SPIGOLANDO......

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grazia
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Re: SPIGOLANDO......

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PICO DELLA MIRANDOLA - LA DIGNITA' DELL'UOMO


Ti ho posto al centro del mondo affinché tu possa contemplare al meglio ciò che esso contiene. Non ti ho fatto né celeste né terrestre, né mortale né immortale, affinché da te stesso, liberamente, in guisa di buon pittore o provetto scultore, tu plasmi la tua immagine; Puoi degenerare alla bestialità o elevarti alla divinità. Gli animali ottengono dal corpo della loro madre tutto quel che è loro necessario a vivere, e gli spiriti più alti sono - fin dall'inizio o immediatamente dopo di esso - qualsiasi cosa decidano di essere per tutta l'eternità. Ma l'essere umano è colui al quale il Padre dona, al momento della nascita, i semi ed i germi di qualsiasi caratteristica della vita, quegli stessi semi e germi che egli coltiva, fa crescere dentro di sé e trasforma in frutti.
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grazia
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Re: SPIGOLANDO......

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ER DISCORSO DE LA CORONA

Trilussa


C’era una vorta un Re così a la mano
ch’annava sempre a piedi come un omo,
senza fanfare, senza maggiordomo,
senza ajutante…; insomma era un Sovrano
che quanno se mischiava fra la gente
pareva quasi che nun fosse gnente.
A la Reggia era uguale: immagginate
che nun dava mai feste, e certe vorte
ch’era obbrigato a dà’ li pranzi a Corte
je faceva li gnocchi de patate,
perché — pensava — la democrazzia
se basa tutta su l’economia.
— Lei me pare ch’è un Re troppo a la bona:
— je diceva spessissimo er Ministro —
e così nun pô annà, cambi reggistro,
se ricordi che porta la Corona,
e er popolo je passa li bajocchi
perché je dia la porvere nell’occhi. —
Ma lui nun ce badava: era sincero,
diceva pane ar pane e vino ar vino;
scocciato d’esse er primo cittadino
finiva pe’ regnà soprappensiero,
e in certi casi succedeva spesso
che se strillava «abbasso» da lui stesso.
Un giorno che s’apriva er Parlamento
dovette fa’ un discorso, ma nun lesse
la solita filara de promesse
che se ne vanno come fumo ar vento:
— ‘Sta vorta tanto — disse — nun so’ io
se nu’ je la spiattello a modo mio! —
E cominciò: — Signori deputati!
Credo che su per giù sarete tutti
mezzi somari e mezzi farabbutti
come quell’antri che ce so’ già stati,
ma ormai ce séte e basta la parola,
la volontà der popolo è una sola!
Conosco bene le vijaccherie
ch’avete fatto per avé ‘sto posto,
e tutte quel’idee che v’hanno imposto
le banche, le parrocchie e l’osterie…
Ma ormai ce séte, ho detto, e bene o male
rispecchiate er pensiero nazzionale.
Dunque forza a la machina! Er Governo
è pronto a fa’ qualunque umijazzione
purché je date la soddisfazzione
de fallo restà su tutto l’inverno;
poi verrà chi vorrà: tanto er Paese
se ne strafotte e vive su le spese.
Pe’ conto mio nun vojo che un piacere:
che me lassate in pace; in quanto ar resto
fate quer che ve pare: nun protesto,
conosco troppo bene er mi’ mestiere;
io regno e nun governo e co’ ‘sta scusa
fo li decreti e resto a bocca chiusa.
Io servo a inaugurà li monumenti
e a corre su li loghi der disastro;
ma nun me vojo mette ne l’incastro
fra tutti ‘sti partiti intransiggenti:
anzi j’ho detto: Chiacchierate puro,
ché più ve fo parlà più sto sicuro.
Defatti la Repubbrica s’addorme
davanti a li ritratti de Mazzini,
er Socialismo cerca li quatrini,
sconta cambiali e studia le riforme,
e quello de la barca de San Pietro
nun sa se rema avanti o rema addietro. —
A ‘sto punto er Sovrano arzò la testa
e vidde che nun c’era più nessuno
perché li deputati, uno per uno,
èreno usciti in segno de protesta.
— Benone! — disse — Vedo finarmente
un Parlamento onesto e inteliggente!
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Re: SPIGOLANDO......

Messaggio da leggere da Sara »

Spigolature attualissime! Smiling
Non il possesso della conoscenza, della verità irrefutabile, fa l'uomo di scienza, ma la ricerca critica, persistente e inquieta, della verità.
K. Popper
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Ovidio
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Re: SPIGOLANDO......

Messaggio da leggere da Ovidio »

Sara ha scritto: 24 feb 2021, 21:44 Spigolature attualissime! Smiling
Un pò lunghe!
Tenere sempre a mente la „regola d‘oro“
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grazia
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Re: SPIGOLANDO......

Messaggio da leggere da grazia »

Ci sono tre ragioni nella giornata per essere felici e sorridere.


La prima ragione è quando mi sveglio,
perché ho tutta una giornata davanti a me
per fare bene tutto ciò che non ho potuto fare ieri
e quindi sono felice.

La seconda ragione è a mezza giornata,
perché, se non sono riuscito a fare molto,
ho ancora davanti a me una mezza giornata per migliorare
e me ne rallegro.

La terza ragione è alla sera,
perché la giornata è finita :
se è andata bene sono felice,
se invece è andata male sono felice che sia finita.

(anonimo)
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grazia
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Re: SPIGOLANDO......

Messaggio da leggere da grazia »

IL DROGATO DA TELEFONINO (Stefano Benni)



Creatura recentemente apparsa ma ormai tristemente nota. Il suo dramma
non è il cellulare, ma la dipendenza, cioè il non saper rinunciare al telefonino
nei luoghi più improbabili e nelle situazioni più scomode. Per questa ragione è
detto DDT, ovvero Drogato Da Telefonino.
Ad esempio, il DDT è appena entrato nel bar e il cellulare trilla mentre sta
bevendo un cappuccino. Il DDT continua a bere con la destra e risponde con la
sinistra, oppure intinge il cellulare nella tazza e si attacca una brioche
all'orecchio.
Va alla toilette telefonando, e dentro si odono rumori molesti, sciabordio, e
schianti dovuti alla difficoltà di compiere certe operazioni con una mano sola.
Spesso quando esce ha il cellulare grondante e strane macchie sui pantaloni.
Inoltre ogni anno circa duemila telefonini spariscono in turche o gorghi
porcellanati. Una leggenda metropolitana li vuole clonati e usati dai ratti di
fogna al posto della comunicazione ultrasonica.
Il DDT risponde in qualsiasi situazione, posizione, e occasione. La sua
prerogativa è infatti "l'effetto Colt": non può sentire un trillo senza estrarre di
tasca l'arma, vive sempre all'erta come un pistolero, risponde velocissimo non
solo al trillo del suo cellulare, ma anche a quello del vicino, al trillo della cassa,
ai trilli dei telefoni in televisione e, in campagna, anche al canto dei grilli.
Ma soprattutto due sono le situazioni in cui la nevrosi del DDT esplode in tutta
la sua violenza.
La prima è quando è a una tavolata di ristorante e ha lasciato il cellulare nel
cappotto. Udendo il trillo fatidico, che riconosce tra gli altri come il vagito del
primogenito, balza sul tavolo, calpesta antipasti, rovescia sedie, ribalta tavoli e
parte come una belva verso l'attaccapanni. Qua butta in aria pellicce e cappotti
altrui, a volte per far prima li squarcia con un coltello, infila la mano nella
fodera, sbaglia tasca, bestemmia e raggiunge il cellulare non appena questo ha
smesso di trillare. A questo punto lo porta con sè sul tavolo, parcheggiandolo
vicino al piatto. Dopodichè lo osserverà con odio tutta la sera, perché il
cellulare resterà silenzioso, e suonerà solo una volta rimesso nel cappotto.
Un altro evento che mette in crisi il cellularista DDT è quando si accorge che
nel locale il telefonino non riceve il segnale. Questo lo atterrisce come se gli si
fermasse lo stimolatore cardiaco. Il DDT inizia a percorrere in lungo e in largo
la stanza, striscia contro i muri, sale sui tavoli, salta come un canguro alla
disperata ricerca di un segno di vita della sua creatura. Spesso si può vedere il
DDT in una delle seguenti posizioni:

a. modello "Statua della libertà", in piedi sul tavolo col telefonino innalzato
verso il soffitto;
b. modello "Gogna", con mezzo busto fuori della finestra, braccio proteso e
mezzo congelato;
c. modello "Frontiera", deambulante avanti e indietro attraverso la porta, in un
vortice di spifferi e proteste;
d. modello "Fisherman", col cellulare legato a una canna da pesca infilata nello
spioncino dell'aerazione in alto a destra;
e. modello "Delega", nervosissimo dopo aver pagato un ragazzino perché gli
tenga il cellulare fuori del locale. La percentuale di restituzione è del cinquanta
per cento, ma pur di avere il telefonino in funzione, il DDT corre questo rischio;
f. modello "Eremita", seduto sul cesso tutta la sera perché lì è l'unico punto
dove riceve.

Che tipo di importante conversazione impegna il cellularista DDT? Quasi
sempre è difficile stabilirne la logica e soprattutto la necessità.
Ne facciamo qui alcuni esempi, riportando solo le frasi del cellularista, e
lasciando alla vostra fantasia la parte dell'interlocutore.

Telefonata progettuale

Sì io sto qui, tu dove sei?
Ah, e dopo dove vai?
Ho capito, allora ci sentiamo stasera?
No stasera non lo so, perché tu dove vai?
Sì forse vengo anch'io, ma tu ci sei?
Allora stasera ti chiamo per sentire se ci sei, se no mi dici dove sei, se no dove
sei domani.
Sì, domani io sto qua, tu vai via o stai qua?
Se vado via chiama che ti raggiungo. Se no ti chiamo io per dirti che non vengo
e che è inutile che chiami.
Senti e per le vacanze dove vai?
No io non torno là, tu ci torni?
Beh magari ti telefono se decido che torno, se no se decidi che torni mi chiami
tu.
Va bene, sì ciao, ciao.
Senti, e a capodanno cosa fai?
Ad libitum.

Conversazione irosa

Che c...o vuoi?
Dove c...o eri ieri sera?
E io che c...o ci posso fare?
Di’ che vada a fare in c..o lui e tutta la sua baracca.
Non ci penso nemmeno, c...i tuoi.
Certo, ciao amore, a stasera, amore (bacetto)

Conversazione urgente di lavoro

Sono Borghi, c'è il dottor Lamanna?
Lamanna? No, sono Borghi, vorrei il dottor Lamanna.
Dottor Lamanna, sono Borghi... Ah non è lei, me lo può passare da lì?
Sono sempre Borghi, santodio mi può passare Lamanna?
Scusi ma è un'ora che dite che mi passate Lamanna, me lo passate o no?
Borghi, sono Borghi, perdio!
Come "cosa voglio?". Voglio il dottor Lamanna!
Lamanna? Ah ciao, sono Borghi, scusa ti posso richiamare tra un'oretta che
adesso ho da fare?

Conversazione strategica

Nerio, sono Augusto, se senti questo messaggio nella segreteria del cellulare
lascia un messaggio nella segreteria di casa mia perché adesso vado a fare la
sauna e lì il cellulare non funziona però quando esco ti chiamo e se trovo il tuo
cellulare spento ti lascio un messaggio a casa per dirti se prendo il treno dove
mi puoi chiamare dalle otto e trenta alle nove perché dopo cominciano le
gallerie, ma posso anche chiamare io la tua segreteria telefonica dicendoti
dove sarò in albergo oppure se mi si scarica il cellulare chiamami tu in
segreteria a casa che cerco di fare un trasferimento di chiamata, e se non ci
riesco ti lascio in segreteria un numero dove puoi lasciarmi un messaggio dove
dici a che ora hai il cellulare acceso così ti chiamo.

Conversazione di mercato

Nico sono qua al negozio ma la camicia verde a righe grandi non ce l'hanno.
Ce l'hanno a righine verdi piccole, chiare...
Piccole quanto non saprei, diciamo come un capello.
Che ne so se è un capello mio o un capello tuo, comunque non hanno la taglia
cinquantaquattro.
Non so se va bene il cinquantadue, senti non hai un metro per misurarti il
collo, misuratelo e poi richiama e mi devi anche aiutare a comprare i formaggi.

Conversazione - truffa

(fatta da un uomo con una bionda vistosissima al fianco)
Gina sei tu?
Ciao cara, senti non rientro stasera, sono ancora a Milano, la riunione è stata
più lunga del previsto.
Che tempo fa a Milano? (imbarazzo) beh, che tempo vuoi che faccia a Milano...
I rumori? Ah sì, sono nello studio dell'avvocato Gambetta, siamo in una pausa.
Te lo saluto sì. Avvocato (rivolto al barista stupito) mia moglie la saluta.
Va bene amore, ci vediamo domattina, ma tu dove sei, in casa?
Certo amore che sono a Milano ma insomma ti fidi o no?
Un bacio cara, scusa cos'è questa musica di sottofondo?
Lo stereo della camera da letto?
Scusa cara ma noi non abbiamo lo stereo nella camera da letto.
Come l'hai comprato stamattina? Guarda cara non fare la furba che in dieci
minuti... in un'ora d'aereo piombo lì e sono c...i eh! Va bene, va bene, mi fido,
se non ci si fida allora è inutile.
Certo che sono a Milano, fidati.
Scusa, che marca è lo stereo che avresti comprato?

Conversazione affrettata

Scusa Nino ma mi si sta scaricando la batteria devo dirtelo in fretta mi ha
telefonato il portinaio che la nonna è morta dovresti andare su da lei al terzo
piano e sfondare la porta ma sta’ attento che c'è una gran puzza di gas e già
che ci sei guarda nel garage se c'è l'auto perché il portinaio m'ha detto anche
che stanotte li hanno forzati tutti, com'è andata la chemioterapia stamattina, e
scusa un'ultima cosa, cosa sta facendo l'Inter?

(da Bar Sport duemila, Feltrinelli editore)
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Re: SPIGOLANDO......

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LA STORIA DELLA MATITA


Il bambino guardava la nonna scrivere una lettera.

Ad un certo punto, chiese: "Stai scrivendo una storia su di noi? E' per caso una storia su di me?".


La nonna smise di scrivere, sorrise e disse al nipote: "In effetti, sto scrivendo su di te.
Tuttavia, più importante delle parole, è la matita che sto usando. Mi piacerebbe che tu
fossi come lei, quando sarai grande."

Il bimbo osservò la matita, incuriosito e non vide niente di speciale.

"Ma è identica a tutte le matite che ho visto in vita mia!".


"Tutto dipende dal modo in cui guardi le cose. Ci sono 5 qualità in essa che, se tu riuscirai
a mantenere, faranno sempre di te un uomo in pace con il mondo.


Prima qualità: tu puoi fare grandi cose, ma non devi mai dimenticare che esiste una mano
che guida i tuoi passi: questa mano noi la chiamiamo Dio e Lui ti dovrà sempre indirizzare
verso la Sua volontà.


Seconda qualità: di quando in quando io devo interrompere ciò che sto scrivendo ed usare
il temperino. Questo fa sì che la matita soffra un poco, ma alla fine essa sarà più affilata.
Pertanto, sappi sopportare un po' di dolore, perché ciò ti renderà una persona migliore.



Terza qualità: la matita ci permette sempre d'usare una gomma per cancellare gli sbagli.
Capisci che correggere qualcosa che abbiamo fatto non è necessariamente un male, ma
qualcosa di fondamentale per mantenerci sulla retta via.


Quarta qualità: ciò che è davvero importante nella matita non è il legno o la forma esteriore,
ma la grafite che è all'interno. Dunque fai sempre attenzione a quello che succede dentro di te.


Infine la quinta qualità della matita: lascia sempre un segno. Ugualmente, sappi che tutto ciò
che farai nella vita lascerà tracce e cerca d'essere conscio d'ogni singola azione.

Paolo Coelho
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Re: SPIGOLANDO......

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LA LOGICA E LA DIALETTICA

Arthur Shopenhauer

"E' un peccato che fin dall'antichità dialettica e logica siano state adoperate come sinonimi, e che quindi io non sia così libero di separare il loro significato, come altrimenti vorrei, e definire la logica come "la scienza delle leggi del pensiero, cioè del modo di procedere della ragione", e la dialettica come "l'arte del disputare". Quindi la logica ha evidentemente un oggetto puramente a priori, determinabile senza l'intervento dell'esperienza, ossia le leggi del pensiero, il procedere che la ragione (logos) segue se è lasciata a se stessa e non è disturbata....La dialettica invece tratterebbe della comunione di due esseri razionali, che di conseguenza pensano insieme, cosa da cui, non appena essi non concordino come due orologi sincronizzati, sorge una disputa, cioè una battaglia spirituale. Come pura ragione i due individui dovrebbero concordare. Le loro divergenze scaturiscono dalla diversità che è costitutiva dell'individualità, e sono dunque un elemento empirico......La natura umana comporta infatti che quando nel pensare in comune....A si accorge che i pensieri di B sul medesimo oggetto divergono dai suoi, egli non va per prima cosa a riesaminare il proprio pensiero per trovare l'errore, ma presuppone che questo si trovi nel pensiero dell'altro: cioè l'uomo è per natura prepotente, vuole avere ragione: e ciò che consegue da questa proprietà è l'insegnamento della disciplina che io vorrei chiamare dialettica e che tuttavia, per evitare malintesi, chiamerò dialettica eristica. Essa sarebbe dunque la dottrina del modo di procedere della naturale prepotenza umana".
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Re: SPIGOLANDO......

Messaggio da leggere da grazia »

LETTERA AD UN FIGLIO

di Rudyard Kipling


Se puoi vedere distrutto il lavoro di tutta la tua vita
e senza dire una parola ricominciare,
se puoi perdere i guadagni di cento partite
senza un gesto e senza un sospiro di rammarico,
se puoi essere un amante perfetto
senza che l'amore ti renda pazzo,
se puoi essere forte senza cessare di essere tenero
e sentendoti odiato non odiare, pure lottando e difendendoti.

Se tu sai meditare, osservare, conoscere,
senza essere uno scettico o un demolitore,
sognare senza che il sogno diventi il tuo padrone,
pensare senza essere soltanto un pensatore,
se puoi essere sempre coraggioso e mai imprudente,
se tu sai essere buono e saggio
senza diventare ne moralista, ne pedante.

Se puoi incontrare il Trionfo e la Disfatta
e ricevere i due mentitori con fronte eguale,
se puoi conservare il tuo coraggio e il tuo sangue freddo
quando tutti lo perdono.

Allora i Re, gli Dei, la Fortuna e la Vittoria
saranno per sempre tuoi sommessi schiavi
e, ciò che vale meglio dei Re e della Gloria,
Tu sarai un uomo
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Re: SPIGOLANDO......

Messaggio da leggere da grazia »

Tratto dalla prefazione del libro di “Siamo Uomini o Caporali”

di TOTO'

[…]Tra i miei modi di dire che hanno trovato la loro radice in esperienze dirette, abbiamo la frase che dà il titolo a questo volume: Siamo uomini o caporali?
Da molti anni, questa interrogazione che, spesso, pronuncio sul palcoscenico, oltre a suscitare l'ilarità, ha spinto gli spettatori a chiedersi il preciso significato che do ad essa.I più scrupolosi, anzi, mi hanno ripetutamente scritto al riguardo.
E, come era da prevedersi, tra le lettere, numerose risultano quelle dei "caporali dell'esercito", che si sono sentiti menomare dal mio interrogativo.
Le varie interpretazioni, come accade spesso in simili frangenti, sono risultate inesatte o incomplete o infondate.
In verità, la storia di questa frase trova le sue origini nella mia vita militare.
Dunque...
Ero poco più che un ragazzo, quando mi decisi ad avanzare la domanda di volontariato al Distretto militare di Napoli.Mi assegnarono al 22' reggimento di stanza a Pisa.
Poichè avevo imparato che, tra gli esercizi militari, il meno penoso e il più semplice era quello di marcare visita, divenni, modestamente, uno specialista in materia.
I miei superiori non ritennero di valutare con il mio stesso metro le continue visite all'infermeria e, appena si presentò l'occasione, mi trasferirono al CLXXXII battaglione di fanteria destinato in Francia, presso un reparto di marocchini.
Non era mia intenzione di avere a che fare con tale genìa di soldati di colore;perciò presi la determinazione di evitare con essi spiacevoli fatti personali.Durante il viaggio di trasferimento, e precisamente alla stazione di Alessandria, accusai un tale repertorio di malesseri da dover essere ricoverato d'urgenza all'ospedale militare del luogo.
Il convoglio con gli altri soldati continuò il suo viaggio ed io, appena dimesso dall'ospedale, fui inviato all'87' reggimento di fanteria.
Però le mie peregrinazioni non dovevano considerarsi ultimate. Il destino aveva deciso di farmi fre la conoscenza diretta dei più noti reggimenti italiani. Infatti, di lì a poco, si liberarono di me, lavativo per eccellenza, e fui assegnato all'88' reggimento di stanza a Livorno.
Fu in questo glorioso reggimento che ebbi come graduato il famigerato caporale, il caporale per antonomasia, il caporale a vita, uno di quelli cioè che ti fanno odiare, per un numero imprecisato di generazioni, la vita e il regolamento militari!
Egli era stato promosso caporale per assoluta mancanza di graduati disponibili, pur essendo quasi analfabeta.
Nella vita militare, il conoscere determinati mestieri (barbiere, meccanico, autista, elettrotecnico, ecc.) presto o tardi consente di uscire dall'anonimato e di godere di un certo stato di privilegio, evitando così tutte le fatiche, le corvèes e i turni di guardia. Turni di guardia e corvèes costituiscono l'ossessione dei giovani i quali attendono con ansia fa libera uscita per godersi tranquillamente - e, se possibile, con una bella figliola, diciamo così, indigena - le poche ore di evasione dall'atmosfera della caserma.
A quei tempi mi piaceva la vita brillante del giovane di buona famiglia senza pensieri, sospiravo il suono della tromba che dava il via alla libera uscita e rendendomi simpatico ai superiori con le mie macchiette teatrali tentavo di conquistarmi l'esenzione dal servizi di guardia e di corvées che coincidono, puntualmente, con il permesso serale.
Ma... C'era un "ma" che sbarrava le mie intenzioni e i miei propositi; ed era incatnato da quello strano tipo di caporale ignorante e presuntuoso il quale, animato da un'irragionevole idiosincrasia nei confronti dei "militar soldati" , abusando del suo grado, riusciva a privarci della sospirata breve libertà.
Per quel che mi concerne, posso assicurarvi che mi riservava i servizi più umili e più bassi: la pulizia delle camerate, dei gabinetti e del cortile, la pelatura delle patate avevano in me l'abituale esecutore.
E questo non era che il principio, l'inizio.
A quel caporale tutto quello che facevo io non piaceva.
Trovava da ridire su tutto, e pretendeva di farmi rifare i servizi, anche se erano stati eseguiti con il massimo impegno e, lasciatemelo pur dire, alla perfezione.
Egli urlava le sue osservazioni, spesso inconsistenti; soprattutto urlava davanti ai superiori e agli altri militari condendole con le classiche aggettivazioni in uso sotto le armi: *******, salame, addormentato, ecc.
La vita militare non mi si era presentata sotto un aspetto eccessivamente gradevole, dato anche il mio temperamento insofferente; tuttavia, per evitare le sue continue rappresaglie, assunsi un contegno disciplinato, eseguendo seriza discutere i suoi ordini e subendo con rassegnazione le sue osservazioni.
Questa mia tattica non ebbe un esito particolarmente felice.
Il caporale scambiò la mia passività per debolezza e, forte più del suo grado che dei regolamenti, raddoppiò ingiustamente la dose, rendendomi veramente asfissiante la vita in comune.Un'ira sorda, un rancore covato sotto la cenere della supina obbedienza;alfine, un odio accanito e morboso mi prese nei confronti di quell'uomo così sicuro nel carro armato dei suoi galloni.
Durante le punizioni che mi toccava scontare, rimuginavo in me un rancore senza fine nei confronti dei "caporali", verso coloro cioè che, muniti di un'autorità immeritata e forti di una disciplina che impone ai sottoposti l'obbedienza senza discussione, esercitano tali loro meschini poteri con un atteggiamento da piccoli Ezzelini da Romano.
Contrapponevo, ad essi, gli "uomini", le persone, cioè, che sanno adoperarela loro autorità senza abusare dei poteri loro commessi.
Per me, dare del "caporale" a qualcuno - in quel periodo - equivaleva a classificarlo nella peggiore categoria che si possa immaginare.
In caserma mi capitò spesso di dire: "Guardiamoci in faccia... Siamo uomini o caporali?".
Rientrai nella vita civile con il bagaglio della mia esperienza militare.
Cominciai allora ad applicare questo sistema di catalogare le persone, in base ai miei rapporti tenuti sotto le armi con i caporali. (Non tutti, intendiamoci, sono così. Parlo solo di quei dati caporali odiosi anche ai loro colleghi).
Abitualmente, le persone che si frequentano vengono divise in amiche o nemiche, utili o nocive, buone o cattive.
Io le divido in uomini o caporali.
Per fare un esempio: la famiglia dei miei nonni paterni che si oppose, per ragioni di nobiltà, al matrimonio di mio padre con mia madre, appartiene ai caporali.
Lo scrittore Curzio Malaparte, che per vendere il suo libro "La pelle" ha inventato fatti di sana pianta diffamando Napoli e i napoletani, deve considerarsi inquadrato nel plotone dei caporali.
Infine, a voler ricercare l'origine prima di questa mia classificazione, dovrei richiamarmi a Dante Alighieri che un metro fondamentalmente analogo adoperò nel gettare nell'Inferno i suoi nemici e avversari; e nell'elevare al Paradiso tutti coloro che amò o di cui vantò l'amicizia.
Dante che, nel canto V del Paradiso, ebbe a comporre il famoso verso: "Uomini siate e non pecore matte" che, in base alle mie considerazioni, potremmo modificare in: "Uomini siate e non dei caporali".
Non è dei migliori endecasillabi. Però il suo contenuto riscatta l'inevitabile deficienza poetica.
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Ovidio
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Re: SPIGOLANDO......

Messaggio da leggere da Ovidio »

grazia ha scritto: 2 mar 2021, 9:40 Tratto dalla prefazione del libro di “Siamo Uomini o Caporali”

di TOTO'

[…]Tra i miei modi di dire che hanno trovato la loro radice in esperienze dirette, abbiamo la frase che dà il titolo a questo volume: Siamo uomini o caporali?
Da molti anni, questa interrogazione che, spesso, pronuncio sul palcoscenico, oltre a suscitare l'ilarità, ha spinto gli spettatori a chiedersi il preciso significato che do ad essa.I più scrupolosi, anzi, mi hanno ripetutamente scritto al riguardo.
E, come era da prevedersi, tra le lettere, numerose risultano quelle dei "caporali dell'esercito", che si sono sentiti menomare dal mio interrogativo.
Le varie interpretazioni, come accade spesso in simili frangenti, sono risultate inesatte o incomplete o infondate.
In verità, la storia di questa frase trova le sue origini nella mia vita militare.
Dunque...
Ero poco più che un ragazzo, quando mi decisi ad avanzare la domanda di volontariato al Distretto militare di Napoli.Mi assegnarono al 22' reggimento di stanza a Pisa.
Poichè avevo imparato che, tra gli esercizi militari, il meno penoso e il più semplice era quello di marcare visita, divenni, modestamente, uno specialista in materia.
I miei superiori non ritennero di valutare con il mio stesso metro le continue visite all'infermeria e, appena si presentò l'occasione, mi trasferirono al CLXXXII battaglione di fanteria destinato in Francia, presso un reparto di marocchini.
Non era mia intenzione di avere a che fare con tale genìa di soldati di colore;perciò presi la determinazione di evitare con essi spiacevoli fatti personali.Durante il viaggio di trasferimento, e precisamente alla stazione di Alessandria, accusai un tale repertorio di malesseri da dover essere ricoverato d'urgenza all'ospedale militare del luogo.
Il convoglio con gli altri soldati continuò il suo viaggio ed io, appena dimesso dall'ospedale, fui inviato all'87' reggimento di fanteria.
Però le mie peregrinazioni non dovevano considerarsi ultimate. Il destino aveva deciso di farmi fre la conoscenza diretta dei più noti reggimenti italiani. Infatti, di lì a poco, si liberarono di me, lavativo per eccellenza, e fui assegnato all'88' reggimento di stanza a Livorno.
Fu in questo glorioso reggimento che ebbi come graduato il famigerato caporale, il caporale per antonomasia, il caporale a vita, uno di quelli cioè che ti fanno odiare, per un numero imprecisato di generazioni, la vita e il regolamento militari!
Egli era stato promosso caporale per assoluta mancanza di graduati disponibili, pur essendo quasi analfabeta.
Nella vita militare, il conoscere determinati mestieri (barbiere, meccanico, autista, elettrotecnico, ecc.) presto o tardi consente di uscire dall'anonimato e di godere di un certo stato di privilegio, evitando così tutte le fatiche, le corvèes e i turni di guardia. Turni di guardia e corvèes costituiscono l'ossessione dei giovani i quali attendono con ansia fa libera uscita per godersi tranquillamente - e, se possibile, con una bella figliola, diciamo così, indigena - le poche ore di evasione dall'atmosfera della caserma.
A quei tempi mi piaceva la vita brillante del giovane di buona famiglia senza pensieri, sospiravo il suono della tromba che dava il via alla libera uscita e rendendomi simpatico ai superiori con le mie macchiette teatrali tentavo di conquistarmi l'esenzione dal servizi di guardia e di corvées che coincidono, puntualmente, con il permesso serale.
Ma... C'era un "ma" che sbarrava le mie intenzioni e i miei propositi; ed era incatnato da quello strano tipo di caporale ignorante e presuntuoso il quale, animato da un'irragionevole idiosincrasia nei confronti dei "militar soldati" , abusando del suo grado, riusciva a privarci della sospirata breve libertà.
Per quel che mi concerne, posso assicurarvi che mi riservava i servizi più umili e più bassi: la pulizia delle camerate, dei gabinetti e del cortile, la pelatura delle patate avevano in me l'abituale esecutore.
E questo non era che il principio, l'inizio.
A quel caporale tutto quello che facevo io non piaceva.
Trovava da ridire su tutto, e pretendeva di farmi rifare i servizi, anche se erano stati eseguiti con il massimo impegno e, lasciatemelo pur dire, alla perfezione.
Egli urlava le sue osservazioni, spesso inconsistenti; soprattutto urlava davanti ai superiori e agli altri militari condendole con le classiche aggettivazioni in uso sotto le armi: *******, salame, addormentato, ecc.
La vita militare non mi si era presentata sotto un aspetto eccessivamente gradevole, dato anche il mio temperamento insofferente; tuttavia, per evitare le sue continue rappresaglie, assunsi un contegno disciplinato, eseguendo seriza discutere i suoi ordini e subendo con rassegnazione le sue osservazioni.
Questa mia tattica non ebbe un esito particolarmente felice.
Il caporale scambiò la mia passività per debolezza e, forte più del suo grado che dei regolamenti, raddoppiò ingiustamente la dose, rendendomi veramente asfissiante la vita in comune.Un'ira sorda, un rancore covato sotto la cenere della supina obbedienza;alfine, un odio accanito e morboso mi prese nei confronti di quell'uomo così sicuro nel carro armato dei suoi galloni.
Durante le punizioni che mi toccava scontare, rimuginavo in me un rancore senza fine nei confronti dei "caporali", verso coloro cioè che, muniti di un'autorità immeritata e forti di una disciplina che impone ai sottoposti l'obbedienza senza discussione, esercitano tali loro meschini poteri con un atteggiamento da piccoli Ezzelini da Romano.
Contrapponevo, ad essi, gli "uomini", le persone, cioè, che sanno adoperarela loro autorità senza abusare dei poteri loro commessi.
Per me, dare del "caporale" a qualcuno - in quel periodo - equivaleva a classificarlo nella peggiore categoria che si possa immaginare.
In caserma mi capitò spesso di dire: "Guardiamoci in faccia... Siamo uomini o caporali?".
Rientrai nella vita civile con il bagaglio della mia esperienza militare.
Cominciai allora ad applicare questo sistema di catalogare le persone, in base ai miei rapporti tenuti sotto le armi con i caporali. (Non tutti, intendiamoci, sono così. Parlo solo di quei dati caporali odiosi anche ai loro colleghi).
Abitualmente, le persone che si frequentano vengono divise in amiche o nemiche, utili o nocive, buone o cattive.
Io le divido in uomini o caporali.
Per fare un esempio: la famiglia dei miei nonni paterni che si oppose, per ragioni di nobiltà, al matrimonio di mio padre con mia madre, appartiene ai caporali.
Lo scrittore Curzio Malaparte, che per vendere il suo libro "La pelle" ha inventato fatti di sana pianta diffamando Napoli e i napoletani, deve considerarsi inquadrato nel plotone dei caporali.
Infine, a voler ricercare l'origine prima di questa mia classificazione, dovrei richiamarmi a Dante Alighieri che un metro fondamentalmente analogo adoperò nel gettare nell'Inferno i suoi nemici e avversari; e nell'elevare al Paradiso tutti coloro che amò o di cui vantò l'amicizia.
Dante che, nel canto V del Paradiso, ebbe a comporre il famoso verso: "Uomini siate e non pecore matte" che, in base alle mie considerazioni, potremmo modificare in: "Uomini siate e non dei caporali".
Non è dei migliori endecasillabi. Però il suo contenuto riscatta l'inevitabile deficienza poetica.
Ma perchè non pubblicare tutto il libro? WWE.gif WWE.gif
Tenere sempre a mente la „regola d‘oro“
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grazia
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Re: SPIGOLANDO......

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la politica come professione.
Parla Weber



Max Weber, interrogandosi sul significato della politica come professione, delinea alcune categorie fondamentali per la definizione di un politico. Questa volta faccio parlare lui, letteralmente. Alla fine della lettura si capisce cosa c’è da cambiare, cosa non funziona e quanta maturità collettiva ci voglia per pretendere una democrazia matura.

"Tre qualità possono dirsi sommamente decisive per l’uomo politico: passione, senso di responsabilità, lungimiranza."


La passione non crea l’uomo politico se non mettendolo al servizio di una “causa” e quindi facendo della responsabilità, i confronti appunto di questa causa, la guida determinante dell’azione.

Donde la necessità della lungimiranza ossia della capacità di lasciare che la realtà operi su di noi con calma e raccoglimento interiore: come dire, cioè, la distanza tra le cose e gli uomini.

La “mancanza di distacco” semplicemente come tale, è uno dei peccati mortali di qualsiasi uomo politico e una di quelle qualità che, coltivate nella giovane generazione dei nostri intellettuali, li condannerà all’inettitudine politica.

E il problema è appunto questo: come possono coabitare in un medesimo animo l’ardente passione e la fredda lungimiranza?

La politica si fa col cervello e non con altre parti del corpo o con altre facoltà dell’animo. E tuttavia la dedizione alla politica, se questa non dev’essere un frivolo gioco intellettuale ma azione schiettamente umana, può nascere ed essere alimentata soltanto dalla passione.

Ma quel fermo controllo del proprio animo che caratterizza il politico appassionato e lo distingue dai dilettanti della politica che semplicemente “si agitano a vuoto”, è solo possibile attraverso l’abitudine alla distanza in tutti i sensi della parola.

La “forza” di una “personalità” politica dipende in primissimo luogo dal possesso di doti siffatte.

L’uomo politico deve perciò soverchiare dentro di sé, giorno per giorno e ora per ora, un nemico assai frequente e ben troppo umano: la vanità comune a tutti, nemica mortale di ogni effettiva dedizione e di ogni “distanza”, e, in questo caso, del distacco rispetto a se medesimi. La vanità è un difetto assai diffuso, e forse nessuno ne va del tutto esente. […]

Giacché si danno in definitiva due sole specie di peccati mortali sul terreno della politica: mancanza di una “causa” giustificatrice e mancanza di responsabilità (spesso, ma non sempre, coincidente con la prima).

La vanità, ossia il bisogno di porre in primo piano con la massima evidenza la propria persona, induce l’uomo politico nella fortissima tentazione di commettere uno di quei peccati o anche tutti e due.

Tanto più, in quanto il demagogo è costretto a contare “sull’efficacia”, ed è perciò continuamente in pericolo di divenire un istrione, come pure di prendere alla leggera la propria responsabilità per le conseguenze del suo agire e di preoccuparsi soltanto “dell’impressione” che egli riesce a fare.

Egli rischia, per mancanza di una causa, di scambiare nelle sue aspirazioni la prestigiosa apparenza del potere per il potere reale e, per mancanza di responsabilità, di godere del potere semplicemente per amor della potenza, senza dargli uno scopo per contenuto. […]

Ma appunto perciò non deve mancare all’azione politica questo suo significato di servire a una causa, ove essa debba avere una sua intima consistenza.

Quale debba essere la causa per i cui fini l’uomo politico aspira al potere e si serve del potere, è una questione di fede.

Egli può servire la nazione o l’umanità, può dar la sua opera per fini sociali, etici o culturali, mondani o religiosi, può essere sostenuto da una ferma fede nel “progresso” non importa in qual senso – oppure può freddamente respingere questa forma di fede, può inoltre pretendere di mettersi al servizio di una “idea”, oppure, rifiutando in linea di principio siffatta pretesa, può voler servire i fini esteriori della vita quotidiana – sempre però deve avere una fede.

Altrimenti la maledizione della nullità delle creature incombe effettivamente – ciò è assolutamente esatto – anche sui successi politici esteriormente più solidi.”

Max Weber, la politica come professione, 1919
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grazia
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Re: SPIGOLANDO......

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L’elezzione der Presidente – Trilussa


Un giorno tutti quanti l’animali
sottomessi ar lavoro
decisero d’elegge un Presidente
che je guardasse l’interessi loro.
C’era la Società de li Majali,
la Società der Toro,
er Circolo der Basto e de la Soma,
la Lega indipendente
fra li Somari residenti a Roma;
e poi la Fratellanza
de li Gatti soriani, de li Cani,
de li Cavalli senza vetturini,
la Lega fra le Vacche, Bovi e affini…
Tutti pijorno parte all’adunanza.
Un Somarello, che pe’ l’ambizzione
de fasse elegge s’era messo addosso
la pelle d’un leone,
disse: – Bestie elettore, io so’ commosso:
la civirtà, la libbertà, er progresso…
ecco er vero programma che ciò io,
ch’è l’istesso der popolo! Per cui
voterete compatti er nome mio. –
Defatti venne eletto proprio lui.
Er Somaro, contento, fece un rajo,
e allora solo er popolo bestione
s’accorse de lo sbajo
d’avé pijato un ciuccio p’un leone!
– Miffarolo! – Imbrojone! – Buvattaro!
– Ho pijato possesso:
– disse allora er Somaro – e nu’ la pianto
nemmanco se morite d’accidente.
Peggio pe’ voi che me ciavete messo!
Silenzio! e rispettate er Presidente!
(Er Sorcio de città e er Sorcio de campagna – Trilussa)
Un Sorcio ricco de la capitale
invitò a pranzo un sorcio de campagna.
Vedrai che bel locale,
vedrai come se magna…
je disse er Sorcio ricco. – Sentirai!
Antro che le caciotte de montagna!
Pasticci dórci, gnocchi,
timballi fatti apposta,
un pranzo co’ li fiocchi! una cuccagna! –
L’istessa sera, er Sorcio de campagna,
ner traversà le sale
intravidde una trappola anniscosta:
Collega, – disse – cominciamo male:
nun ce sarà pericolo che poi…?
Macché, nun c’è paura:
j’arispose l’amico – qui da noi
ce l’hanno messe pe’ cojonatura.
In campagna, capisco, nun se scappa,
ché se piji un pochetto de farina
ciai la tajola pronta che t’acchiappa;
ma qui, si rubbi, nun avrai rimproveri:
le trappole so’ fatte pe’ li micchi:
ce vanno drento li sorcetti poveri,
mica ce vanno li sorcetti ricchi!
(Er congresso de li cavalli – Trilussa)
Un giorno li Cavalli,
stufi de fa’ er Servizzio,
tennero un gran comizzio de protesta.
Prima parlò er Cavallo d’un caretto:
Compagni! Si ve séte messi in testa
de mijorà la classe,
bisogna arivortasse a li padroni.
Finora semo stati troppo boni
sotto le stanghe de la borghesia!
Famo un complotto! Questo qui è er momento
d’arubbaje la mano e fasse sotto!
Morte ar cocchiere! Evviva l’anarchia! –
Colleghi, annate piano: –
strillò un polledro giovane
d’un principe romano –
ché se scoppiasse la rivoluzzione
io resterebbe in mezzo a un vicoletto
perché m’ammazzerebbero er padrone.
Sarà mejo, piuttosto,
de presentà un proggetto ne la quale…-
Odia micchi, gras tibbi, è naturale!
disse un morello che da ventun’anno
stracinava el landò d’un cardinale. –
Ma se ce fusse un po’ de religgione
e Sant’Antonio nostro c’esaudisse…-
L’Omo, che intese, disse: – Va benone!
Fintanto che ‘sti poveri Cavalli
vanno così d’accordo
io faccio er sordo e seguito a frustalli!
(Er compagno scompagno – Trilussa)
Un Gatto, che faceva er socialista
solo a lo scopo d’arivà in un posto,
se stava lavoranno un pollo arosto
ne la cucina d’un capitalista.
Quanno da un finestrino su per aria
s’affacciò un antro Gatto: – Amico mio,
pensa – je disse – che ce so’ pur’io
ch’appartengo a la classe proletaria!

Io che conosco bene l’idee tue
so’ certo che quer pollo che te magni,
se vengo giù, sarà diviso in due:
mezzo a te, mezzo a me…Semo compagni!

No, no – rispose er Gatto senza core –
io nun divido gnente co’ nessuno:
fo er socialista quanno sto a diggiuno,
ma quanno magno so’ conservatore!
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nerorosso
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Re: SPIGOLANDO......

Messaggio da leggere da nerorosso »

Grande Trilussa!
SLAVA ROSSIJA!!! 🇷🇺
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grazia
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Re: SPIGOLANDO......

Messaggio da leggere da grazia »

l'angolino del sorriso...


SOCIALISMO:
Hai 2 mucche.
Il tuo vicino ti aiuta ad occupartene e tu dividi il latte con lui.

COMUNISMO:
Hai 2 mucche.
Il governo te le prende e ti fornisce il latte secondo i tuoi bisogni.

FASCISMO:
Hai 2 mucche
Il governo te le prende e ti vende il latte.

NAZISMO:
Hai 2 mucche.
Il governo prende la vacca bianca ed uccide quella nera.

DITTATURA:
Hai 2 mucche.
La polizia te le confisca e ti fucila.

FEUDALESIMO:
Hai 2 mucche.
Il feudatario prende metà del latte e si tromba tua moglie.

DEMOCRAZIA:
Hai 2 mucche.
Si vota per decidere a chi spetta il latte.

DEMOCRAZIA RAPPRESENTATIVA:
Hai 2 mucche.
Si vota per chi eleggerà la persona che deciderà a chi spetta il latte.

ANARCHIA:
Hai 2 mucche.
Lasci che si organizzino in autogestione.

CAPITALISMO:
Hai 2 mucche
Ne vendi una per comprare un toro ed avere dei vitelli con cui iniziare un allevamento.

CAPITALISMO SELVAGGIO:
Hai 2 mucche.
Fai macellare la prima ed obblighi la seconda a produrre tanto latte come 4 mucche.
Alla fine licenzi l’operaio che se ne occupava accusandolo di aver lasciato morire la vacca di sfinimento.

BERLUSCONISMO:
Hai 2 mucche.
Ne vendi 3 alla tua Società quotata in borsa, utilizzando lettere di credito aperte da tuo fratello sulla tua banca. Poi fai uno scambio delle lettere di credito, con una partecipazione in una Società soggetta ad offerta pubblica e nell’operazione guadagni 4 mucche beneficiando anche di un abbattimento fiscale per il possesso di 5 mucche. I diritti sulla produzione del latte di 6 mucche, vengono trasferiti da un intermediario panamense sul conto di una Società con sede alle Isole Cayman, posseduta clandestinamente da un azionista che rivende alla tua Società i diritti sulla produzione del latte di 7 mucche.
Nei libri contabili di questa Società figurano 8 ruminanti con l’opzione d’acquisto per un ulteriore animale. Nel frattempo hai abbattuto le 2 mucche perchè¨ sporcano e puzzano. Quando stanno per beccarti, diventi Presidente del Consiglio.

MONTISMO:
Hai 2 mucche.
Tu le mantieni, il governo si prende il latte e ti mette una tassa su: la stalla, la mangiatoia, la produzione.
A te rimane lo sterco. Intanto è in approvazione un disegno di Legge sulla tassazione dei rifiuti organici animali.

(Garden
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