamo spesso sottolineato come l’ascolto “attivo” sia fondamentale per la costruzione di relazioni efficaci e per la gestione e risoluzione di incomprensioni e conflitti.
All’ascolto deve necessariamente seguire una capacità di analisi e di dialogo.
Plutarco si rivolge ai giovani perchè sono loro che devono, ad un certo punto della loro vita, guidare una società giusta.
Per questo “sbagliano i più a ritenere che i giovani debbano prima esercitarsi nell’arte della parola rispetto a quella di ascoltare” e, già nel 60 d.c. Plutarco vedeva i risultati negativi di tale tendenza.
Se chi gioca a palla “impara contemporaneamente a prenderla e lanciarla” – afferma il filosofo – “la parola bisogna prima imparare ad accoglierla bene per poi poterla pronunciare”.
La capacità di ascolto delle nuove generazioni è influenzata dai propri educatori. Sono infatti essi che devono “rendere le orecchie dei ragazzi sensibili alle parole e insegnare loro a non parlare molto ma ad ascoltare molto”.
E’ grazie a Plutarco che oggi conosciamo il famoso aforisma della predisposizione umana all’ascolto: “la natura ci ha dato due orecchie e una sola lingua perchè siamo tenuti più ad ascoltare che a parlare”.
Tale predispozione naturale è però fortemente a rischio e lo era evidentemente già ai tempi del filosofo. Quanto mai attuale è infatti la tendenza culturale a parlare per primi, aggredire, interrompere, rifiutare l’ascolto e la comprensione degli altri, esaltare solo le proprie ragioni in modo egoistico e con accesa smania di protagonismo.
Plutarco rifiutava tutto ciò ed elogiava quei rarissimi casi di persone che “sanno più di quanto non parlano”.
Plutarco esaltava anche il silenzio, necessario quando si ascolta davvero qualcuno. “Il silenzio è un ornamento sicuro, soprattutto per i giovani. Bisogna evitare di abbaiare ad ogni battuta, aspettando pazientemente che l’interlocutore abbia finito di esporre il suo pensiero, anche se non lo si condivide”. Infine è importante concedere lo spazio di correggersi in quanto bisogna dare il tempo a chi parla anche di chiarire ed, eventualmente, ritrattare qualche affermazione affrettata.
Chi rispetta gli altri mentre parlano ha più possibilità di trarre dalle parole ascoltate qualche spunto utile. Plutarco condanna senza esitazioni anche l’invidia. Essa è dannosa, soprattutto se associata all’odio e alla calunnia.
L’invidia impedisce un dibattito costruttivo e pacato in quanto qualsiasi cosa dica l’interlocutore, risulterà sgradita e inaccettabile.
L’invidia può nascere da rozzezza e ignoranza o da un “ingiustificato senso di superiorità” che si prova verso chi parla, senso di protagonismo che finisce per produrre effetti negativi sulle stesse persone che provano invidia.
L’invidioso misurerà tutto del suo interlocutore per paura di risultare inferiore nelle capacità, misurerà le reazioni del pubblico contando quelli che non applaudono per trarne giovamento.
Per questo oggi, chi è chiamato a risolvere situazioni conflittuali, deve necessariamente far capire alle parti il valore dell’ascolto senza pregiudizio e la capacità di analisi obiettiva dei contenuti di un discorso. Ne nascerà, quasi certamente, un dialogo costruttivo che porterà all’incontro e all’accordo.

Salvatore Primiceri
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Re: SPIGOLANDO......

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LA CORNACCHIA LIBBERALE

Trilussa

Una Cornacchia nera come un tizzo,
nata e cresciuta drento 'na chiesola,
siccome je pijò lo schiribbizzo
de fa' la libberale e d'uscì sola,
s'infarinò le penne e scappò via
dar finestrino de la sacrestia.
Ammalappena se trovò per aria
coll'ale aperte in faccia a la natura,
sentì quant'era bella e necessaria
la vera libbertà senza tintura:
l'intese così bene che je venne
come un rimorso e se sgrullò le penne.
Naturarmente, doppo la sgrullata,
metà de la farina se n'agnede,
ma la metà rimase appiccicata
come una prova de la malafede.
— Oh! — disse allora — mo' l'ho fatta bella!
So' bianca e nera come un purcinella...
— E se resti così farai furore:
— je disse un Merlo — forse te diranno
che sei l'ucello d'un conservatore,
ma nun te crede che te faccia danno:
la mezza tinta adesso va de moda
puro fra l'animali senza coda.
Oggi che la coscenza nazzionale
s'adatta a le finzioni de la vita,
oggi ch'er prete è mezzo libberale
e er libberale è mezzo gesuita,
se resti mezza bianca e mezza nera
vedrai che t'assicuri la cariera.
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Re: SPIGOLANDO......

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l'angolino del sorriso

CHI CERCA…..TROVA ….non sempre …

--Ciao, tu di che cosa sei morto?
--Io sono morto congelato e tu?
--Sono morto di gioia.
--come sei morto di gioia, spiegati meglio…..
--Sono tornato a casa e ho trovato mia
moglie nel letto, completamente nu.a e
allora ho cominciato a cercare l’amante sotto il letto,
nel bagno ,in cucina, negli armadi.....e siccome non
l'ho trovato, è stata così forte la gioia che il cuore
non ha retto.
--Co....ne! Se aprivi il congelatore ora saremmo ancora
vivi tutti e due!
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Re: SPIGOLANDO......

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est modus in rebus....
IL SAGGIO E LA VERITA


Una volta, un imperatore sognò di aver perso tutti i denti.

Si svegliò spaventato e fece chiamare un saggio in grado di interpretare

il suo sogno.

– Signore, che disgrazia! – esclamò il saggio.

Ciascuno dei denti caduti rappresenta la perdita di un famigliare

caro a Vostra Maestà .

– Ma che insolente! – gridò l'imperatore.

Come si permette di dire tale fesseria?

Chiamò le guardie ordinando loro di frustarlo.


Chiese in seguito che cercassero un'altro saggio.

L'altro saggio arrivò e disse:

– Signore, vi attende una grande felicità!
Il sogno rivela che lei vivrà più a lungo di tutti i suoi parenti.

Il volto dell'imperatore si illuminò.
Chiese che venissero consegnate cento monete d'oro a quel saggio.

Quando costui lasciò il palazzo, un suddito domandò:

- Com'è possibile?
L'interpretazione data da lei fu la stessa del suo collega.

Tuttavia lui prese delle frustate mentre lei ebbe delle monete d'oro!!

– Mio amico – rispose il saggio. Tutto dipende da come si vedono le cose…

Questa è la grande sfida dell'umanità .
Da ciò deriva la felicità o l'infelicità , la pace o la guerra.

La verità va sempre detta, non c'è alcun dubbio, ma il modo come la si dice…
E' quello che fa la differenza.

La verità deve essere comparata ad una pietra preziosa.Se la rinfacciamo a qualcuno, può ferire, provocando rivolta.

Ma se l'avvolgiamo in una delicata confezione e la offriamo con tenerezza, sarà sicuramente accettata con più felicità .
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Re: SPIGOLANDO......

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Ironia: arma vincente nella societa’
e toccasana per una vita a colori


Fu Freud che per primo ha analizzato la valenza ironica nel comportamento umano e la sua valutazione psicologica non si distanzia dalla ironia filosofica, che parte da una capacità autoironica, che serve per iniettare una dose dubitativa nella persona con cui si dialoga.
Che cosa è l’ammissione di ignoranza di Socrate se non l’abbattimento di ogni certezza per pervenire ad una verità più consapevole?
L’ignoranza socratica serve per mettere l’interlocutore nella possibilità di rivisitare le proprie idee, rianalizzarle e trovare nuove risposte che, ahimè, si davano per scontate. L’ironia, che è pure la capacità di ridere delle proprie convinzioni, da a chi la pratica una connotazione di simpatia umoristica, forse momentaneamente destabilizzante, ma che certamente porta ad una sdrammatizzazione benevola di quegli atteggiamenti saccenti di tante persone, afflitte da stupida delirante onnipotenza e che, se invece imparano ad usarla, possono recuperare la propria dimensione umana, fatta di umiltà e scevra da ogni residuo di superiorità intellettuale. Come dice Fulvio Fiori, noto autore di aforismi, “l’ironia è il sale della vita, il pepe, il pinzimonio; è il colore essenziale della gioia del distacco, della capacità di ridere, di sorridere, di guardare le cose da un punto di vista disincantato; l’ironia consente di non aderire al dramma, consente di sdrammatizzare, per l’appunto, di alleggerire, di guardare i problemi appesi a un palloncino, il che aiuta sicuramente a risolverli”.

L’ironia è sempre bonaria e mai cattiva, altrimenti sfocerebbe nel sarcasmo che, diversamente, tende alla ridicolizzazione ed alla annientamento del dialogante. Al contrario, deve essere adoperata con intenti migliorativi e mai dispregiativi. L’ironia aiuta a conoscersi e conoscere meglio e, laddove riesce a far ridere anche delle proprie posizioni valutative (ridersi addosso), facilita i rapporti umani, che devono poggiare su una parità intellettuale e mai su una pretesa superiorità.
Ecco perché Freud sosteneva che “l’uomo ridendo si libera da inibizioni e rimozioni, mette temporaneamente a tacere l’istanza della censura, offre una valvola di sfogo all’aggressività”. L’ironia va supportata da un sorriso, che non è quello di chi mostra semplicemente i denti ma di chi, con dolcezza, bussa con discrezione ad una porta e non la sfonda per entrare con prepotenza. L’ironia è certamente un’arma vincente per chi vuole aprirsi agli altri e non abbrutirsi nella presunzione della propria autosufficienza. Ovviamente deve essere una ironia naturale, deve appartenere al proprio abito mentale e mai forzata, per semplice esibizione caratteriale, questa sì che infastidisce perché non poggia su una profondità di pensiero ma sulla vacuità del nulla. Riepilogando è ironico chi prende coscienza dei propri limiti, chi non si prende troppo sul serio, chi sa applicarla su sé stesso (autoironia), chi sa che le proprie idee sono discutibili e suscettibili di modifica.
Il contrasto aprioristico, la battuta tagliente, l’intolleranza verbale, lo sguardo sprezzante ed una antipatica presunzione sono i sintomi di una società che ha perduto il senso dell’ironia.

Aldo di Mauro
Scrittore, poeta, filosofo
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SPINOZA, LA DEMOCRAZIA
Lo stato, che è la forma in cui viene esercitato collettivamente il diritto di ciascuno, può avere anche le caratteristiche dell’assolutismo e reggersi prevalentemente sull’uso della forza: si hanno però in questo modo gravissimi rischi di rivolta e, soprattutto, non si garantiscono quei diritti che per Spinoza sono fondamentali - la libertà di pensiero e quella di espressione -, mentre si lascia spazio a un altro “diritto naturale”, il diritto alla ribellione. La via di uscita che propone Spinoza è “che ciascuno alieni a favore della società tutta la potenza di cui dispone”: dunque, la democrazia.

B. Spinoza, Trattato teologico-politico, cap. XVI

Certamente, se tutti gli uomini fossero tali da lasciarsi guidare facilmente dalla sola ragione e sapessero riconoscere l’utilità e l’esigenza suprema dello Stato, non ci sarebbe nessuno che non aborrisse frodi e inganni e tutti starebbero ai patti con perfetta lealtà, animati dal desiderio di quel bene supremo che è il mantenimento della società. Il presidio piú prezioso dell’organizzazione civile, la fedeltà, verrebbe mantenuto integro con il massimo impegno. Ma, nella realtà, gli uomini sono ben lungi dal poter essere sempre facilmente guidati dalla ragione; ciascuno è sospinto dai suoi personali impulsi al piacere e gli animi spessissimo sono a tal punto dominati dall’avidità, dalla bramosia degli onori, dall’invidia, dalla collera che nessun posto resta per la capacità di riflettere e di giudicare. Ecco perché, a meno che una qualche garanzia non si aggiunga alla promessa, nessuno può essere sicuro della lealtà dell’altro, nonostante che gli uomini pattuiscano e promettano di mantenere fede agli impegni con le piú persuasive sembianze di una intenzione onesta. Sappiamo infatti che ogni individuo può agire con l’inganno in forza del diritto di natura e che non è tenuto a stare ai patti se non in vista di un bene maggiore o per timore di un male peggiore.
Abbiamo già mostrato che il diritto di natura è determinato e delimitato esclusivamente dalla potenza di ciascun individuo: ne segue che se l’uno, a forza o spontaneamente, trasferisce all’altro una parte della potenza di cui dispone, cede anche, necessariamente, una parte corrispondente del suo diritto. E allora sarà depositario del diritto sovrano su tutti colui che potrà esercitare l’autorità suprema, colui che in base ad essa potrà costringere ognuno con la forza tenendolo a freno con il timore dell’estremo supplizio che è universalmente paventato. Questi avrà nelle proprie mani tale diritto per tutto il tempo (né piú né meno) che conserverà il potere di fare ciò che vuole; altrimenti la sua autorità sarà precaria e nessuno che abbia piú forza di lui sarà tenuto, non volendolo, ad obbedirgli.
La società può costituirsi senza che si venga a creare conflitto con il diritto naturale, e ogni patto può essere rispettato con piena lealtà soddisfacendo dunque a questa condizione: che ciascuno alieni a favore della società tutta la potenza di cui dispone. La società verrà cosí investita del sovrano diritto di natura su ogni cosa, cioè essa sola tratterrà nelle proprie mani l’autorità suprema alla quale ciascuno si troverà nella condizione di dover ubbidire, sia di sua spontanea volontà, sia per timore della pena capitale. Un cosí inteso diritto esercitato dalla società intera è detto “democrazia”: regime politico definibile appunto come unione di tutti i cittadini, che possiede ed esercita collegialmente un diritto sovrano su tutto ciò che è in suo potere. Ne risulta che questa potestà non può essere condizionata da nessuna legge e che tutti le debbono sottostare in ogni campo; sottomissione del resto che, espressamente o tacitamente, dovette essere pattuita quando tutti trasferirono nella società l’intera potenza di cui disponevano per difendersi, e quindi ogni loro diritto.
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Re: SPIGOLANDO......

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La stretta de mano – La brillante poesia di Trilussa che già 100 anni fa anticipava, con tanta ironia, le preoccupazioni, i dubbi ed i timori che oggi il Coronavirus ha reso attuali…!

Stringere le mani? Oggi, con il coronavirus, pensiamo che sia meglio non farlo. Ma 100 anni fa Trilussa, pur senza rischio di contagio, aveva già capito tutto…

La stretta de mano


Quela de da’ la mano a chissesia
nun è certo un’usanza troppo bella:
te pô succede ch’hai da strigne quella
d’un ladro, d’un ruffiano o d’una spia.

Deppiù la mano, asciutta o sudarella,
quanno ha toccato quarche porcheria,
contiè er bacillo d’una malatia
che t’entra in bocca e va ne le budella.

Invece, a salutà romanamente,
ce se guadagna un tanto co’ l’iggene
eppoi nun c’è pericolo de gnente.

Perché la mossa te viè a di’ in sostanza:
Semo amiconi… se volemo bene…
ma restamo a una debbita distanza.

Trilussa (Carlo Alberto Salustri)

Nota: Trilussa era un antifascista più che convinto. La poesia pertanto non va assolutamente letta come un elogio al saluto romano, anzi in realta vuole rappresentare una parodia satirica del pensiero fascista.
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Re: SPIGOLANDO......

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l'angolino del sorriso

Due studenti in ingegneria passeggiano per l'università' quando uno dei due dice all'altro, ammirato
"Dove hai trovato quella bici ?" Il secondo gli risponde "In realtà, mentre passeggiavo, ieri, ed ero assorto nei miei pensieri, ho incontrato una bellissima ragazza in bici che si ferma davanti a me, posa la bici in terra, si spoglia completamente e mi dice Prendi quello che vuoi -" Il primo annuisce e gli dice : "Hai fatto bene, i vestiti sarebbero stati sicuramente troppo stretti."
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