SPIGOLANDO......

Tutto quello che non riguarda la politica.
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grazia
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Re: SPIGOLANDO......

Messaggio da leggere da grazia »

Mi hanno regalato un librone che peserà come minimo 4 chili se non di più, consta di 561
pagine,le prime pagine più importanti del corriere dal giorno della sua fondazione 5 marzo 1876
Ripercorrere le prime pagine del "Corriere" significa ripercorrere le più rilevanti vicende
dell'Italia unita. Ma ripercorrerle su un quotidiano, leggere la notizia nel contesto di un titolo,
di una fotografia, di una grafica, di altre notizie, di altri titoli magari di vicende minori
significa molto di più che la semplice storica evocazione. La storia e la sua cronaca

"Al pubblico”
l’editoriale di Eugenio Torelli Viollier, non firmato, sul primo numero del Corriere della Sera, 5-6 marzo 1876.




Pubblico, vogliamo parlarti chiaro. In diciassette anni di regime libero tu hai imparato di molte cose. Oramai non ti lasci gabbare dalle frasi. Sai leggere fra le righe e conosci il valore delle gonfie dichiarazioni e delle declamazioni solenni d’altri tempi. La tua educazione politica è matura. L’arguzia, l’esprit ti affascina ancora, ma l’enfasi ti lascia freddo e la violenza ti dà fastidio. Vuoi che si dica pane al pane e non si faccia un trave d’una festuca. Sai che un fatto è un fatto ed una parola non è che una parola, e sai che in politica, più che nelle altre cose di questo mondo, dalla parola al fatto, come dice il proverbio, v’ha un gran tratto. Noi dunque lasciamo da parte la rettorica, e veniamo a parlarti chiaro.

***
5 marzo 1876

Noi siamo conservatori. Un tempo non sarebbe stato politico, per un giornale, principiar così. Il Pungolo non osava confessarsi conservatore. Esprimeva il concetto chiuso in questa parola con una perifrasi. Ora dice apertamente: «Siamo moderati, siamo conservatori». Anche noi siamo conservatori e moderati. Conservatori prima, moderati poi. Vogliamo conservare la Dinastia e lo Statuto, perché hanno dato all’Italia l’indipendenza, l’unità, la libertà, l’ordine. In grazia loro si è veduto questo gran fatto: Roma emancipata da’ Papi che la tennero durante undici secoli. In grazia loro vediamo questi fatti singolari: un cardinale che paga la ricchezza mobile, una chiesa protestante presso San Giovanni Laterano, un re al Quirinale. In grazia loro si è udito Francesco Giuseppe d’Austria dire a Vittorio Emanuele: «Bevo alla prosperità dell’Italia», e Guglielmo di Prussia: «Bevo all’unione de’ nostri popoli». Noi dunque siamo conservatori.

***

Siamo moderati, apparteniamo cioè al partito ch’ebbe per suo organizzatore il conte di Cavour e che ha avuto finora le preferenze degli elettori, – e per conseguenza il potere. Questo partito cadrà un giorno, perché tutto cade, tutto passa a questo mondo, ma nella storia avrà una nota di gloria d’impareggiabile fulgore, perché ha condotto a termine due imprese di cui una sola sarebbe bastata ad illustrarlo. Dopo aver compiuto l’unificazione d’Italia, ha restaurato le finanze. Se domani dovesse abdicare, potrebbe, con orgoglio che dà l’adempimento d’un gran còmpito, esclamare: Nunc dimittis, domine. Da un disavanzo annuo spaventevole ci ha condotti al pareggio. Non ancora, dite? Ebbene, sia: mancano venti, mancano trenta milioni: che sono appetto ai 700 che mancavano dieci anni fa? Qualche cosa di peggio che le finanze turche. Allora si discuteva sul fallimento dello Stato e si cercava di agguerrircisi: oggi chi osa più pronunziare questa parola? Come il cavaliere templario della ballata di Schiller, il partito moderato mosse diritto al mostro del disavanzo, con un mastino al fianco. Questo mastino si chiamava l’Imposta – bestia ringhiosa, feroce, spietata; ma senz’essa era follia sperare di vincere. L’Italia unificata, il potere temporale de’ papi abbattuto, l’esercito riorganizzato, le finanze prossime al pareggio, – ecco l’opera del partito moderato.

***

Siamo moderati, il che non vuol dire che battiamo le mani a tutto ciò che fa il Governo. Signori radicali, venite fra noi, entrate ne’ nostri crocchi, ascoltate le nostre conversazioni. Che udite? Assai più censure che lodi. Lasciate stare i brontoloni del partito, gl’ipocondriaci, gli atrabiliari, che antepongono i moderati ai radicali unicamente come preferirebbero la febbre terzana al colèra; badate agli altri: nessuno è pienamente contento: si potrebbe dire che c’è più rassegnazione che vera e completa soddisfazione. Non c’è occhi più acuti degli occhi degli amici nostri nel discernere i difetti della nostra macchina politica ed amministrativa; non c’è lingue più aspre, quando ci si mettono, nel deplorarli. È stato già osservato che per udire sparlare, ma sul serio, de’ ministri, bisogna andare in una brigata di deputati di Destra. Ebbene, è vero. Gli è che partito e Ministero sono due cose distinte. Gli è che il partito moderato non è partito immobile, non è un partito di sazi e di dormenti. È un partito di movimento e di progresso. «Noi vogliamo, ha detto il conte di Cavour, la libertà economica, noi vogliamo la libertà amministrativa, noi vogliamo la piena ed assoluta libertà di coscienza, noi vogliamo tutte le libertà politiche compatibili col mantenimento dell’ordine pubblico». Tal è il credo del partito moderato. Senonché, tenendo l’occhio alla teoria, non vogliamo perdere di vista la pratica e non vogliamo pascerci di parole, e sdegniamo i pregiudizi liberaleschi. E però ci accade di non voler decretare l’istruzione obbligatoria quando mancano le scuole e i maestri; – di non voler proscrivere l’insegnamento religioso se tale abolizione deve spopolare le scuole governative; – di non voler il suffragio universale, se l’estensione del suffragio deve porci in balia delle plebi fanatiche delle campagne o delle plebi voltabili e nervose delle città.

***

Questo giornale, che è moderato, e vuol essere lo specchio fedele dei pensieri di chi scrive, e delle persone savie che vorranno aiutarci de’ loro consigli, – e li invochiamo, giacché, se siamo indipendenti, non vogliamo restare isolati, – non promette di essere di più facile contentatura dell’altra gente del suo partito; e però non si farà scrupolo di esprimere la sua opinione, quand’anche questa dovesse tornare sgradita a chi sta in alto o a chi sta in basso. – Certo è che se ci avverrà di censurare, ci studieremo di non essere avventati né iracondi, e ad ogni modo le nostre intenzioni saranno rette. Nulla ci ripugna più del tuono minatorio e degli atteggiamenti da gradasso con cui certi giornali di parte nostra credono opportuno, di tratto in tratto, d’affermare la loro indipendenza. La nostra indipendenza, ch’è reale, non avrà bisogno di queste frasche. Il pubblico non tarderà a conoscere in che acque naviga il Corriere della Sera. Errori se ne commisero, se ne commettono, se ne commetteranno. Il paese non fu sempre servito bene dagli uomini che adoperò. Qualcuno se lo ingraziò e salì al potere, avendo una cosa sulla bocca, un’altra nel cuore. Chi peccò per ignoranza, chi per inesperienza, chi per tristizia d’animo. Qualche volta non errarono gl’individui, errò l’intero partito. On tombe toujours du coté où l’on penche, ha detto il Guizot. Il partito moderato inclinò alla grettezza, alla timidità, al fiscalismo, alle idee aristocratiche: noi che vogliamo tenerlo in piedi, non avremo il diritto di gridare quando lo vedremo in pericolo di perdere l’equilibrio?


***

Sentiamo dire: – E la disciplina del partito? – State buoni, voi altri, con la disciplina del partito. Un articolo di giornale non è una palla nera o una palla bianca. Una palla nera può rovesciare un Ministero, cento articoli non lo scrollano. La disciplina di partito è indispensabile alla Camera: quante nobili coscienze ne ha allontanate questa dura legge! Il giornale non ne è esente del tutto, ma porta certamente un freno assai più largo. Guardate i giornali inglesi, i migliori d’Europa, come si muovono liberamente nell’ambiente del loro partito. Certo, se c’è cosa che abbiamo in odio, è il giornale a tesi, il giornale che guarda ogni materia dal lato dell’opposizione al Ministero o dell’appoggio da dare al Ministero; il giornale che gira ogni mattina nello stesso circolo d’idee, come il cavallo nella cavallerizza; il giornale organetto, che ha due sole suonate, una in maggiore per esaltare i meriti de’ suoi amici, una in minore per gemere su’ demeriti degli avversari. Ci piace essere obbiettivi; ci piace ricordarci che tu, pubblico, non t’interessi che mediocremente ai nostri odî ed ai nostri amori; che vuoi anzitutto essere informato con esattezza; ci piace serbare, di fronte a’ nostri amici migliori, la nostra libertà di giudizio, ed anche, se vuolsi, quel diritto di frondismo ch’è il sale del giornalismo.

***

Sentiamo dire ancora: Badate, voi dividete il partito. – Davvero? ma era forse diviso il partito quando esisteva a Milano un altro giornale della sera ad un soldo? Crediamo invece che non fu mai tanto forte quanto allora. È diviso il partito radicale perché ha due organi pomeridiani invece d’uno? Ci pare piuttosto che sia, o si creda, più vigoroso oggi che sei mesi fa. Noi non nasciamo per far guerra ai giornali del nostro stesso colore politico; non è ai loro lettori che diamo la caccia. È nel campo degli avversari comuni che confidiamo raggranellarli. E che! dovrebbe durare a Milano la voga di giornali che ogni giorno scoprono una nuova infamia del Governo, che riempiono le loro colonne con un interminabile enumerazione di delitti a carico di quanti primeggiano nella cosa pubblica, giornali che descrivono l’Italia come la preda d’un’oscena banda di malfattori? Dovrebbe il pubblico compiacersi a lungo di giornali che mostrano di tenere ogni persona investita d’una pubblica carica nel conto d’un gaglioffo della peggiore specie? Ma s’essi avessero ragione, se la classe dominante fosse davvero quella che dicono, l’Italia che la tollera sarebbe la più corrotta e la più vigliacca delle nazioni. No, no, la classica terra del buon senso, la patria di Parini e di Manzoni, non può compiacersi a lungo di tali esagerazioni e stravaganze. Sono i lettori di quelle corbellerie che noi vogliamo conquistare, contro di loro si debbono rivolgere le forze riunite del Corriere e de’ giornali che militano sotto le stesse bandiere. A’ giornali dello scandalo e della calunnia sostituiamo i giornali della discussione pacata ed arguta, della verità fedelmente esposta, degli studi geniali, delle grazie decenti, rialziamo i cuori e le menti, non ci accasciamo in un’inerte sonnolenza, manteniamoci svegli col pungolo dell’emulazione, e non ne dubitiamo, il Corriere della Sera potrà farsi posto senza che dalla sua nascita abbiano a dolersi altri che gli avversari comuni.
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"RIMPIANGO I GENITORI DI UNA VOLTA"

Rimpiango i genitori di una volta, quelli che un "sì" era un "sì" e un "no" era un "no", quelli che ti insegnavano che non si può avere tutto e si può stare bene lo stesso. Quelli che ti spiegavano che un signore si vede dal comportamento e non da ciò che possiede. Quelli che non davano ai figli ciò che volevano, ma solo ciò di cui avevano bisogno o ciò che sapevano meritarsi. Quelli che non li viziavano, ma li preparavano alla vita. Allora, da figlio, la chiamavo severità. Oggi so che era educazione.

Antonio Curnetta

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Parole sante!
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Re: SPIGOLANDO......

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UNA PROPOSTA PER LA RIFORMA DEL DIVORZIO ROVINA FAMIGLIE

Intervista di Luciano Garibaldi al Prof. Ubaldo Giuliani


l giurista e professore universitario Ubaldo Giuliani-Balestrino, ordinario di Diritto penale nell’Università di Torino, lancia, con questa intervista a «Riscossa Cristiana», un’idea al mondo politico: varare una legge che consenta ai coniugi, all’atto del matrimonio, e in sede civile, di impegnarsi a non ricorrere mai né alla separazione né al divorzio.

.

A quattro giorni di distanza dall’inizio del Sinodo dei Vescovi sulla famiglia, esce oggi, primo ottobre, nelle librerie il lavoro di cinque Cardinali contro ogni apertura ai divorziati. Il libro, che ha per titolo «Nella verità di Cristo. Matrimonio e Comunione nella Chiesa cattolica», vede in primo piano la firma del Cardinale Gerhard Ludwig Müller, prefetto della Congregazione per la dottrina delle fede, nominato da Papa Benedetto XVI e fatto Cardinale nel Concistoro di febbraio. Al suo seguito, prendono netta ed inequivocabile posizione i Cardinali Raymond Burke, Carlo Caffarra, Velasio De Paolis e Walter Brandmüller. In previsione dell’ampia discussione che di sicuro si aprirà in seno al Sinodo dei Vescovi, è di sicuro interesse, prima ancora che religioso, giuridico e legale, la proposta avanzata da un illustre giurista, che potrebbe porre fine alle diatribe e agli scontri ideologici anche ai vertici ecclesiastici, lasciando ogni responsabilità alla scelta degli autori del patto matrimoniale. Lo abbiamo intervistato.



– Professor Giuliani-Balestrino, in un recente scritto, Lei ha ipotizzato la possibilità di rinunciare alla facoltà di divorziare, oggi consentita dalla legislazione in atto. Vuole spiegarci come si potrebbe realizzare questo progetto?

Come ben sappiamo, la possibile scelta di escludere la prospettiva del divorzio è negata, dalle leggi vigenti, a chi vuole contrarre il vincolo matrimoniale. Oggi, chi si sposa sa che il divorzio è ammesso dal nostro ordinamento. E tra i danni cha arreca il divorzio, il più invisibile – ma uno tra i più gravi – è il pensiero, è la prospettiva del divorzio. I coniugi italiani sanno che alla prima crisi del loro rapporto l’altro coniuge potrà divorziare; che si vive insieme, ma con l’idea che la via della rottura è aperta.

– E’ giusto che la facoltà, il diritto di divorziare, non sia rinunziabile?

A mio convincimento, no. Ciò tanto più che molti Stati nord americani ammettono da tempo il covenant marriage, ossia la facoltà degli sposi di ridurre, tanto al momento del matrimonio quanto dopo, i casi di divorzio. So bene che, contro questa mia opinione, si possono addurre vari argomenti.

– Quali?

Una prima obiezione potrebbe essere questa: la facoltà di chiedere il divorzio non è mai stata ritenuta rinunziabile da alcuno, nel quarantennio abbondante succeduto alla legge che ha introdotto il divorzio in Italia. Il fatto è vero. E si può sostenere che una prassi così consolidata e unanime ha il valore di una legge.

– Come ovviare a una tale prevedibile osservazione?

Non c’è che una strada: ovvero, che la facoltà di rinunziare al diritto di chiedere il divorzio venga istituita da una nuova legge. Il legislatore italiano ha stabilito che il matrimonio è un contratto che ognuna delle due parti contraenti può porre nel nulla ricorrendo al divorzio. Con ciò, il matrimonio è divenuto un rapporto “disponibile”.

– Se la sua proposta venisse accolta dal Parlamento e diventasse legge, verrebbe a crearsi una contrapposizione tra coniugi religiosi (tenuti dalla Chiesa a rinunziare alla facoltà di divorziare) e coniugi agnostici.

La risposta a detta obiezione è semplice. Alla convenzione prematrimoniale di rinunzia alla facoltà di divorziare potrebbero ricorrere anche laici, atei, non cattolici, islamici e via dicendo. Non vi sarebbe nessuna violazione del principio di uguaglianza.

– Un’ altra obiezione alla sua proposta potrebbe essere quella che – oggi – l’opinione pubblica è favorevole al divorzio.

Da un lato, l’opinione pubblica è favorevole a che nel nostro ordinamento esista il divorzio: tuttavia non è mai stata – almeno fino ad oggi – posta di fronte alla proposta della rinunziabilità (libera e spontanea) alla facoltà di divorziare. Un conto è voler proibire il divorzio, un conto è dire: “Chi preferisce, può liberamente rinunziare alla facoltà di richiedere il divorzio”. Peraltro dobbiamo tener presente che i frutti avvelenati del divorzio (costi economici, delitti, padri che non riescono più a vedere figli, divorziati che sono obbligati a coabitare perché non possono sostenere il peso economico di due case, difficoltà nell’educare i figli, aumento vertiginoso delle separazioni coniugali e via dicendo) hanno fatto molto diminuire gli entusiasmi iniziali a favore del divorzio stesso.

– Effettivamente si riflette poco su questa serie di mali causati dalla legge sul divorzio.

Ma c’è di peggio. Il divorzio è tra i coefficienti di alcuni tra i massimi mali della società contemporanea: in particolare, della decisione di non avere figli, della solitudine, della depressione. L’idea che il matrimonio può – in ogni momento – sfasciarsi, induce a non caricarsi del peso dei figli e della loro educazione: peso che dura – di regola – per vari anni e , talvolta, per moltissimi anni. E ciò porta a quel “suicidio demografico” dell’Europa, denunziato tanto da Papa Benedetto XVI quanto dai demografi: tra breve l’Europa potrebbe divenire islamica per mancanza di nascite nelle famiglie non musulmane. Inoltre, è in crescita il numero delle persone sole che proprio perciò rischiano di non curarsi o di non curarsi abbastanza e che muoiono senza essere assistite da alcuno. Infine, oggi le torme dei depressi sono infinite. Tra le schiere dei depressi (si dice pure “stressati”) molti sono i divorziati. E la depressione favorisce il suicidio, la pazzia, la delinquenza.

– Contro la proposta da lei formulata, professore, si potrebbe avanzare un’ulteriore obiezione, particolarmente insidiosa. Si potrebbe sostenere che la distinzione tra coloro che scegliessero il matrimonio dissolubile e coloro che scegliessero il matrimonio “rafforzato” finirebbe per separare i cattolici praticanti dal resto della società.

Sì, ma, a mio giudizio, non si tratterebbe di un male. Anzitutto, va ricordato che – tra i pensatori ebraici – non tutti deplorano il ghetto. La separazione dalla maggioranza della società ha, storicamente, consolidato le comunità israelitiche. Molti ebrei, pur ammettendo che l’origine del ghetto fu la persecuzione, ritengono positive le conseguenze del ghetto. Nulla impedisce che a detta convinzione s’ispirino pure i cattolici. Ma – ciò che conta di più – va ricordato come il Cristianesimo abbia permeato prima la società e molto dopo lo Stato. A poco a poco, i pagani si convertirono: ma soltanto alla fine del IV secolo l’imperatore Teodosio proclamò il Cristianesimo religione dell’Impero. Oggi che il Cristianesimo è (o sembra) in minoranza, occorre riprendere la battaglia iniziando dalla riconquista della società.

– Che cosa intende per “riconquista della società”?

Bisogna dimostrare che i cattolici sono meno depressi e più felici dei neo-pagani: hanno più figli, matrimoni più stabili, meno suicidi, meno casi di pazzia e di delinquenza, si ammalano meno di Aids. Se s’introdurrà il matrimonio “rafforzato” – contrapposto al matrimonio “dissolubile” – a sostegno della Chiesa potrà giungere la statistica. La statistica potrà infatti dimostrare che i cattolici intransigenti, i quali rinunziano al diritto al divorzio, sono più felici e più sani delle altre coppie.
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Re: SPIGOLANDO......

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Arriva un tempo che la FELICITA' non è uscire con gli amici,
fare tardi di sera o andare a ballare....
La FELICITA' è quando chiudi la porta di casa e tutto quello
che vuoi e che ti serve lo trovi vicino a te: LA TUA FAMIGLIA

Pablo Neruda
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Re: SPIGOLANDO......

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Breviario di cinismo ben temperato
Pier Luigi Celli

Come passare un tempo che non si ama



Supponiamo che vi troviate in una di quelle condizioni disagevoli che prevedono molto tempo "vuoto" davanti, nessuna speranza di cambiare - a breve - un destino già segnato, molti eventi che non sopporterete e tanta gente che non avreste mai previsto di dover frequentare.
Cosa vi resta da fare?

Cerchiamo di capire un po' meglio.

Dunque, voi siete affranti: non immaginavate, infatti, di dover buttare qualche anno della vostra vita a causa di contingenze esterne che vi rendono insopportabile il clima che si è venuto creando nel paese.

Avete inoltre il sospetto (fondato) di dover modificare le vostre abitudini, rivedere la vostra rete di rapporti e - Dio non voglia - la stessa libertà di espressione che vi è tanto cara.

In una parola, il mondo intorno a voi è diventato improvvisamente estraneo e l'orizzonte buio. E per di più, non avendo esperienze precedenti, non sapere proprio come comportarvi.

Che fare?

Be', ad essere sinceri, non si può dire che vi restino molte chance.

Escludendo il suicidio, l'emigrazione (che pure vi tenterà) o la prospettiva di un ritiro in convento, le alternative praticabili si riducono drasticamente.

Eppure, non disperate.

Provate a seguire alcuni suggerimenti in grado di alleviarvi le pene.

Tra le cose da fare il sesso occuperà una posizione di rilievo.

[...]

Ma la vera ancora di salvataggio per i tempi grami che vi aspettano è fornita soprattutto dalla lettura.

È qui che potrete disporre delle cose a vostro piacimento col gusto sottile di sottrarre le scelte alle mode emergenti, come pure ai dettami e alle agende delle nuove forze di occupazione.

Per sentirvi al sicuro, non sbagliate gli inizi: niente più quotidiani né settimanali, al massimo quelli sportivi e le riviste di moda e di viaggio. In un primo tempo vi mancherà l'aria, come ai fumatori incalliti. Ma ben presto non ne sentirete più alcun bisogno: leggeri come il vento. E disintossicati.

Quanto ai libri poi, la scelta è talmente vasta che potrete spaziare a piacimento.

Se ci permettiamo qualche titolo è solo per indicare alcuni filoni simbolici: senza pretese, badate bene.

Noi cominceremmo con Chandler. Il grande sonno e Il lungo addio sono un buon viatico per intraprendere il viaggio iniziatico in questo nuovo deserto dello spirito. La loro assimilazione vi suggerirà poi su quali filoni incamminarvi e, soprattutto, servirà di allenamento per compiti di lettura più impegnativi.

Ad esempio potrete tentare un assaggio di classici ricorrendo alle Anime morte di Gogol' e, per Dostoevskij, alle Memorie del sottosuolo. Se reggerete l'urto potrete continuare sul genere e magari affrontare Dickens, iniziando da Tempi difficili, e poi concedervi quella deliziosa metafora di Francis de Quevedo che risponde al titolo de Il trafficone.

A questo punto avrete bisogno di disintossicarvi con qualcosa di più leggero e Soriano (Osvaldo) farà al caso vostro, proponendovi Triste solitario y final e poi Mai più pene né oblio, La resa del leone e il vagamente allusivo Un'ombra ben presto sarai.

Con qualche punta di rimorso per questa vaga aura di disimpegno vi porrete ora il problema di un recupero, almeno parziale, delle ragioni ideologiche della vostra solitudine, alle quali bisognerà pure dare una risposta.

Vorremmo dunque proporvi qualcosa di quasi classico, così, come spunto. La vostra intraprendenza farà il resto.

E per cominciare La peste di Camus va sempre bene, non sarà una novità, ma aiuta a inquadrare la situazione.

I sudamericani vanno bene tutti, se non altro per l'aria di sconfitta che li permea quasi integralmente; se forniamo un titolo di Marquez (L'amore al tempo del colera) è solo perché, non essendo il suo capolavoro, e trattando di amori tardivi, vi metterà nella giusta disposizione d'animo per cambiare genere.

Non prima di essere passati per un classico dell'impegno quale quello rappresentato da Opinioni di un clown di Heinrich Bóll. La lista potrebbe qui allungarsi all'infinito e a questo provvederete direttamente.

Noi vorremmo congedarci dal filone "lettura" con tre suggestioni finali che ci riscattino dal nostro provincialismo; e allora via con le Memorie di Adriano della Yourcenar, con Cuore di tenebra di Conrad e con quel prodigioso romanzo di Saramago, Memoriale del convento.
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Re: SPIGOLANDO......

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A chi tanto e a chi gnente

di Trilussa

Da quanno che dà segni de pazzia,
povero Meo! fa pena! È diventato
pallido, secco secco, allampanato,
robba che se lo vedi scappi via!
er dottore m'ha detto: - È 'na mania
che nun se pò guarì: lui s'è affissato
d'esse un poeta, d'esse un letterato,
ch'è la cosa più peggio che ce sia! -
Dice ch'er gran talento è stato quello
che j'ha scombussolato un po' la mente
pe' via de lo sviluppo der cervello...
Povero Meo! Se invece d'esse matto
fosse rimasto scemo solamente,
chi sa che nome se sarebbe fatto!
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Re: SPIGOLANDO......

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L'angolino del sorriso.....

Ingegneri in treno

I più acclamati ingegneri e matematici di Pisa vengono invitati ad un convegno a Bologna. Arrivati alla stazione, i matematici, tutti precisini, comprano un biglietto a testa. Gli ingegneri invece fanno colletta e ne comprano uno solo. I matematici commentano: "Chissà che intenzioni hanno!?!"
Quando sul treno arriva il controllore gli ingegneri corrono a chiudersi tutti assieme in bagno. Il controllore, esaminati i biglietti dei matematici, bussa alla porta del bagno. Dall'interno un ingegnere risponde:"Occupato." E il controllore: "Biglietto, prego." Da sotto la porta, gli ingegneri mostrano il loro unico biglietto, il controllore lo esamina e glielo restituisce.
Al ritorno, alla stazione di Pisa, i matematici, vista la furbata degli ingegneri all'andata, comprano un solo biglietto per tutti. Gli ingegneri, invece.. nessuno! I matematici si interrogano a vicenda ma, non trovando una risposta valida e confortati dall'idea di pagare solo un biglietto in tanti, alzano le spalle e non ci danno peso. Sul treno, all'arrivo del controllore, i matematici corrono nel bagno e aspettano. Gli ingegneri (tutti tranne uno) in un altro bagno. A quel punto l'ingegnere rimasto fuori bussa alla porta del bagno dei matematici. Uno dei matematici risponde: "Occupato". E l'ingegnere: "Biglietto, prego!"
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Re: SPIGOLANDO......

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DIDITÌ, O IL DROGATO DA TELEFONINO

(Stefano Benni)



Creatura recentemente apparsa ma ormai tristemente nota. Il suo dramma
non è il cellulare, ma la dipendenza, cioè il non saper rinunciare al telefonino
nei luoghi più improbabili e nelle situazioni più scomode. Per questa ragione è
detto DDT, ovvero Drogato Da Telefonino.
Ad esempio, il DDT è appena entrato nel bar e il cellulare trilla mentre sta
bevendo un cappuccino. Il DDT continua a bere con la destra e risponde con la
sinistra, oppure intinge il cellulare nella tazza e si attacca una brioche
all'orecchio.
Va alla toilette telefonando, e dentro si odono rumori molesti, sciabordio, e
schianti dovuti alla difficoltà di compiere certe operazioni con una mano sola.
Spesso quando esce ha il cellulare grondante e strane macchie sui pantaloni.
Inoltre ogni anno circa duemila telefonini spariscono in turche o gorghi
porcellanati. Una leggenda metropolitana li vuole clonati e usati dai ratti di
fogna al posto della comunicazione ultrasonica.
Il DDT risponde in qualsiasi situazione, posizione, e occasione. La sua
prerogativa è infatti "l'effetto Colt": non può sentire un trillo senza estrarre di
tasca l'arma, vive sempre all'erta come un pistolero, risponde velocissimo non
solo al trillo del suo cellulare, ma anche a quello del vicino, al trillo della cassa,
ai trilli dei telefoni in televisione e, in campagna, anche al canto dei grilli.
Ma soprattutto due sono le situazioni in cui la nevrosi del DDT esplode in tutta
la sua violenza.
La prima è quando è a una tavolata di ristorante e ha lasciato il cellulare nel
cappotto. Udendo il trillo fatidico, che riconosce tra gli altri come il vagito del
primogenito, balza sul tavolo, calpesta antipasti, rovescia sedie, ribalta tavoli e
parte come una belva verso l'attaccapanni. Qua butta in aria pellicce e cappotti
altrui, a volte per far prima li squarcia con un coltello, infila la mano nella
fodera, sbaglia tasca, bestemmia e raggiunge il cellulare non appena questo ha
smesso di trillare. A questo punto lo porta con sè sul tavolo, parcheggiandolo
vicino al piatto. Dopodichè lo osserverà con odio tutta la sera, perché il
cellulare resterà silenzioso, e suonerà solo una volta rimesso nel cappotto.
Un altro evento che mette in crisi il cellularista DDT è quando si accorge che
nel locale il telefonino non riceve il segnale. Questo lo atterrisce come se gli si
fermasse lo stimolatore cardiaco. Il DDT inizia a percorrere in lungo e in largo
la stanza, striscia contro i muri, sale sui tavoli, salta come un canguro alla
disperata ricerca di un segno di vita della sua creatura. Spesso si può vedere il
DDT in una delle seguenti posizioni:

a. modello "Statua della libertà", in piedi sul tavolo col telefonino innalzato
verso il soffitto;
b. modello "Gogna", con mezzo busto fuori della finestra, braccio proteso e
mezzo congelato;
c. modello "Frontiera", deambulante avanti e indietro attraverso la porta, in un
vortice di spifferi e proteste;
d. modello "Fisherman", col cellulare legato a una canna da pesca infilata nello
spioncino dell'aerazione in alto a destra;
e. modello "Delega", nervosissimo dopo aver pagato un ragazzino perché gli
tenga il cellulare fuori del locale. La percentuale di restituzione è del cinquanta
per cento, ma pur di avere il telefonino in funzione, il DDT corre questo rischio;
f. modello "Eremita", seduto sul cesso tutta la sera perché lì è l'unico punto
dove riceve.

Che tipo di importante conversazione impegna il cellularista DDT? Quasi
sempre è difficile stabilirne la logica e soprattutto la necessità.
Ne facciamo qui alcuni esempi, riportando solo le frasi del cellularista, e
lasciando alla vostra fantasia la parte dell'interlocutore.

Telefonata progettuale

Sì io sto qui, tu dove sei?
Ah, e dopo dove vai?
Ho capito, allora ci sentiamo stasera?
No stasera non lo so, perché tu dove vai?
Sì forse vengo anch'io, ma tu ci sei?
Allora stasera ti chiamo per sentire se ci sei, se no mi dici dove sei, se no dove
sei domani.
Sì, domani io sto qua, tu vai via o stai qua?
Se vado via chiama che ti raggiungo. Se no ti chiamo io per dirti che non vengo
e che è inutile che chiami.
Senti e per le vacanze dove vai?
No io non torno là, tu ci torni?
Beh magari ti telefono se decido che torno, se no se decidi che torni mi chiami
tu.
Va bene, sì ciao, ciao.
Senti, e a capodanno cosa fai?
Ad libitum.

Conversazione irosa

Che c...o vuoi?
Dove c...o eri ieri sera?
E io che c...o ci posso fare?
Di’ che vada a fare in c..o lui e tutta la sua baracca.
Non ci penso nemmeno, c...i tuoi.
Certo, ciao amore, a stasera, amore (bacetto)

Conversazione urgente di lavoro

Sono Borghi, c'è il dottor Lamanna?
Lamanna? No, sono Borghi, vorrei il dottor Lamanna.
Dottor Lamanna, sono Borghi... Ah non è lei, me lo può passare da lì?
Sono sempre Borghi, santodio mi può passare Lamanna?
Scusi ma è un'ora che dite che mi passate Lamanna, me lo passate o no?
Borghi, sono Borghi, perdio!
Come "cosa voglio?". Voglio il dottor Lamanna!
Lamanna? Ah ciao, sono Borghi, scusa ti posso richiamare tra un'oretta che
adesso ho da fare?

Conversazione strategica

Nerio, sono Augusto, se senti questo messaggio nella segreteria del cellulare
lascia un messaggio nella segreteria di casa mia perché adesso vado a fare la
sauna e lì il cellulare non funziona però quando esco ti chiamo e se trovo il tuo
cellulare spento ti lascio un messaggio a casa per dirti se prendo il treno dove
mi puoi chiamare dalle otto e trenta alle nove perché dopo cominciano le
gallerie, ma posso anche chiamare io la tua segreteria telefonica dicendoti
dove sarò in albergo oppure se mi si scarica il cellulare chiamami tu in
segreteria a casa che cerco di fare un trasferimento di chiamata, e se non ci
riesco ti lascio in segreteria un numero dove puoi lasciarmi un messaggio dove
dici a che ora hai il cellulare acceso così ti chiamo.

Conversazione di mercato

Nico sono qua al negozio ma la camicia verde a righe grandi non ce l'hanno.
Ce l'hanno a righine verdi piccole, chiare...
Piccole quanto non saprei, diciamo come un capello.
Che ne so se è un capello mio o un capello tuo, comunque non hanno la taglia
cinquantaquattro.
Non so se va bene il cinquantadue, senti non hai un metro per misurarti il
collo, misuratelo e poi richiama e mi devi anche aiutare a comprare i formaggi.

Conversazione - truffa

(fatta da un uomo con una bionda vistosissima al fianco)
Gina sei tu?
Ciao cara, senti non rientro stasera, sono ancora a Milano, la riunione è stata
più lunga del previsto.
Che tempo fa a Milano? (imbarazzo) beh, che tempo vuoi che faccia a Milano...
I rumori? Ah sì, sono nello studio dell'avvocato Gambetta, siamo in una pausa.
Te lo saluto sì. Avvocato (rivolto al barista stupito) mia moglie la saluta.
Va bene amore, ci vediamo domattina, ma tu dove sei, in casa?
Certo amore che sono a Milano ma insomma ti fidi o no?
Un bacio cara, scusa cos'è questa musica di sottofondo?
Lo stereo della camera da letto?
Scusa cara ma noi non abbiamo lo stereo nella camera da letto.
Come l'hai comprato stamattina? Guarda cara non fare la furba che in dieci
minuti... in un'ora d'aereo piombo lì e sono c...i eh! Va bene, va bene, mi fido,
se non ci si fida allora è inutile.
Certo che sono a Milano, fidati.
Scusa, che marca è lo stereo che avresti comprato?

Conversazione affrettata

Scusa Nino ma mi si sta scaricando la batteria devo dirtelo in fretta mi ha
telefonato il portinaio che la nonna è morta dovresti andare su da lei al terzo
piano e sfondare la porta ma sta’ attento che c'è una gran puzza di gas e già
che ci sei guarda nel garage se c'è l'auto perché il portinaio m'ha detto anche
che stanotte li hanno forzati tutti, com'è andata la chemioterapia stamattina, e
scusa un'ultima cosa, cosa sta facendo l'Inter?

(da Bar Sport duemila, Feltrinelli editore)
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grazia
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Re: SPIGOLANDO......

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AUTUNNO

Iniziano a cadere le foglie
stanche di ciondolare dai rami,
sazie di sole e di pioggia,
percosse e violentate
dal vento prepotente
che ora le induce
a posarsi, librandosi qua e la
come farfalle impazzite.....

Grazia
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grazia
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Re: SPIGOLANDO......

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Lealtà Civile


Su lottiam l’ideale nostro alfin sarà:così si cantava
per le strade fino a non meno di trent'anni fa.
Di quest’inno oggi pochi ne capiscono i versi, pochi ne
ricordano la musica. Si dice che la Società si è secolarizzata:
è accaduto anche nella politica succedanea alla religione e
per molti versi suo surrogato. Tra Ottocento E Novecento
la politica è stata per le masse passione, fede. “Nazione”,
“classe”, “razza” erano più che idee: erano credenze non
lontane da quei “fantasmi di sembianze eccellentissime e
sopraumane” di cui parla Leopardi nelle Operette morali.
Tali fantasmi –dice il poeta-ebbero Il “governo e la potestà”
delle genti e “furono chiamati Giustizia, Virtù, Gloria, Amor
patrio e con altri siffatti nomi. Non voglio qui discutere quanto
gli ideali siano ingannevoli o quanto invece abbiano incentivato
il progresso dell’umanità: voglio solo sottolineare come il
Novecento, specie nella sua prima parte si sia nutrito di fedi
politiche tra loro in irriducibile contrasto-e proprio per questo
in guerra-ma in ogni caso fedi collettive, ideali.
Ho evocato questo scenario non tanto per confrontarmi con
esso o per giudicarlo, ma per rendere evidente, per contrasto,
come è cambiato il mondo e in esso il senso della politica.
Oggi la lotta politica –perché pur sempre di lotta si tratta- non
è più tra schieramenti ideali, tra valori per cui spendersi e
perfino morire ma risolve in una continua opera di mediazione
e di ricuciture tra interessi in contrasto. Tra l’altro nella
politica contemporanea lo scontro tra gli interessi particolari,
non più velato dalle ideologie, emerge con una maggiore visibilità.
L’inclusione sociale, avvenuta negli anni trascorsi, ha generato
nuovi soggetti, ha liberato le individualità e con esse le pretese
dei singoli. L’affollarsi di queste soggettività eterogenee ha
trasformato il conflitto politico in una battaglia per i diritti che
non coincide affatto con la tutela di quelli acquisiti, ma con la
lotta per l’acquisizione di nuovi. D individui che combattano
insiemme per un’idea ve ne sono sempre meno; molti di più
invece sono quelli che simpatizzano per forze politiche e
programmi che vengano incontro alle loro esigenze immediate,
di tutela se di tutela e di espansione se di espansione. Una
società modellata sui consumi – bassi, medi, alti poco importa,
è una questione di mentalità – tende a coincidere sempre di più
con l’immediatezza dei suoi bisogni che con ideali di umanità,
meno che mai della futura umanità.[..]
[..]Per questo la politica si viene risolvendo sempre di più
in amministrazione e dal momento che è diventata tale i cittadini
la giudicano in base ai servizi che eroga e all’efficienza degli stessi.
La parola d’ordine della politica è “efficienza” e i temi stessi della
giustizia vengono sviluppati in termini di efficienza. E per essere
efficienti bisogna essere competenti. Di qui un doppio movimento:
una cessione di potere della politica ai competenti, insieme ad
una rivendicazione di competenza da parte della società civile,
che ritiene la politica sempre meno idonea a risolvere i suoi
problemi.[..]

Brano tratto da “Stare al Mondo” di Salvatore Natoli
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grazia
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Re: SPIGOLANDO......

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Il “corona virus”.
Natura madre o matrigna?



Leopardi, lo avrebbe certamente visto come una delle prove per sostenere il suo “pessimismo cosmico”.
Sergio Ferro
ni

E' l'arrivo del “corona virus”! Ne parliamo con Bruno Scapini già Ambasciatore d'Italia, Presidente Onorario e Consulente Generale dell' Ass.ne Italo-armena per il Commercio e l'Industria e autore del libro “ARKTIKOS. La scacchiera di ghiaccio”.

Un evento che ci sta in questi giorni coinvolgendo completamente portando morte e desolazione in tutto il mondo. Si tratta di un organismo infinitesimamente piccolo, quasi insospettabile, percepibile unicamente su scale microscopiche, eppure negli effetti ci appare tanto potente da far tremare uomini e Governi. Potenzialmente immortale, la strana creatura a forma di “corona” ha d'un tratto colonizzato il Pianeta distribuendo ovunque paura, panico, ansie e apprensioni per un destino individuale e collettivo che purtroppo financo i più avanzati comitati scientifici non sanno ancora con certezza prevedere. Di fronte alla irrefutabile verità dei dati, indice di contagio, numeri di guariti e di decessi, la reazione degli uomini si frastaglia in un prospettivismo di idee e di condotte parcellizzato e diffuso. C'è chi propende per misure draconiane per il contenimento di quella che ormai è stata dichiarata dall'OMS pandemia globale, ma ci sono anche coloro che si oppongono a questa visione riduzionistica del fenomeno per vedervi i segni prodromici di un qualche cambiamento epocale e a livello planetario. I millenaristi potranno perfino preconizzare la fine del mondo, dell'Umanità, ma più realisticamente più di qualcuno riconoscerebbe nella malattia il segno del raggiungimento dei limiti al nostro sviluppo. In una situazione, infatti, in cui, per riconoscere e mantenere a tutta la popolazione mondiale il livello di vita attualmente raggiunto dai Paesi occidentali, occorrerebbero ben 7 pianeti dalle dimensioni della Terra, è intuibile come l'ambita speranza di garantire parità e eguaglianza a tutti sia diventato un obiettico fallace, un'utopica illusione.

Ma l'uomo non si arrende. A fronte di questa inarrestabile marcia del virus che, incurante della sua felicità o infelicità, mostra una sprezzante indifferenza per la specie umana, reagiamo oggi attraverso appelli interminabili e martellanti sull'osservanza delle regole. Si stanziano risorse finanziare di entità prima solo impensabili, per salvare lavoro e capitali. E' bastato il subdolo sospetto di una morte che, impalpabile, potrebbe raggiungerci ovunque, al mercato come nei parchi, per sollecitare comportamenti solo pochi giorni prima ritenuti deprecabili perché politicamente scorretti o economicamente non ortodossi. Il cambiamento è così facile, dunque? Viene spontaneo domandarci. Ma allora, perchè non pensare a cambiare qualcosa nel nostro modo di vedere il mondo in tempi in cui i problemi del Pianeta e delle nostre società possono essere affrontati più serenamente e non sotto il pungolo della falce che l'immagine della morte ineludibilmente porta con sé? E' sconcertante in questo contesto l'esempio offerto dall'Unione Europea. Regole prima ritenute inflessibili, rigide, irrefutabili nella loro osservanza, sembrano divenute improvvisamente superabili, scavalcabili. La BCE d'un tratto cambia opinione e opta per la salvezza degli Stati! Perché soltanto ora riusciamo a fare quello che prima lo si sperava invano? Perché subire oggi l'umiliazione di dover riconoscere quanto certe prese di posizione, certe teorie economiche e certi discutibili progressi di una sfrenata modernità siano invece fallaci, ingannevoli e falsi?

Nella profonda inquietudine che ci assale in questi tristi frangenti, c'è poi anche chi si ostina, in disprezzo di ogni senso di responsabilità, a credere e a far credere che l'epidemia da “corona virus” sia in fondo un fatto di ordinaria quotidianità. Lo si banalizza. E si sfidano così persino le norme che ci impongono comportamenti prudenziali. Ci si accusa reciprocamente, e né la grande rappresentazione scenica della politica in questo ci risparmia esternazioni contrastanti. Ad opporsi al pericoloso negazionismo, c'è poi addirittura chi spericolatamente idolatra il “virus” fino ad elevarlo a giudice supremo dei misfatti umani, inducendoci a vedere nella sua apparizione la grande occasione per arginare il processo di costante distruzione del nostro eco-sistema planetario.

In questa congerie di idee e di opinioni, verrebbe quindi da chiedersi, nello sforzo di ricapitolare le ragioni del dramma che stiamo vivendo, se la natura sia in fondo madre o matrigna per questo nostro mondo. Leopardi non avrebbe di certo esitazioni: decisamente “matrigna”. Ma la sua, evidentemente, era una percezione che nella profonda ed unica sensibilità del poeta si giustificava con una interpretazione pessimistica della vita dettata da una condizione personale di indubbio svantaggio. Più credibile per contro, alla luce di un ragionevole approccio alla realtà, crediamo la tesi che in fondo la natura sia come è e come deve essere.

Cioè indifferente agli avvenimenti umani, impassibile di fronte ai dolori e alle gioie. La natura ha un suo proprio disegno, un disegno immanente alla sua stessa evoluzione. Non c'è apologetica che la possa spiegare. Né giudizio che la possa esaltare o condannare. Ma l'uomo sì. L'uomo si può giudicare, apprezzare o condannare. Basta un atto di umile riflessione. E colpisce in questo drammatico momento la supina rassegnazione con cui tanti leader politici e opinionisti, pur riconoscendo il sacrificio di quanti medici e infermieri si prodigano nel trovare rimedi alla malattia, si rifiutino di chiedersi da cosa effettivamente l'inarrestabile infezione abbia avuto origine o quale ne sia la vera causa. Una iattura? Una maledizione caduta dal cielo per caso? Nulla in natura accade per caso. E mai come adesso potremmo ritenere più che valido l'antico brocardo dei nostri avi “natura non facit saltus”.

Non crediamo, dunque, alla spontanea insorgenza dell'infezione. Non è colpa né dei “mangia topi”, né di strane e bizzarre mutazioni genetiche che, se pur vere in molti casi, stentano, considerate le sue peculiarità genetiche, ad accreditarsi nel caso specifico del “corona virus”. Considerazioni obiettive, su fatti ed eventi avvenuti nel mondo nel corso degli ultimi anni, dovrebbero del resto farci riflettere. La prima? Ben sappiamo come gli Stati impegnati nella corsa al dominio sul mondo si affannino a costruirsi arsenali di armi sempre più sofisticate e costose. Tra queste spiccano le armi biologiche. Ma il pentimento per una cattiva coscienza indurrebbero poi quegli stessi Stati a prevedere misure per scongiurarne la produzione e la proliferazione. Un esempio? Il Trattato BWC, la Convenzione multilaterale per la messa al bando delle armi biologiche entrata in vigore già dal 1975. Non è questa forse la prova della reale possibilità che si coltivino organismi virali o microbici a scopi strategici? Che bisogno ci sarebbe stato in un mondo di ragionevoli umani a prevenire simili deprecabili sviluppi se non fossero stati possibili? E quanto ciò possa essere vero lo dimostrerebbe lo stesso Trattato allorché rivela tutta la sua debolezza nell'assenza di un qualsiasi sistema efficace di verifica e di monitoraggio. Plausibile immaginazione o possibile realtà? Se poi si considera l'azione di dubbia etica che, ben mascherandosi sotto le vesti di un ostentato filantropismo, taluni gruppi elitari della finanza internazionale conducono nel denunciare i limiti allo sviluppo raggiunti per via dell'inarrestabile esplosione demografica, il ragionamento deduttivo dovrebbe portarci a configurare ipotesi sull'origine del virus tanto sconcertanti, quanto terrificanti.

Per noi umani di buona e sana costumanza, il “corona virus” è, dunque, un male. E non potrebbe essere altrimenti. Ma forse anche questo impercettibile personaggio del mondo microscopico sta, nel suo piccolo, insegnando qualcosa: ci sta dimostrando nei suoi effetti letali quanto fragili possano essere in fondo le nostre conclamate libertà.



Bruno Scapini già Ambasciatore d'Italia
Presidente Onorario e Consulente Generale
Ass.ne Italo-armena per il Commercio e l'Industria



SERGIO FERRONI
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Re: SPIGOLANDO......

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Re Leone previdente

Trilussa

Er vecchio Scimpanzè de la foresta,
pe’ mette a posto li nemmichi sui,
se fece dittatore da per lui
e se n’uscì con un pennacchio in testa.

Chiamò le bestie e disse: D’ora in poi
la penserete sempre a modo mio:
quello che vojo nu’ lo so che io
e nun è er caso che lo dica a voi…

Ma er Re Leone, pratico der gioco,
chiamò d’urgenza er Cane polizzotto.
Che succede? je disse, Sto’ Scimmiotto
é un dittatore che me piace poco…

Nun nego che sia furbo e che nun ciabbia
le bone qualità come animale,
però somija all’Omo a un punto tale
ch’è più prudente de schiaffallo in gabbia.
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Re: SPIGOLANDO......

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Non ci sono più le stagioni di una volta
...e non è soltanto un luogo comune di Duilio Curradi



Nelle pagine di questo nostro Notiziario abbiamo già parlato dell’innalzamento della temperatura del nostro Pianeta, delle cause, delle conseguenze e di alcuni possibili rimedi.
Proviamo adesso a vedere se riusciamo a dare un senso alla frase che abbiamo usato come titolo e che ci ritroviamo a pronunciare sempre più spesso.
Cos’è, innanzi tutto, una stagione?
Secondo gli Astronomi le stagioni sono legate al movimento degli astri, ovvero, nel nostro caso, al movimento della terra intorno al sole.
Il nostro Pianeta, che in 365 giorni percorre un’orbita ellittica intorno al sole e ruota su se stesso intorno ad un asse inclinato, viene irraggiato dal sole in maniera diversa nell’arco dell’anno. Da qui il susseguirsi delle quattro stagioni astronomiche.
Durante l’inverno il nostro emisfero nord viene irraggiato di meno, e quindi fa più freddo. D’estate, grazie ad un irraggiamento maggiore, fa più caldo.
Naturalmente succede il contrario nell’emisfero sud. Se andate, ad esempio, a trascorrere il Natale in Australia (magari senza il camper) portatevi il costume da bagno.
Questo meccanismo non cambia, ne possiamo essere sicuri. Perché, allora, le nostre stagioni si comportano in maniera sempre più bizzarra?
Ecco che qui entra in scena il climatologo.
Il compito di questo esperto è, almeno in questo caso, assai complesso. Lui deve tenere conto di numerosi fattori quali, ad esempio, la presenza delle montagne, la vicinanza del mare e, cosa molto importante, la temperatura media.
Ed è proprio questa temperatura che, con il suo progressivo innalzamento, crea gli scombussolamenti che ci portano a dire che le stagioni sono cambiate.
Gli inverni sono meno freddi e le estati più calde. Primavera ed autunno sembrano avere le idee sempre più confuse. E la situazione pare destinata ad evolvere in maniera negativa. Con l’aumento della temperatura media, valutato da alcuni in 2 gradi, e da altri in 4-5 intorno al 2050, i fenomeni si accentueranno.
Al di là di quello che abbiamo già detto nel Notiziario precedente, alcune conseguenze si vedono già nella natura che ci circonda più da vicino.
Quanti di noi posseggono un giardino, un orto o, quantomeno, grazie agli splendidi luoghi nei quali abbiamo la fortuna di abitare, possono osservare alberi, fiori e animali.
Tutti abbiamo notato che le gemme spuntano prima e di conseguenza anche la fioritura è più precoce.
Secondo alcuni studiosi pare che questo ciclo si sia anticipato di circa una settimana negli ultimi trent’anni.
E gli animali?
Noi animali umani brontoliamo un po’, ma poi ci procuriamo un bel condizionatore d’aria con il quale, a fronte di un momentaneo sollievo, contribuiamo a peggiorare la situazione generale. Ma sulla terra non ci siamo solo noi, come animali. Anzi, siamo gli ultimi arrivati, anche se di gran lunga i più pericolosi.
Un bell’esempio ci viene dal ciclo della quercia, del bruco e della cinciallegra. Una volta, a primavera, facevano capolino le foglie della quercia, poi si dischiudevano i bruchi che se ne cibavano e, alla fine, arrivavano le cinciallegre che mangiavano i bruchi.
Il ciclo della quercia, del bruco e della cinciallegra
Tutto sembra in equilibrio. Ma si tratta di un equilibrio assai fragile.
Animali e vegetali non reagiscono allo stesso modo ai mutamenti climatici e, soprattutto, alle variazioni di temperatura.
Si verifica perciò quella perdita di sincronismo per cui i bruchi nascono prima che siano nate le foglie delle querce, e quindi fanno la fame, e la stessa triste sorte tocca alle simpaticissime cinciallegre. E’ vero che molti di noi piazzano in giardino quelle palline di grasso delle quali vanno ghiotti questi uccelli. Ma non si può certo considerare questa una soluzione.
Situazioni di questo tipo si verificano in molti altri casi e le conseguenze generali rischiano di essere assai gravi.
Sono ovviamente indispensabili scelte importanti a livello planetario, ma è il comportamento di ciascuno di noi che può contribuire a contenere le conseguenze negative per l’intero ecosistema.
Anche noi, amanti del plein air e della natura come siamo, o pretendiamo di essere, dobbiamo porci in una posizione virtuosa ed esemplare.
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Re: SPIGOLANDO......

Messaggio da leggere da grazia »

LE STAGIONI DELLA VITA

E venne il tempo dell’asfodelo,
della mimosa,
della rosa odorosa,
degli sguardi acerbi,
degli abbracci inermi
nella via silenziosa……

E venne il tempo del melograno,
della spiga matura,
del sentimento che dura
e ti tiene per mano
guardando lontano
oltre il melograno che ci sfiora…..

E venne il tempo dell’uva matura,
della castagna nascosta
tra le foglie del bosco,
del profumo di mosto,
della terra smossa,
del seme gettato nel solco arato,
del cuore sfinito da un amore finito
da un affetto trovato…….

E verrà il tempo del cielo grigio,
della neve bianca,
della mano stanca che trema un poco;
delle speranze perdute,
dei rimpianti cocenti,
del buio angoscioso che ti darà riposo
e ti porta via………

Grazia
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Re: SPIGOLANDO......

Messaggio da leggere da grazia »

I giovani d’oggi e la mancanza di educazione.

«La mancanza di educazione fra i giovani è purtroppo un fenomeno dilagante. Ne sanno qualcosa gli insegnanti che come me si trovano quotidianamente di fronte a questo problema. Mentre un tempo gli alunni rispettavano i docenti, li temevano e li rispettavano, oggigiorno nemmeno ti salutano, ti contestano e sono poco rispettosi. Oltre a ciò, il turpiloquio, le bestemmie sono diventate parte del linguaggio comune di molti ragazzi che arrivano ad offendersi in modo pesante o ad usare fra di loro un linguaggio da “scaricatori di porto”. Fortunatamente non tutti i ragazzi sono così e ci sono ancora giovani rispettosi dei pari, dei genitori e docenti.

Il linguaggio scurrile è un modo per sentirsi grandi, forti, indipendenti e trasgressivi e questi sono infatti le necessità più importanti degli adolescenti che, pur avendo bisogno del sostegno dei genitori e degli adulti, vogliono dimostrare a tutti i costi la loro autonomia per vincere l’insicurezza tipica dell’età. A ruota seguono i giovani universitari frustrati dagli esami, dallo studio e, soprattutto, dall’incertezza di trovare un lavoro nel futuro.

Di chi è la colpa? Innanzitutto degli adulti che con il loro stile educativo eccessivamente permissivo lasciano ampio spazio a questi comportamenti che spesso sono tenuti dagli stessi genitori magari in auto finché guidano o quando qualcuno fa loro un torto in famiglia, in un parcheggio o in ufficio. La frustrazione dei tempi di crisi crea anche fra gli adulti un linguaggio “fin troppo colorito” quasi a voler sfidare i tempi difficili e come liberazione dallo stress.

A ciò si aggiungono i media, le riviste, le trasmissioni dove le parolacce sono abbastanza frequenti, cosa che nel passato non si verificava.

A scuola si fa ben poco per educare i giovani al rispetto perché i dirigenti e gli insegnanti, poco valorizzati per il loro lavoro spesso anche dai genitori degli alunni troppo portati a scaricare sulla scuola le difficoltà dei figli, si attengono troppo al programma da svolgere, alle interrogazioni e ai compiti dando poco spazio alla discussione e all’attenzione per il rispetto e l’educazione. Ricordiamoci invece che la scuola dovrebbe preparare gli alunni alla vita e sappiamo bene che il senso di responsabilità e l’educazione sono le basi fondamentali per un futuro lavorativo, non solo le nozioni e le competenze.

Purtroppo c’è ancora molta chiusura in questo senso e sarebbe opportuno non solo che a scuola si insegnasse l’educazione ma che, in questi tempi in cui la violenza e l’aggressività nelle varie forme stanno prendendo sempre più piede, si dedicassero delle ore di insegnamento all’educazione all’amore e alla comunicazione fondata sul rispetto di sé e degli altri. Da anni mi batto personalmente perché questo accada, sia come insegnante che come psicoterapeuta. Nelle mie classi lo faccio da anni, spero che qualche dirigente o politico lungimirante lo estenda a tutte le scuole di ogni ordine e grado, promuovendo anche degli incontri con i genitori.

M.C. Strocchi
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